QUELLI DELLA VIA
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Aspettando "alcuni maghi dall'Oriente..."
di Alberto Maggi
(Mt 2,2)



 

 PANICO A GERUSALEMME
(Mt 2)

Fine di un’illusione

 
I primi due capitoli dei vangeli di Matteo e di Luca sono chiamati i “vangeli dell’infanzia”, denominazione che molti intendono come vangeli per l’infanzia. Infatti, trattando della nascita e dei primi anni di vita di Gesù, sembrano una raccolta di fatti fantastici, scritti per meravigliare i piccoli: Gesù bambino, i magi, i pastori, gli angeli, la stella, Erode nel ruolo dell’orco cattivo… personaggi adatti più per un presepio che per la fede.
In realtà questi vangeli non sono il ricordo dei primi passi di Gesù, ma un compendio teologico col quale gli evangelisti anticipano al lettore l’intera esistenza di Gesù, con particolare riferimento alla sua morte e risurrezione.
È questa l’ottica con la quale va letto il secondo capitolo del vangelo di Matteo, che si apre con la nascita di Gesù e l’improvvisa comparsa di “alcuni maghi”.
La sorpresa di quest’apparizione è sottolineata dall’evangelista con l’interiezione ecco: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, ai tempi del re Erode, ecco giunsero alcuni maghi dall’Oriente” (Mt 2,1).
Che c’entrano i maghi con il Figlio di Dio? Non è stato facile, per i primi cristiani, accettare la presenza imbarazzante dei maghi alla nascita del loro Signore.
Era inammissibile che i primi a rendere omaggio a Gesù fossero proprio coloro che esercitavano un’attività proibita dalla Legge divina (Lv 19,26) e che erano stati i rivali di Mosè (Es 7,22).
Anche dopo l’episodio di Betlemme, con il riconoscimento di Gesù come loro Signore, i maghi non sono stati rivalutati e gli unici che compaiono ancora nel Nuovo Testamento sono personaggi negativi: Simone, il mago che voleva comprare lo Spirito Santo (At 8,9-24) e un falso profeta che si faceva chiamare “Figlio di Gesù”, ma che Paolo smaschera quale “figlio del diavolo” (At 13,4-11).
Non potendo censurare l’episodio di Matteo, si è provveduto a neutralizzare il termine maghi, che nella lingua greca aveva il significato di imbroglioni, ciarlatani, di coloro che “predicono menzogne” (Ger 27,10). Così gli inquietanti maghi divennero gli innocui magi, unica volta che nella letteratura il termine greco màgoi veniva reso così.
Ma non bastava, occorreva dare ai maghi una dignità che allontanasse qualunque sospetto. Così, richiamandosi al testo di Isaia “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is 60,3), i maghi vennero elevati di rango e fatti re, equiparandoli ai potenti della terra. Infine, in base ai doni portati, i maghi divennero tre e vennero posti loro anche i nomi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, uno bianco, uno nero e l’altro meticcio… e i personaggi per il presepio erano pronti.
Questa irruenza della tradizione sul testo ha fatto sì che l’importanza dei maghi nella nascita di Gesù fosse sminuita. Il significato della presenza dei questi pagani va ricercato nei doni che offrono a Gesù: “Oro, incenso e mirra” (Mt 2,11).
Portando a Gesù l’oro, offerta per il sovrano (1 Re 9,11.28) e simbolo di regalità, i maghi riconoscono il Signore come loro re. E’ la fine del sogno di restaurazione del regno d’Israele. Gesù è venuto a realizzare il regno di Dio (Mt 4,17; 12,28; At 1,6), regno che non è limitato ai Giudei, a un popolo, a una religione, ma è esteso a tutti quegli uomini che accettano di essere amati da Dio. L’evangelista anticipa così, nell’episodio dei maghi venuti dall’oriente, le parole di Gesù: “Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8,11).
L’incenso era l’elemento specifico del servizio sacerdotale, adoperato in modo particolare nelle offerte di ringraziamento (Lv 2,1-2; 1 Sam 2,28). Ebbene, i maghi, che in quanto stranieri sono “pagani peccatori” (Gal 2,15), offrendo l’incenso, svolgono verso Gesù il compito dei sacerdoti, gli unici che potevano rivolgersi direttamente alla divinità nel culto. Il privilegio di essere un popolo sacerdotale non è più esclusivo di Israele (Es 19,6) ma viene esteso a tutti i popoli, pagani e peccatori compresi (1 Pt 2,9; Ap 5,10).
L’ultimo dei doni offerti dai maghi è la mirra. Nella Scrittura questa resina, dall’intensa fragranza, è il profumo con il quale l’amante conquista il suo amato (“Ho profumato il mio giaciglio di mirra”, Pr 7,17), e simbolo dell’amore della sposa per lo sposo (Ct 5,5; Est 2,12). Il rapporto tra il Signore e il suo popolo veniva raffigurato dai profeti con i tratti di un matrimonio, dove Israele era la sposa del suo Dio: “Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te” (Is 62,5; Os 2). Anche il privilegio di essere la nazione sposa del suo Dio non è esclusivo d’Israele, ma è esteso alle nazioni pagane, delle quali i maghi sono i rappresentanti.
Nell’episodio dei maghi, Matteo presenta la fine dell’illusione di Israele, che pensava di essere il popolo eletto, la nazione chiamata a dominare su tutte le altre.
Dio non preferisce un popolo a scapito di un altro, ma è sempre pronto a mettersi a fianco degli oppressi contro i loro sopraffattori. E’ per questo che il Signore aveva liberato Israele dalla schiavitù egiziana. Ma quel che i Giudei consideravano un’azione unica e straordinaria, non è altro che il normale comportamento di Dio nei confronti degli oppressi. E se gli Israeliti da vittime si trasformano in oppressori, Dio è pronto a trattarli come trattò gli Egiziani: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Non maltratterai la vedova e l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, la mia collera si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani” (Es 22,20-21).
A quella che pretende essere “la prima tra le nazioni” (Am 6,1), il Signore ricorda: “Non siete voi per me come gli Etiopi, Israeliti? Non io ho fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftòr e gli Aramei da Kir?” (Am 9,7).
Israele non è l’esclusivo popolo del Signore, lo sono anche quelle nazioni che i Giudei considerano nemiche: “Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani” (Is 19,25). Questi popoli sono anch’essi chiamati al servizio del Signore: “Gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri” (Is 19,23).
Quel che Israele considerava un suo privilegio non era che una responsabilità, quella di mostrare alle nazioni pagane la luce dell’unico Dio, il Signore, che aveva loro dato le sue leggi perché fossero una nazione santa (Es 19,6). Ma anziché giustizia e rettitudine, il Signore non trovò in Israele che “spargimento di sangue e grida di oppressi” (Is 5,7).    
 
