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Dio può dare le dimissioni?
di Carlo Molari


Le dimissioni di Benedetto XVI hanno sorpreso tutti, ma sorprendenti sono anche alcune reazioni di coloro che hanno visto nel gesto del Papa un atto teologicamente rilevante. Eugenio Scalfari, ad esempio, ha parlato di rivoluzione e della conseguente scomparsa degli ostacoli nel cammino verso l'unità da parte delle Chiese orientali perché con questa decisione Benedetto XVI avrebbe demitizzato la sua funzione di successore di Pietro nella Cattedra di Roma. Egli scrive: «Ma qual è la natura e quali saranno le conseguenze di questa rivoluzione? La natura è evidente: la Chiesa si laicizza. Il Papa è stato finora considerato all'interno della Chiesa e della comunità dei credenti, come Vicario di Cristo in terra e, infatti, quando parla 'ex cathedra' su questioni di fede la sua parola è infallibile come decretò il Concilio Vaticano I del 1870» (Repubblica, 12 febbraio). Secondo Scalfari da questo gesto apparirebbe che non esiste «il rapporto diretto tra il Capo della Chiesa e il Figlio di Dio», perché la decisione del Papa mette in chiaro che «l'autorità del Vescovo di Roma su tutta la cristianità non deriva da altro che dall'elezione in conclave da parte dei cardinali, una cerimonia del tutto laica... Le conseguenze di questa secolarizzazione e laicizzazione riguardano la distribuzione dei poteri all'interno della Chiesa: in parallelo con la diminuzione del ruolo del Papa aumenterà quella dei Concili e dei Sinodi, cioè delle assemblee dei Vescovi» (ib.).
Certamente ci sono stati periodi nei quali in certi ambienti ecclesiali si era diffuso un modo miracoloso o soprannaturale di interpretare il ministero del Papa. Negli spazi liberi del Blog del giornalista Andrea Tornielli un intervento ha citato il vecchio dizionario ecclesiastico di Lucio Ferrari che scriveva: «Il papa è di tale dignità e altezza che è non semplicemente un uomo, ma, per così dire, Dio, e il Vicario di Dio... quale re del cielo, della terra e dell'inferno. Il papa è, per così dire, Dio sulla terra... Il papa può a volte contrastare la legge divina». Il lettore ironicamente si chiede: «Atroce dilemma: Dio può dare le dimissioni?».
Ma da tempo queste esaltazioni di carattere quasi idolatrico sono scomparse dal linguaggio ecclesiale e non sono mai entrate nel linguaggio teologico. In realtà la decisione di Benedetto XVI non cambia nulla circa la teologia del Papato, ma piuttosto riflette gli sviluppi dottrinali già avvenuti nella teologia del postconcilio circa i ministeri ecclesiali.
Il servizio papale alla verità non avviene in modo miracoloso ma è una funzione inserita nel processo quotidiano della vita ecclesiale. Il Papa ha il compito di rilevare ciò che emerge dalla vita concreta delle comunità in ordine alla verità salvifica e di proclamarlo in modo autorevole. Il Vaticano I ha definito che in particolari circostanze e a determinate condizioni il Papa «gode della infallibilità di cui gode la chiesa». Sia bene chiaro: la comunità ecclesiale non è infallibile in tutte le cose che pensa o che crede e quindi neppure il Papa lo è. Ma quando la comunità ecclesiale nelle diverse situazioni storiche vive con fedeltà il Vangelo è in grado di cogliere le verità  relative alla salvezza, di individuare cioè le vie della maturità umana, le scelte per pervenire a pienezza di vita. Il Papa e gli altri Vescovi hanno il compito di riconoscere e accogliere ciò che emerge dalla esperienza ecclesiale e di proclamarlo autorevolmente. Questo servizio si svolge secondo le dinamiche quotidiane della ricerca e del confronto. Il Papa non ha alcun rapporto diretto con Dio o con Cristo risorto oltre quello comune della vita teologale di tutti i fedeli che consiste: nell'esercizio della fede, nell'attesa della speranza, nella pratica dell'amore di Dio. Anche la consacrazione episcopale non aggiunge alcuna nuova capacità operativa che vada oltre le dinamiche fisiche, psichiche e spirituali delle persone a cui si affidano i ministeri ecclesiali. Quella che viene chiamata la 'grazia di stato' si sviluppa attraverso le particolari situazioni storiche in cui l'esercizio pastorale si attua. Gli strumenti nuovi a disposizione e le esperienze inedite compiute consentono all'azione creatrice di Dio di fiorire in modi singolari. Le situazioni vissute nell'orizzonte teologale stimolano reazioni e sviluppano dinamiche in ordine al bene comune, ma dipendenti sempre dalle capacità operative dei singoli soggetti coinvolti. L'azione creatrice di Dio non supplisce le carenze delle persone.

