QUELLI DELLA VIA
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"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

 

fr. Egidio Palumbo ocarm

DAVANTI ALLE ICONE
DELLA VERGINE DEL SEGNO E DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE


1. L’ICONA DELLA “VERGINE DEL SEGNO”

L’iconografo riattualizza in prospettiva mariana ed ecclesiale la pagina profetica di Is 7,14, dopo averla letta, meditata e pregata alla luce di tutta la S. Scrittura e della fede della Chiesa. Is 7,14 annuncia: «Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele», profezia che l’evangelista Matteo riporta in Mt 1,23, specificando che “Emmanuele” significa “Dio-con-noi”.

                                                                              

L’icona presenta una figura femminile a mezzo busto (in altre icone è in piedi) in atteggiamento orante con le braccia simmetricamente levate. Nel petto ha il Cristo fanciullo-adulto, racchiuso dentro il diagramma a “cerchio” (o, a volte, a “mandorla”), indicante la presenza di Dio, la Gloria, la Luce divina. Egli è il Cristo Risorto Veniente, vestito con vesti sacerdotali e regali e sulla spalla destra la stola dorata del Servo (Ap 1,13), perché per Lui regnare è servire e non comandare e sottomettere (Lc 12,35-38). Notare anche la figura geometrica del triangolo capovolto (simbolo della Trinità) che racchiude il diagramma a cerchio il cui vertice viene a collocarsi sotto il cerchio, mentre i due lati sono tratteggiati dall’inclinazione delle braccia e dalle pieghe del manto, e la base è formata dalla linea che idealmente unisce le palme delle mani della Vergine.
L’icona raffigura così la Vergine Maria che annuncia l’Avvento dell’Incarnazione del Verbo e nello stesso tempo l’Avvento del Ritorno del Cristo Risorto Veniente nelle vesti del Servo.
Il gesto delle mani con le palme orientate verso l’alto dice l’attesa del dono e, nel contempo, la totale ricettività per essere “colmata da Dio”. Maria è la “nuova arca dell’Alleanza” che porta dentro di sé il Figlio che ha generato prima nella fede e poi nella carne (cf. Lc 1,39-45). Ella lo ha generato perché ha accolto con fede la Parola, si è fatta discepola della Parola (cf. Lc 8,21; 10,39.42), è diventata quella terra bella/buona che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore buono e perfetto, la custodisce e produce frutto con perseveranza (cf. Lc 8,15).
Infatti il Figlio che porta dentro di sé, in quel diagramma risplendente di Luce, ha il volto adombrato dallo Spirito, e nella mano destra il rotolo del vangelo, mentre con la sinistra benedice. Questa presenza interiore e reale del Figlio rende Maria luminosa dal di dentro. Infatti il mantello (omophórion o maphórion) e la tunica (chiton) della Vergine risplendono della stessa luce del Figlio che porta dentro di sé. Ella poi porta tre stelle: una sulla fronte e due, rispettivamente, sulla spalla sinistra e sulla spalla destra, indicanti la sua verginità prima, durante e dopo il parto.
Ma parlare di Maria significa parlare anche della Chiesa, della quale ella è immagine. Perciò, come Maria, anche la Chiesa è chiamata a riflettere la Luce di Cristo nella propria esistenza (cf. Mt 5,14-16). Come scrive Paolo: «Dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita» (Fil 2,15-16). Così canta la Liturgia bizantina nel vespro del 23 Dicembre: «È compiuta la parola di Isaia: ecco che la Vergine porta in grembo l’infinito, circoscritto in un corpo, e si prepara a partorirlo prodigiosamente. Stai pronta, o grotta che accogli Dio, preparati, Betlemme: il Re ti ha scelto come sua abitazione. Ricevi, o greppia, come fanciullino in fasce, il Cristo che viene a sciogliere nella sua bontà le catene delle colpe degli uomini. […] La Vergine porta, rivestito di carne mortale, te, che tutto porti, e che ti compiaci di albergare in una piccola grotta».
Così canta la liturgia della chiesa cattolica nei vespri dal 17 al 24 dicembre: «Accogli nel tuo grembo, o Vergine Maria, il Verbo di Dio Padre. Su te il divino Spirito distende la sua ombra, Madre del Signore.
Porta santa del tempio, intatta ed inviolabile, ti apri al re della gloria». E nella colletta della quarta domenica di Avvento anno A, così prega: «O Dio, Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della tua parola, nell’obbedienza della fede».
In questa icona viene così riassunta tutta la teologia e la spiritualità dell’Avvento.

