100 anni di Arturo Paoli. Una lunga storia vissuta in prima linea
di
Silvia Pettiti*
* Silvia Pettiti,
laureata in Giurisprudenza, ha lavorato per Slow Food Editore, per il
sito internet dell’“Agenzia romana per il Giubileo”, per l’associazione
“Ore undici onlus” curando il periodico mensile omonimo. Dal 2001 al
2005 è stata la segretaria personale di Arturo Paoli, che ha seguito
nei suoi viaggi in Brasile e in Italia, e per il quale ha curato la
redazione di alcuni libri: La gioia di essere liberi (Messaggero,
2002), Prendete e mangiate (La Meridiana, 2005), Le beatitudini. Uno
stile di vita (Cittadella, 2007), Il difficile amore (Cittadella,
2008). Risiede ora a Lucca nei pressi della Casa Beato Charles de
Foucauld in cui vive fratel Arturo Paoli. Collabora come giornalista
con il settimanale Il nostro tempo di Torino ed è responsabile di
redazione del mensile «Ore undici».
***********
Ci incuriosiva conoscere questo «piccolo fratello del Vangelo» che ci ha rivelato un cristianesimo così ricco e vitale… e siamo andati a fargli alcune domande.
Questo «catenaccio» introdusse il primo articolo che Rocca dedicò ad Arturo Paoli.
Fu un’intervista realizzata da Vittorio Messori nell’estate del 1967, esattamente quarantacinque anni fa.
Da allora la serie di articoli firmati da Arturo Paoli per Rocca è ininterrotta e prosegue ancora.
Non c’è «storia editoriale» più lunga e fedele di questa nella vita di Arturo, e forse anche in quella di Rocca; ad essa corrisponde una storia di amicizia, come in tutte le cose che riguardano questo piccolo fratello che a novembre compirà cento anni.
«Se il Signore mi chiedesse: preferisci continuare a vivere ancora o morire adesso, gli risponderei: Amico mio, fai tu, decidi tu!» risponde Arturo a quanti si compiacciono per il traguardo ormai prossimo, al quale si avvicina con grande serenità, grato a tutte le persone che rendono gioiosa la quotidiana esperienza del limite e della dipendenza dall’altro, nel quale lui riconosce sempre la presenza dell’Amico.
«Il segreto per invecchiare bene è liberarsi dai pesi del passato, non portarsi appresso fardelli che legano a quel che è stato, abbandonare tutto nelle mani di Dio Padre. Jamais en arrière è il motto di Charles de Foucauld, che noi piccoli fratelli cerchiamo di applicare nella nostra vita e, per la mia esperienza, posso dire che è un insegnamento perfetto» ripete Paoli a coloro che si stupiscono per il suo vigore e gliene domandano ragione.
«Personalmente ho ricevuto un insegnamento esemplare anche da mia madre: dimenticare il proprio corpo, non prestare attenzione alle piccole magagne che inesorabilmente si presentano. Certo io sono stato fortunato, ho sempre avuto buona salute, ma devo ringraziare mia madre per quell’insegnamento di disattenzione verso il dolore fisico e di premura verso i bisogni degli altri».
Quel primo articolo del 1967 era ispirato al libro Un incontro difficile (Gribaudi 1966, poi riedito da Cittadella nel 2003), che Paoli compose in Argentina tra i boscaioli di Fortín Olmos, dove visse per una decina di anni e dove scrisse alcuni dei libri più importanti della sua lunga e feconda vita.
Tra gli altri Dialogo della liberazione (Morcelliana 1969), primo germe di quel movimento cristiano che darà vita alla teologia della liberazione, libro oggi riproposto dalle edizioni Nino Aragno come classico del pensiero religioso contemporaneo.
Un omaggio ai cento anni di Paoli, una restituzione di merito rispetto alla storia della teologia della liberazione, ma soprattutto un contributo attuale per «liberare» la storia umana – religiosa, politica, sociale, economica – dai lacci che la stringono, a partire dal progetto di vita proposto da Gesù nel Vangelo.
