Complice novembre mite, gli alberi di agrumi partoriscono frutti prematuri. L’ibiscus è carico di fiori sanguigni, carnosi, che richiamano altre latitudini. In lontananza fa capolino il profilo delle Eolie. Forse è da questo colle che Antonello da Messina contemplò il paesaggio ritratto dietro la Crocifissione, oggi conservata a Bucarest. Più di un secolo dopo, nel 1583, su questa altura cercarono ispirazione altri uomini. Gli eredi dei frati eremiti, che agli inizi del XIII secolo si stabilirono sul monte Carmelo in Terra santa, qui, nel silenzio e della pace, costruirono il santuario e il convento che oggi sovrastano il confuso aggiomenato urbano di Barcellona Pozzo di Gotto.
I Carmelitani non hanno mai lasciato questo posto, anche se nei secoli ha cambiato più volte destinazione. Da venti anni ospita una piccola comunità di frati, che si sono ritrovati spinti dal desiderio di una vita religiosa in maggiore sintonia con i contenuti classici del monachesimo. «Volevamo vivere in povertà l'ascolto della Parola, la preghiera, ma anche l'incontro con la gente, l'ospitalità. Ancorati al passato per rispondere alle domande di oggi», dice Alberto Neglia, siciliano. Fu lui venti anni fa, quando era provinciale dei Carmelitani, a inviare una lettera a tutte le comunità d’Italia. Lanciava l'idea di un ritorno alle origini. Risposero in sei: un veneto, un marchigiano. un pugliese e due siciliani.
Oggi restano i quattro meridionali. Tutti entrati giovanissimi nell'Ordine e colleghi di studi alla Gregoriana. La scelta del posto cadde su Barcellona Pozzo di Gotto, in passato sede del noviziato. «Scegliemmo il Sud perché al Nord già c'erano esperienze del genere», ricorda Alberto. A tenere desto il desiderio di realizzare una nuova forma di convivenza ci pensarono altri religiosi - come le Piccole sorelle di Charles de Foucauld e i gesuiti operai - che avevano scelto la Sicilia per sperimentare nuove modalità di presenza, sulla scia della vitalità post~conciliare.
Sin dal primo momento la comunità decise di condividere i suoi momenti di formazione e preghiera con la gente del posto. «Barcellona è la tipica cittadina della costa del Sud; in passato attività agricola e bestiame, industria delle conserve, di liquori, di essenze. Oggi abbiamo molto lavoro nel terziario e una forte speculazione edilizia», spiega Gregorio Battaglia, che alla teologia ha affiancato studi in Scienze politiche. Qui, sull'asse Barcellona-Messina, gli sportelli bancari non si contano, c'è una ricchezza drogata, basata su un'economia non legale».
La scelta di aprirsi al territorio ha significato anche, per esempio. l'organizzazione di una settimana teologica su "I credenti di fronte alla mafia" e un'altra su "L'uso del denaro". «Abbiamo scelto di dare attenzione al sentire teologico-spirituale di oggi, non in modo accademico ma vitale», dice Egidio Palumbo, l'unico frate non sacerdote del gruppo.
Nel tempo gli incontri sono diventati punto di riferimento per tanti che arrivano un po’ da tutta l'isola e, in estate, anche da altre regioni. È infatti tra luglio e agosto che si tiene l'appuntamento più consistente organizzato dalla piccola comunità: una settimana teologico~spirituale a più voci, dove uno degli ospiti fissi è il gesuita Pino Stancari.
«Le persone che abbiamo invitato agli inizi degli anni '80 erano quelle che conoscevamo per la nostra attività pastorale», dice Aurelio Antista, il priore della comunità. Poi, racconta, piano piano come una piccola catena la voce si è diffusa. E sono arrivati anche altri. «Sono cristiani normali. Gente già impegnata o persone in ricerca. La porta è aperta a tutti». La settimana prevede la mattina momenti di riflessione più sistematica, il pomeriggio incontri di tipo seminariale e la partecipazione alla preghiera. Molti di quelli che arrivano in estate - il convento accoglie una trentina di posti letto - tornano poi durante l'anno. «Sono singoli. coppie, religiosi, laici. Oltre alla richiesta formativa notiamo che c'è la voglia di condividere la vita della comunità », osserva Alberto. Non è un modo di dire, Qui le porte sono aperte, letteralmente. Basta partecipare alla messa della domenica mattina per capire cosa questo significhi: dopo la celebrazione, dalla sacrestia che conduce direttamente al convento, l'aroma del caffè raggiunge chi si attarda ancora nelle navate della chiesa. Gli altri fedeli si sono in parte già riversati nell'ampia cucina del convento: il caffè è nel bricco, caldo. C'è chi taglia un dolce fatto in casa, chi offre dei pasticcini in pasta di mandorle. Qualcuno deposita nel frigo vaschette d'alluminio che, più tardi, riveleranno prelibati involtini di melanzane o bocconcini di pesce spada. Nel frattempo, uno degli ospiti della foresteria ha già imbracciato il mestolo in legno e rigira il sugo.