2. L’ICONA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE

C’è un banale luogo comune che da noi aleggia sul Natale: lo consideriamo un po’ tutti come la festa del “compleanno di Gesù”. L’icona della Natività del Signore, invece, in obbedienza alle pagine bibliche dei Vangeli dell’Infanzia, ci vuole condurre, passo dopo passo, a vivere il Natale del Signore in una prospettiva totalmente diversa. Lasciamoci allora guidare dalla sua mistagogia.
Nell’icona della Natività del Signore l’iconografo (qui è il famoso Andrei Rublev che la realizzò intorno al 1420 a Mosca) “trascrive” le pagine di Mt 1-2; Lc 2,1-20 e Gv 1,1-18, dopo averle lette, meditate e pregate alla luce di tutta la rivelazione biblica e della fede della Chiesa.
L’icona presenta tre scene, disposte su tre piani orizzontali.



a) Prima scena: il piano della profezia
La prima scena, in alto, costituisce il “piano della profezia”. Al centro abbiamo un raggio di luce dal quale emerge la Stella e dalla quale parte un raggio di luce trisolare che si proietta nella grotta tenebrosa e oscura. Tutto questo simboleggia la presenza di Dio Trinità che è Luce per gli uomini (cf. 1Gv 1,5), Luce che «splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno sopraffatta» (Gv 1,4-5), Luce divina che si manifesta nel Verbo fatto creatura umana debole e fragile (“carne”), cioè nel Figlio che viene ad illuminare ogni uomo (cf. Gv 1,9).
Dal raggio di luce, si diceva, emerge la Stella: essa rappresenta il Messia, “Stella del mattino”, annunciato dai profeti (cf. 2Pt 3,19; Ap 22,16; Nm 24,15-17); annuncio profetico che seguono nel loro cammino di ricerca della Sapienza i tre Magi sapienti provenienti dall’oriente (cf. Mt 2,1-5.9-10), collocati a sinistra di chi guarda.
Così canta la liturgia della chiesa cattolica nel vespro del 21 dicembre: «O Astro che sorgi, splendore della luce eterna, sole di giustizia: vieni, illumina chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte».
E alle lodi del mattino nei giorni che vanno dal 17 al 24 così canta: «Le voci dei profeti annunziano il Signore, che reca a tutti gli uomini il dono della pace. Ecco una luce nuova s’accende nel mattino, una voce risuona: viene il re della gloria».
Ecco perché siamo nel “piano della profezia”. È come ascoltare la preghiera del profeta Isaia: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19), vera epiclesi/invocazione della discesa dello Spirito Santo sull’umanità, a cui Dio risponde inviando il Figlio, nato dallo Spirito: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,85).
A destra di chi guarda notiamo due angeli in adorazione e un terzo che annuncia ai pastori l’evento della nascita del Messia Salvatore, indicando il segno delle fasce e della mangiatoia per riconoscerlo (cf. Lc 2,11-12).