«Gesù è venuto per liberare le relazioni umane e costruire il Regno di Dio. È vero che il progetto della Chiesa che mi sono sentito ripetere tante volte, è `fatti santo’, ma il progetto di Gesù è ben più universale e concreto: ‘portate nel mondo la pace, la giustizia, la fraternità’ che sono la sintesi dell’amore, che è alterità fino al dono di se stessi, di cui ci ha dato l’esempio il Cristo» scrive Paoli nell’introduzione alla ristampa del Dialogo.
Ristampa che è anch’essa frutto di amicizia, di quella rete di relazioni che nascono spontanee attorno ad Arturo e che grazie a lui trovano nuove ragioni di impegno e di speranza.
chi è il santo
«Fatti santo»: in quel primo articolo su Rocca, Vittorio Messori interrogava Arturo proprio sulla santità: «Il test della santità vera è la contemplazione infusa. Ora la contemplazione si esplicita in una visione profonda, intima, saporosa di Dio e delle cose di Dio. È una saggezza che aiuta a vedere le cose, gli avvenimenti della storia, i veri valori della vita nella loro giusta luce» rispondeva Paoli.
«Vede, io penso che il Concilio ha fatto il progetto della Chiesa come deve essere, come deve porsi nel mondo di oggi. Ora aspettiamo i santi che di fatto realizzeranno questa nuova forma di essere della Chiesa nel mondo. Niente paura, dopo il Concilio ci saranno delle eresie, dopo ogni Concilio ci sono delle eresie, ma si ha anche l’epoca dei santi e dei grandi momenti spirituali».
E allora c’è da domandarsi se quella di oggi, a cinquant’anni dall’evento conciliare, sia un’epoca di eresie o di grandi momenti spirituali.
La risposta di Arturo Paoli è nel messaggio che ha inviato all’Assemblea convocata il 14 settembre scorso a Roma da Noi siamo chiesa per celebrare e rilanciare il Concilio.
«Noi ci troviamo di fronte a una cosiddetta civiltà cristiana frantumata, diventata sterile per i più. Bisogna essere assoluti e pensare che il cristianesimo non è legge astratta ma è incarnazione della giustizia, della pace, della concordia tra gli uomini. [...] Queste idee le ho vissute incarnate in America Latina. Avete mai pensato a quello che diceva il nostro compianto Balducci, che noi siamo la terra del tramonto e che dobbiamo valorizzare continenti come l’America Latina e l’Africa? [...] Non potremo mai sperare una primavera della fede se non partendo dal concetto dell’incarnazione. Non dimentichiamo mai che il primo teologo della liberazione è stato Gesù che non ci ha lasciato teorie ma pratiche concrete».
L’occidente cristiano, dunque, è per Paoli terra bruciata dalle idolatrie più ancora che dalle eresie, mentre le terre africane e sudamericane sono state capaci di incarnare una forma nuova di Chiesa, attraverso le comunità di base e la scelta dei poveri, fino a quando non sono state estirpate dalla paura occidentale che la teologia della liberazione si confondesse con il marxismo.
le ambiguità delle istituzioni
Le ambiguità presenti nelle istituzioni ecclesiali sono da sempre oggetto di denuncia da parte di Arturo: «Le istituzioni ecclesiali sono dissociate dai gruppi che fanno la storia e portano avanti la freccia: i poveri, i giovani, gli operai, gli investigatori. Cioè i gruppi profetici che [...] comprendono il tempo e lo portano avanti. Le istituzioni ecclesiali hanno amicizie con gruppi di potere; e i gruppi di potere contagiano le istituzioni ecclesiali della loro lebbra, cioè il contare sul denaro, sulla protezione politica, sulla sola capacità organizzativa; tutte le efficienze apparenti sotto cui si nasconde una profonda frustrazione» aveva scritto più di quarant’anni fa nelle pagine del Dialogo della liberazione. Ma quella di oggi «è la peggiore epoca storica di tutta la mia lunga vita» dice Arturo con sofferenza e preoccupazione.
