DAL CONCLAVE UNA CHIESA NUOVA
di Gennaro Matino
Il conclave si avvicina e i cardinali da più giorni stanno riflettendo su chi tra loro dovrà farsi carico dell’ardua responsabilità di reggere la Chiesa. Scelta non facile, al di là della drammatica e torbida vicenda Vatileaks che sta condizionando non poco la discussione, soprattutto perché il rischio di ritrovarsi un Papa implicato in squallide faccende nessuno se lo può permettere, proprio adesso che l’immagine della Chiesa è ai minimi storici nell’opinione della gente. Tutti chiedono un Papa forte per superare la tempesta, che abbia più vigore, ma sarebbe un’illusione pensare che la sola elezione del papa, la scelta di un solo uomo, basti a fronteggiare un atteggiamento strutturato, un modo sbagliato di essere Chiesa che ancora non ha digerito la perdita del potere temporale e lo riorganizza negli spazi che le sono concessi. La coraggiosa scelta del Concilio Vaticano II, che intendeva ripensare la Chiesa e rinnovarla in ragione della sua missione, figlia del Vangelo, è stata tradita. In questo consiste la vera corruzione, e se oggi una spaccatura si evidenzia anche tra i cardinali, essa riflette la differenza tra una Chiesa che vive il territorio e cammina tra la gente, e l’altra, quella malata, che resta nei palazzi con la sua antiquata e degenerata passione di voler occupare spazi e condizionare la libertà dei popoli. Differenza che non descrive solo la Curia romana, ma una scelta di campo che si ripresenta tutte le volte che il Vangelo diventa secondario rispetto ad altri interessi. E non solo ai vertici. Basta attraversare le diverse curie diocesane e quelle di ordini e famiglie religiose per capire la distanza tra la vita della gente e i pensieri degli amministratori ecclesiastici, le loro aspirazioni, le loro ansie e preoccupazioni per rendersi conto senza cattivo giudizio di quanto sia oggi necessario ritornare al Vangelo. Il tradimento della buona notizia nasce nel momento stesso in cui il governo della Chiesa preferisce comunque e in ogni caso l’adeguamento al tempo del proprio interesse e non la profezia come tensione. Un governo che persiste nell’adagiarsi sulla necessità della conservazione-protezione del proprio spazio, territorio, privilegio, invece di rischiare nel futuro che struttura l’andare più che lo stare, l’uscire fuori, all’aperto, invece di rimanere musealmente chiusi all’interno. Nella Chiesa c’è stata una progressiva svendita del Concilio e della sua volontà di riforma anche negli ultimi due pontificati che, benché i meriti, hanno trascurato il governo pastorale e lo hanno costretto in un vicolo cieco sia per esasperato protagonismo, sia per eccessivo intellettualismo. Nella Chiesa il capo è servo. La rivoluzione che deve affrontare il nuovo Papa è data, allora, da questa sostanziale kenosi istituzionale, di governo rovesciato, capovolto, orientato al servizio. Colui che è maestro e capo, forte del Vangelo, dovrà rendere definitivamente originale la relazione tra potere istituzionale e la sua finalità. Il grembiule che Gesù indossa nel cenacolo è il nuovo segno distintivo di colui che sarebbe stato scelto come guida della Chiesa, e la parola ministro, parola propria per designare sguatteri, indica l’alta carica e responsabilità di governo all’interno della comunità. E’ indubbio che esiste una correlazione tra la forma di governo della Chiesa, la sua rappresentazione di potere nel mondo e l’accoglimento del Vangelo da parte della gente. E certo non sarà la sola volontà del futuro Papa, manifestata a parole, o il desiderio di purificazione dal potere terreno a determinare una rinnovata immagine della Chiesa di Cristo. Gran parte dei suoi figli, degli evangelizzatori e operatori pastorali con grande slancio emotivo e di contenuti ancora vive il carisma dell’invio e della missione, ma dobbiamo riconoscere che la necessità di una riforma strutturale, che renda l’istituzione ecclesiastica più libera, meno compromessa con il potere terreno e politico, è ormai ineludibile.
Gennaro Matino
(fonte: "Mattino" del 09.03.2013)