b) Seconda scena: il piano del Mistero dell’Incarnazione del Signore
La seconda scena, collocata nella zona mediana o centrale dell’icona, costituisce il piano del Mistero dell’Incarnazione che realizza la profezia.
Figura centrale è il Bambino avvolto in fasce, giacente nella mangiatoia (cf. Lc 2,12). Ma se si osserva con più attenzione, le fasce assomigliano molto alle bende che avvolgono il corpo di Cristo nel sepolcro, la mangiatoia assomiglia molto ad una tomba e la Grotta (i vangeli non ne parlano, qui l’iconografo segue la tradizione) assomiglia al Sepolcro/Luogo del Memoriale dove fu deposto Gesù.
Si noti anche un’altro particolare: per la sua forma, la Grotta come voragine oscura e tenebrosa ci rimanda alla Grotta, voragine tenebrosa e oscura degli inferi posta sotto i piedi del Risorto nell’icona della “Discesa agli inferi”. Non sono coincidenze casuali, bensì somiglianze intenzionalmente volute, poiché l’iconografo, che ha meditato le pagine evangeliche della nascita di Gesù nella prospettiva del senso globale delle S. Scritture e della fede della Chiesa, contempla nel Mistero del Natale del Signore il Mistero della Pasqua del Signore. Il Natale lo si comprende e lo si contempla soltanto alla luce della Pasqua. L’ “Oggi” del Natale (cf. Lc 2,11) è l’ “Oggi” salvifico e liberante della Risurrezione del Signore!
Così canta la liturgia della chiesa cattolica nel vespro del 20 dicembre: «O Chiave di Davide, scettro della casa d’Israele, che apri, e nessuno può chiudere, chiudi, e nessuno può aprire: vieni, libera l’uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte».

Considerata l’icona dalla prospettiva della Pasqua del Signore, possiamo allora dire:
— che i tre Magi (cf. Mt 2,10-11) evocano le donne mirofore che vanno al Sepolcro/Luogo del Memoriale per ungere il corpo del Signore (cf. Lc 24,1-2 e parall.);
— che i tre angeli che adorano a lato della Grotta e cantano il Gloria (cf. Lc 2,13-14), evocano gli angeli che nel Sepolcro/Luogo del Memoriale annunciano alle donne: «Non è qui, è Risorto» (cf. Lc 24,3-8);
— che i due pastori che ricevono l’annunzio dagli angeli e che, secondo la narrazione evangelica, vanno a Betlemme per vedere l’evento e che poi a loro volta lo annunciano agli altri (cf. Lc 2,15-17.20 e parall.), evocano: sia le donne mirofore che ricevono per prime l’annuncio della Risurrezione del Signore e che come prime apostole lo annunciano ai discepoli (cf. Lc 24,5-10 e parall.), sia i discepoli che corrono al Sepolcro/Luogo del Memoriale per vedere ciò che le donne mirofore hanno annunziato loro (cf. Lc 24,12 e parall.);
— che la mangiatoia/tomba evoca il dono esistenziale di Gesù come “Pane di vita” (cf. Gv 6; Lc 22,19-20; non si dimentichi che “Betlemme” in ebraico significa “Casa del Pane”).
Dunque, tutta l’icona, attraverso la luce dorata diffusa e le lumeggiature di bianco, trasmette la luce della Pasqua del Signore.
Così canta la Liturgia bizantina nella domenica che precede il Natale: «Vedendo Isaia la luce senza tramonto della tua teofania, o Cristo, a noi manifestata nella tua compassione, vegliando sin dai primi albori gridava: Risorgeranno i morti e si desteranno quanti sono nei sepolcri, e tutti gli abitanti della terra esulteranno (cf. Is 26.9.19)».
E nel vespro del Natale canta: «Sei sorto, o Cristo, dalla Vergine, spirituale sole di giustizia; la stella ha indicato te, che nulla può contenere, racchiuso in una grotta, guidando i magi perché venissero ad adorarti: con loro noi ti magnifichiamo, o datore di vita, gloria a te».

È interessante notare due particolari che differenziamo l’icona della Natività dal nostro presepe:
— la Grotta rimane voragine oscura, mentre viene illuminato il paesaggio tutt’intorno,
— il Bambino è collocato sull’asse verticale centrale (che segue il raggio trisolare) che si incrocia con l’asse orizzontale (che distingue la seconda dalla prima scena), formando così la dimensione classica della Croce.
Tutto questo per dire: che in Cristo «era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno sopraffatta» (Gv 1,4-5); che il Risorto è sempre il Crocifisso (cf. Lc 24,39-40; Gv 20,20.27); Colui che è di natura di divina è sempre Colui che «spogliò se stesso assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7) e che «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8).
Nell’interno della Grotta vi sono il bue e l’asino in adorazione. L’iconografo ha seguito qui i vangeli apocrifi, ma, probabilmente, anche Is 1,5, dove il bue e l’asino rappresentano i pagani che riconoscono il Signore.