«Non c’è mai stata un’epoca così buia, così vuota di progetti e di valori. L’ho detto anche all’intervista della Rai, non so se la trasmetteranno, ma io ne sono convinto. La fine delle ideologie, la fine dei partiti ha lasciato un vuoto totale nella politica, che è diventata farsi gli affari propri, approfittare del potere per arricchirsi, servire il denaro e ignorare i bisogni dell’uomo».
Ecco allora che nel suo ultimo personale sforzo editoriale (La rinascita dell’Italia, Edizioni Pacini Fazzi 2011), nei discorsi pubblici che tiene a Lucca, negli incontri informali con gli ospiti della Casa Beato Charles de Foucauld in cui vive, Arturo Paoli cerca di colmare il divario con i «gruppi che fanno la storia», in particolare con i giovani, restituendo loro la fiducia nel futuro: «Gli adulti di oggi danno un esempio negativo ai giovani, cominciando dal vertice dei responsabili politici. Per amore di potere o di pecunia si sono tutti piegati a sostenere come Presidente un ricco incompetente di politica, egocentrico, superficiale, che è riuscito a captare la simpatia con le sue oscenità che oscurano il bel Paese che fu già la patria degli Spiriti Magni e mostrano che il potere può dominare la giustizia facendola apparire una complicazione inutile, un freno alla libertà di gestire la vita come vogliamo», ha scritto Arturo nel «Messaggio ai giovani» con cui chiude il libro La rinascita dell’Italia.
E anche se umilmente afferma «oggi non saprei come cominciare per ritrovare un nuovo rapporto dei giovani con la fede», così prosegue: «Vorrei che la gioventù si sentisse amata perché solo così potrebbe trovare il coraggio di imporsi al mondo adulto, incapace di un avvenire positivo per la nostra Patria. (…) Coraggio giovani, il prossimo futuro si offrirà a voi, solo a voi. La generazione adulta scomparirà presto perché il futuro è solamente di chi crede e spera fortemente nella vita che rinasce nel tempo».
credere nella vita che rinasce
Certo, chi incontra e conosce Arturo Paoli si persuade che pochi come lui credono e sperano fortemente nella vita che rinasce nel tempo, pur ora che l’anagrafe sta per dichiararlo centenario.
«Nessuno è in grado di costruire la propria vita come vorrebbe ed è bene che non ci sia concesso un progetto preventivo, sbaglieremmo tutto. Avevo solo chiaro l’ideale di amare i giovani soddisfacendo le loro attese. Cercavo di capire con loro che cosa ci richiedevano gli eventi», dice di se stesso, riassumendo quell’idea di amicizia autentica, radicata nella storia e nel tempo, che ha sempre predicato e praticato.
I frutti continuano a crescere in quel continente sudamericano dove Arturo ha speso quasi la metà della sua vita: in Argentina un gruppo di uomini e donne quasi anziani, che vissero gli anni della giovinezza nelle comunità allargate dei piccoli fratelli, stanno organizzando una giornata di festa per i cento anni di Arturo; in Brasile, a Foz do Iguaçu, i giovani di Madre Terra cercano ogni giorno di mettere in pratica quell’ideale di amicizia e di collaborazione che Arturo ha insegnato loro e che l’associazione Ore undici cerca di proseguire; nella favela Morenita, sempre a Foz, donne e bambini vengono accolti e curati grazie al lavoro iniziato da Arturo e proseguito dal gruppo italo-brasiliano di «Afa».
E a Lucca, nella casa di San Martino in Vignale dove Arturo vive, capita con frequenza e al contempo con stupore che, sulle sue tracce, si riannodino fili di amicizie antiche, riaffiorino storie perdute nel tempo, sorgano nuove e inaspettate relazioni attorno a un tavolo che spesso viene apparecchiato lasciando un posto vuoto, «per l’amico che deve arrivare».
Silvia Pettiti