Carlo Maria Martini
Credente «eticamente sensibile»
di
Giannino Piana
Le questioni morali, in
particolare quelle «eticamente sensibili» – come oggi vengono
comunemente definite con una dizione in verità discutibile – hanno
costituito per il cardinale Martini motivo di grande interesse, sia per
i loro importanti risvolti culturali che per le loro immediate e
significative ricadute in campo pastorale. Numerose sono state le
occasioni – convegni, omelie, interviste, saggi – in cui egli è
intervenuto su tali questioni, aprendo interrogativi e offrendo spunti
di riflessione, con grande finezza intellettuale e con un atteggiamento
problematico volto a sollecitare la ricerca, al di fuori di preclusioni
ideologiche e di rigide chiusure confessionali.
Le tematiche affrontate fino agli ultimi tempi, quando la malattia lo
andava lentamente ma inesorabilmente consumando – appartiene a
quest'ultima fase il dialogo con Ignazio Marino (cfr. Credere e
conoscere, Einaudi, Torino 2012) –, spaziano dagli inizi e dalla fine
della vita umana – diagnosi preimpianto, cellule staminali embrionali,
fecondazione artificiale, eutanasia, accanimento terapeutico,
testamento biologico, ecc. – alle complesse dinamiche della sessualità
e del suo esercizio, fino all'omosessualità e alle coppie di fatto (per
non citarne che alcune tra le più rilevanti).
Ma, al di là dell'arco assai ampio di problemi analizzati, ciò che
soprattutto colpisce è il metodo rigoroso con cui il cardinal Martini
si è accostato a essi. Un metodo che unisce una grande attenzione ai
contributi della scienza, di cui riconosceva i meriti indiscussi
(soprattutto quelli acquisiti in campo biomedico), all'esigenza di
andare oltre il dato scientifico per aprirsi a un «ampio sapere di
fondo», che conferisce alle questioni riguardanti la vita umana il loro
ultimo significato. La grande capacità di ascolto, che nasceva da un
profondo rispetto delle competenze di ogni genere con le quali il
cardinal Martini amava confrontarsi – ho avuto io stesso la fortuna di
sperimentarlo in qualche circostanza – gli ha permesso di inoltrarsi in
diversi campi del sapere, afferrandone dal di dentro i significati e,
nello stesso tempo, di non rinunciare a far valere la propria
competenza di uomo della Parola, che guarda alla vita come
«all'esperienza di un senso donato, che dischiude alla coscienza una
promessa che la interpella, sollecitandola all'impegno e alla decisione
di sé nella relazione con l'altro» (Credere e conoscere, p. 5).
In questo contesto vanno inserite le sue prese di posizione sui vari
temi dell'etica pubblica, e in particolare della bioetica, dove, pur
rilevando la fondamentale importanza di una riflessione morale ancorata
a valori irrinunciabili – a questo riteneva dovesse riferirsi in
maniera prioritaria la riflessione della Chiesa – egli non disdegnava
di misurarsi anche con la casistica concreta, aprendo il confronto con
il mondo laico con una attitudine dialogica che gli è stata
unanimemente riconosciuta.
Il modello teorico di riferimento è stato per lui, su questo terreno,
quello di un'etica duttile, preoccupata anzitutto della tutela della
dignità della persona e del rispetto e della promozione dei suoi
diritti e attenta a valutare, di volta in volta, le conseguenze
positive e negative delle azioni; a soppesarne, in altri termini, i
benefici e i danni (o i rischi), facendo spazio a una forma di
discernimento che prendeva in seria considerazione tanto le condizioni
concrete e le intenzioni dei soggetti implicati quanto le ricadute di
ordine sociale. Un modello di etica, dunque, che, appoggiandosi su
argomentazioni razionali, aveva come riferimento il bene possibile,
talora il male minore, e che lo ha condotto, di fronte ad alcune
questioni – come quelle della contraccezione, della fecondazione
artificiale e dei diritti delle coppie di fatto sia eterosessuali che
omosessuali – ad auspicare una maggiore prudenza della Chiesa
nell'intervenire e una più profonda attenzione alla complessità delle
situazioni, nonché al rispetto della coscienza di chi è in esse
direttamente coinvolto.
Non sfuggivano certo al cardinal Martini le ambiguità dell'odierno
progresso tecnologico in campo biomedico. Consapevole dell'enorme
potere acquisito dall'uomo, grazie al possesso di strumenti sempre più
sofisticati in grado di decidere della vita e della morte, e convinto
dell'impossibilità che la legge, anche la migliore, fosse in grado di
prevedere tutta la ricca gamma dei casi umani, egli non ha mancato di
sottolineare la necessità di un «supplemento di saggezza», che
consentisse di far fronte alla varietà delle situazioni in modo
proporzionato alle esigenze reali delle persone e al bene dell'intera
famiglia umana. Ma ciò che soprattutto emerge dall'insieme del suo
insegnamento in questo campo è un sentimento di profonda fiducia
nell'uomo e nella vita. Una fiducia radicata in una fede viva che si
fondava sull'autorevolezza della Parola. E ricavava da essa la forza
per muoversi senza paura né soggezione anche all'interno delle vicende
umane più complesse e più drammatiche, con una grande libertà
interiore, con quella parresìa che è dono dello Spirito.