Fuori della Grotta vi è la Madre del Signore. Ella è distesa, perché riposa dopo il parto. Ma è anche rivestita di porpora regale (simbolo della divinità) e distesa sulla roccia su un tappeto rosso a “mandorla” che rappresenta la sfera della divinità. Il rosso e il porpora che l’avvolgono evocano il roveto ardente che non si consuma (cf. Es 3,2), simbolo della presenza di Dio e del suo Amore per l’umanità che non si consuma mai, che dura in eterno (cf. Sal 136): come il roveto era l’“abitazione di Dio” (cf. Dt 33,16), così il grembo verginale della Madre di Dio, della Theotokos, è diventato luogo di abitazione del Figlio di Dio (cf. Lc 1,42).
È bene sapere che esiste l’icona della “Madonna del roveto ardente” (rappresentata qui) e che nel monastero del Monte Sinai esiste un’icona in cui Mosè, illuminato dalla fiamma teofanica, regge con le mani la figura della Theothokos “roveto ardente”.



Possiamo ricordare qui quanto canta la liturgia della chiesa cattolica nei vespri del 18 dicembre: «O Signore, guida della casa di Israele, che sei apparso a Mosè nel fuoco del roveto, e sul monte Sinai gli hai dato la Legge: vieni a liberarci con braccio potente».
Ritorniamo alla nostra icona. Maria porta una stella sulla fronte e due, rispettivamente, sulla spalla sinistra e sulla spalla destra: indicano la sua verginità prima, durante e dopo il parto; per questo il “roveto che non si consuma” evoca simbolicamente anche la verginità perpetua di Maria. Così canta la Liturgia bizantina nel vespro del 18 dicembre: «Vergine degna di ogni canto, con occhi profetici Mosè vide il tuo mistero nel roveto ardente che non si consumava: il fuoco della Divinità infatti non ha consumato il tuo grembo, o pura. Ti chiediamo dunque, quale Madre del nostro Dio, di donare al
mondo la pace».
Lo sguardo della Madre non è rivolto verso il Bambino, ma sugli eventi che conserva e medita nel suo cuore (cf. Lc 2,19).
Nella Madre del Signore, però, bisogna contemplare anche l’immagine dell’Umanità (perciò aderisce alla terra) e della Chiesa che, accogliendo e custodendo il seme bello/buono della Parola del Signore, “genera” Cristo (cf. Lc 8,15.21) e lo dona al mondo come segno di speranza e di liberazione.

c) Terza scena: il piano della fede
Veniamo alla terza scena, collocata nella sezione inferiore dell’icona: è il “piano della fede”, il piano del Mistero dell’Incarnazione vissuto nella fede.
A sinistra di chi guarda troviamo Giuseppe, seduto e pensieroso. Di fronte a lui una figura vestita da pastore – chiamato Tirso, secondo gli apocrifi – con un bastone, quasi a rappresentare le perplessità, i dubbi e i timori di Giuseppe (cf. Mt 1,20).
Ma in questa figura di pastore, vestito come i profeti dell’AT e come Giovanni Battista, possiamo vedere anche il profeta Isaia che ricorda a Giuseppe il segno dato da Dio della vergine che «concepirà e partorirà un figlio, che si chiamerà Emmanuele», Dio-con-noi (Is 7,14; cf. Mt 1,23) e ricorda anche la profezia del germoglio che spunterà dal tronco secco di Iesse (Is 11,1-2; Iesse fu il padre di Davide). Da notare che l’immagine del “germoglio” è ben visibile tra Giuseppe e il profeta, ma anche quasi ovunque tra le rocce (il profeta Isaia è ben presente nell’icona), e in particolare al centro della terza scena, dove attorno al “germoglio” sembrano pascolare l’agnello e il lupo (cf. Is 11,6-7).
Così canta la liturgia bizantina nella domenica che precede la Natività: «Virgulto dalla radice di Iesse e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine sei germogliato, dal boscoso monte adombrato, o degno di lode: sei venuto incarnato da una Vergine ignara d’uomo, tu immateriale e Dio. Gloria alla tua potenza,
Signore».
E la liturgia della chiesa cattolica nel vespro del 19 dicembre: «O Germoglio di Iesse, che ti innalzi come segno per i popoli: tacciano davanti a te i re della terra, e le nazioni ti invocano: vieni a liberarci, non tardare».
E nel 22 dicembre la liturgia bizantina canta: «Tripudia, Davide, perché dai tuoi fianchi è il Cristo; gioisci, Iesse, perché la tua radice fiorisce; dai tuoi lombi, o Giuda, verrà il Signore; come Balaam, guardate, o genti: secondo la parola del grande Isaia: ecco, l’augustissima Vergine partorirà il bambino l’Emmanuele».