nuove condizioni del servizio papale
Credo che se non ci fosse l'attuale struttura unitaria della chiesa cattolica occorrerebbe inventarla.
D'altra parte essa si è consolidata nella storia proprio perché ha svolto una funzione positiva in ordine allo scambio continuo dei beni salvifici e delle esperienze comunitarie.
Ciò non vuol dire che l'organizzazione centralizzata della chiesa cattolica sia l'unica possibilità reale per vivere la sequela di Cristo, ma certamente essa è una delle modalità oggi più efficaci.
Lo stile che ha acquistato il servizio del Vescovo di Roma per la chiesa cattolica negli ultimi decenni, soprattutto con Paolo VI e con Giovanni Paolo II richiede forze psichiche condizioni fisiche straordinarie. Ci sono in programma le giornate mondiali della gioventù a Rio de Janeiro e altri appuntamenti che richiedono una resistenza fisica notevole. Considerate a livello personale le dimissioni del Papa costituiscono un atto di onestà e di rigore. È comprensibile quindi che Benedetto XVI abbia constatato la difficoltà in cui si trova di portare avanti il suo compito per il quale «è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo». Egli ha esplicitamente dichiarato che esso: «negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me andato». D'altra parte Benedetto XVI aveva personalmente sperimentato le difficoltà che sorgevano per tutta la chiesa quando per il declinare delle forze i Vescovi di Roma non erano più in grado di svolgere bene il loro compito. Egli conosce la grave stagnazione che hanno caratterizzato gli ultimi anni del Pontificato di Pio XII. Quando tutti i dicasteri della Curia vennero affidati a pochi cardinali ciascuno dei quali presiedeva contemporaneamente molti organismi. Aveva sperimentato personalmente le difficoltà delle decisioni urgenti nella lunga malattia di Giovanni Paolo II. Sapeva che in queste circostanze nella Curia si sviluppano processi autonomi di gruppi di potere spesso ingovernabili. La formula che egli ha utilizzato per giustificare la sua scelta: «per il bene della Chiesa» si riferiva chiaramente a questi possibili sviluppi. Alcuni episodi degli ultimi anni lasciavano prevedere la probabilità di fenomeni analoghi anche nel caso di una sua malattia, o di una maggiore debolezza fisica e psichica.
Due quindi i principali riflessi dell'attuale decisione: evitare un periodo di stagnazione nella vita ecclesiale nell'attuale fase difficile della storia umana, e il probabile inizio di una nuova tradizione nella storia ecclesiale per cui anche il Papa si sottomette alla legge della scadenza del suo mandato come avviene già nella chiesa per i Parroci, i Vescovi e i Cardinali.

ministero di preghiera
Ma vi è un altro insegnamento nella decisione di Benedetto XVI. Egli rimane in Vaticano per svolgere un ministero orante. Risiederà nel Monastero che ha ospitato alcune monache di diversi ordini in successione negli anni scorsi. La scadenza nel dicembre scorso dell'ultimo gruppo gli ha offerto l'occasione di interrompere l'esperienza avviata dal suo predecessore per riservarsi uno spazio di vita ritirata, senza la necessità di creare nuove strutture in qualche monastero del mondo.
L'attività che Ratzinger si ripromette di continuare per la Chiesa è la preghiera. Ciò corrisponde al naturale sviluppo della vita spirituale cristiana, ma anche ad una specifica caratteristica della sua esperienza teologica. Nella introduzione al primo volume dell'opera omnia ha scritto: «La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l'attività centrale della mia vita ed è diventata anche il centro del mio lavoro teologico».
L'importanza della preghiera non risiede nel fatto che Dio ascoltando l'invocazione degli uomini operi con nuovi interventi nella storia umana, ma nel fatto che le creature stesse pregando diventano strumenti efficaci dell'azione divina nel mondo. In una delle molte catechesi dedicate recentemente alla preghiera il Papa ha detto: «Devo immergermi progressivamente nelle parole della Chiesa, con la mia preghiera, con la mia vita, con la mia sofferenza, con la mia gioia, con il mio pensiero. È un cammino che ci trasforma». Parlava di ogni fedele, ma in filigrana probabilmente egli vedeva già la sua nuova vita dopo la decisione che stava maturando (Catechesi 3 ottobre 2012). 

(fonte: “Rocca” n. 5 del 1 marzo 2013)



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