La città assassina

 
“Udito questo il re Erode si spaventò e con lui tutta Gerusalemme” (Mt 2,3).
Lo spavento di Erode per la nascita del re dei Giudei è comprensibile, quello dell’intera città di Gerusalemme meno. Erode, figlio di un Idumeo, non poteva essere re dei Giudei (Dt 17,15), ed era salito al trono usurpando la legittima dinastia degli Asmonei.
Erode sa di non essere amato dalla popolazione, ma temuto, e sospetta di tutto e di tutti. Ovunque vede complotti contro di sé e, secondo Giuseppe Flavio, “non c’era giorno od ora in cui il re potesse stare tranquillo” (Ant. XVI, VII, 3).
Potente, ma impaurito, questo re è la penosa caricatura dell’uomo di potere che vive del culto a se stesso, e “se qualcuno del suo popolo non era ossequioso verso di lui e, parlando, non si professava suo servo, se giudicava che gli ponessero domande sul suo modo di governare, Erode non era capace di controllarsi, poneva sotto inchiesta i suoi congiunti e ugualmente i suoi amici e li puniva severamente come nemici” (Ant. XVI, V,4).
Erode ha governato con il terrore, ma è sempre vissuto nel terrore che qualcuno, anche della sua stessa famiglia, si impadronisse del trono. Per questo non ha esitato a eliminare la moglie, la suocera, il nonno della moglie e un paio di cognati, pur di non mettere in pericolo il trono sul quale regnava da ormai quasi mezzo secolo.
Pur di evitare possibili pretendenti al trono Erode è stato capace di sopprimere ben tre suoi figlioli, l’ultimo dei quali, Antipatro, lo fece assassinare appena cinque giorni prima della sua stessa morte (Ant. XVII, VII,1).
È dunque comprensibile che Erode, re illegittimo, all’annuncio che era nato il re dei Giudei, si spaventasse.
Ma Gerusalemme perché è spaventata come il re?
Forse anche la città sa di usurpare qualcosa che non le appartiene? E’ cosciente che con la venuta del “Dio con noi” (Mt 1,23) dovrà restituire “a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21)?
Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa giudaica, che ha nel Sinedrio la sua massima espressione, si è impadronita del popolo del Signore. L’arrivo del vero Pastore significa per lei la fine: “Chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto” (Ez 34,10).
Sommi sacerdoti, scribi e farisei, apparentemente al servizio di Dio, ponevano in realtà Dio a garanzia dei loro privilegi e interessi (Mt 21,37-39). Rivendican¬do di essere, per mandato divino, gli unici rappresentan¬ti di Dio, in realtà ne usurpavano il ruolo, attribuendosi quei poteri che solo il Signore poteva esercitare (Mt 23).
Nell’episodio dei maghi l’evangelista anticipa il comportamento di Gerusalemme, la città santa che rifiuterà il suo Salvatore (Mt 27,22).
Gerusalemme viene presentata sin dall’inizio sotto una luce tetra: è la città che ammazza i profeti, uccide gli inviati del Signore (Mt 23,37) e assassina lo stesso Figlio di Dio. Per questo la stella, che ha guidato i maghi d’oriente, non brillerà mai sopra questa città, e Gerusalemme, avvolta dalla cappa mortale, non vedrà mai il Cristo risorto (Mt 28,7).
Il re esorcizzerà la sua paura facendo “uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme” (Mt 2,16); Gerusalemme scaccerà la sua paura uccidendo “Gesù, il re dei Giudei” (Mt 27,37).




 

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