C'è aria di famiglia. La domenica come i mercoledì pomeriggio, dedicati agli incontri formativi, di spiritualità e biblici. O il venerdì, giorno della Lectio divina in preparazione alla celebrazione domenicale. Lungo il corridoio, davanti al camino spento, si chiacchiera e si sfogliano i giornali sul tavolino. Anche gli ultimi numeri di Oreb sono a disposizione degli ospiti. La rivista, nata nel ‘73 con la testata Presenza nel Carmelo, nell'86 è stata affidata alla comunità di Barcellona, che ne ha fatto un laboratorio di teologia vissuta. Si tratta, come recita la quarta di copertina, di "Quaderni di riflessione e formazione per quanti desiderano coltivare una spiritualità che assuma e valorizzi il quotidiano". Il direttore responsabile è frate Alberto, che tra l'altro insegna allo Studio teologico di Catania, aiutato da Egidio, che nella comunità è quello che si occupa della formazione e dello studio, della biblioteca e dell’animazione liturgica.
Il priore, Aurelio, fa il cappellano all'ospedale civico e assicura l'unica entrata fissa della comunità. Per il resto, i frati sin dal primo momento hanno rinunciato alle offerte per la foresteria («aiutate qualcuno bisognoso o la Caritas diocesana», è l'invito rivolto dal ciclostilato dove si dà accoglienza agli ospiti). Anche i matrimoni sono stati banditi dalla chiesa, che non è parrocchia. E il cestino per le offerte durante la messa è poggiato su un tavolino, a parte. «Sin dall'inizio ci siamo interrogati sulle entrate», dice Gregorio, «e abbiamo deciso che la paga dell'ospedale era sufficiente al mantenimento di una famiglia». Lui, quando la comunità era più numerosa, ha lavorato come bracciante per circa quattro anni. Poi gli è toccato l'ufficio di economo. Un giorno alla settimana fa il volontario presso l'ospedale psichiatrico giudiziario. E ancora oggi alcuni dei colleghi conosciuti nei campi frequentano volentieri il convento e gli incontri di formazione.
"Costruire la città", "Il corpo vissuto", "Mistici in tempo di conflitti", "Indifferenza e scelta" sono alcuni dei temi che Oreb, il quadrimestrale, ha affrontato in questi anni. Spesso lo spunto nasce dai contributi elaborati durante le settimane estive o ai corsi di formazione del mercoledì. «Sono appuntamenti che servono prima di tutto a noi, per il nostro aggiornamento», dice Egidio. In autunno, i mercoledì privilegiano più temi di spiritualità; da gennaio a Pasqua, invece, si passa a temi biblici. Per esempio, a fine ottobre, due incontri sono stati dedicati a Charles de Foucauld. Una settantina di persone si sono ritrovate nella sala riunioni, dove dalle pareti sorridono don Tonino Bello e monsignor Romero. Si usa un linguaggio semplice, si leggono i testi originali e si fa teologia dell’incontro con l’altro, il diverso; si riflette sulla tentazione della visibilità e dell'efficienza; si parla della missione della Chiesa come presenza amica e fraterna nel mondo, semplice, povera, provvisoria, inutile.
Le gente partecipa, pone
domande. Fa parlare la vita e la cronaca. Per lo più provengono da Barcellona
ma, per il lungo week-end di inizio novembre è arrivato anche qualche amico
fidato da altre province: Ragusa, Trapani... Per chi si ferma a dormire
l'appuntamento serale è nella cappellina al piano inferiore. L'altare è una
pesante macina in pietra, proveniente da un antico mulino. Su una madia
sorretta da due torni, di quelli usati un tempo per premere l'uva, poggia un
paniere in vimini: è il tabernacolo o, come l’ha efficacemente definito in una
preghiera una suora napoletana, "Cristo 'int’o canisto".