Si diceva di Giuseppe seduto e pensieroso. Qui emerge non solo il Giuseppe “dubbioso”, ma anche il Giuseppe “sognatore” (cf. Mt 1,20.24; 2,12.14.19.21.22). Egli è l’uomo giusto (cf. Mt 1,19; Sal 1; 15) che sogna una società più giusta, ovvero più attenta all’ascolto di Dio e ai diritti dei più deboli e degli esclusi; sogna un mondo, una società in cui si viva come figli e come fratelli. E allora Dio, attraverso i suoi “messaggeri” (= “angeli”, cf. Mt 1,20, ovvero situazioni, fatti, esperienze, persone...), gli fa comprendere che questo suo sogno è anche il sogno di Dio e che Lui lo realizzerà attraverso le scelte e lo stile di vita del Figlio suo, l’Emmanuele, il Dio-con-noi (cf. Mt 5,3-12.44-45.48; 23,8; 25,40). Giuseppe il “sognatore” è chiamato adesso a “prendere con sé” (cf. Mt 1,24; 2,14.21), ovvero ad accogliere con fede e a custodire con cura il dono di questo Figlio.
Al lato destro, sempre della terza scena, troviamo due donne che fanno il bagno al Bambino. Secondo gli i vangeli apocrifi la donna che tiene tra le braccia il Bambino, quasi in segno di adorazione, è Salome; la donna che lo lava è Eva, la madre dei viventi. Ma quello che è più interessante di questa raffigurazione è la vasca che assomiglia molto al fonte battesimale. Anche questo elemento è intenzionale: il Natale celebra la nascita di Gesù, l’Uomo Nuovo, ma celebra pure la nostra ri-nascita in Lui mediante i sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia: cf. Rm 6,1-11; Ef 4,24; Col 3,9-10). Una suggestione in più, che viene, ancora una volta, a confermare la dimensione pasquale del Natale del Signore.
E allora, celebreremo ancora il Natale come se fosse il “compleanno di Gesù”?

LETTURE PER APPROFONDIRE

Icona della Vergine del Segno
M. DONADEO, Le icone: immagini dell’invisibile, Morcelliana, Brescia 1990, p. 87;
M. DONADEO, Icone della Madre di Dio, Morcelliana, Brescia 1982, pp. 92-95;
M. G. MUZJ, Trasfigurazione. Introduzione alla contemplazione delle icone, Paoline, Milano 1987, pp. 37-40.
Icona della Natività del Signore
P. N. EVDOKIMOV, Teologia della Bellezza. L’arte dell’icona, Paoline, Roma 1981, pp. 252-268;
G. PASSERELLI, Iconostasi. La teologia della bellezza e della luce, Mondadori, Milano 2003, pp. 123-141;
M. G. MUZJ, Trasfigurazione. Introduzione alla contemplazione delle icone, Paoline, Milano 1987, pp. 107-111;
G. DOBROT, La lettura delle icone. Introduzione storico-teologica all’Icona della Natività, EDB, Bologna 2000.