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Futuro. Se non guardi avanti il presente evapora
di Alessandro D’Avenia


Nella città in cui vivo, alla velocità di una bicicletta, su un muro costellato da sfoghi, ho letto: “Il futuro non è più quello di una volta”. Ho immaginato chi, complice la notte, ha verniciato quel tormento, lo stesso racchiuso nelle migliaia di lettere che ricevo dai lettori dei miei romanzi. La parola che vorrei salvare è proprio “futuro”. Ripetiamo ossessivamente le parole di quel che perdiamo. La parola futuro è sulla bocca di tutti, proprio perché forse tra un po' ce ne resterà solo il suono. E senza questa parola ne sparisce un'altra che ci illudiamo sia più al sicuro: presente. Il presente è in realtà il luogo e il tempo in cui si realizza ciò che ci rappresentiamo come futuro. Se il futuro sparisce, evapora anche il presente. Un bambino senza l’abbraccio e la cura dei genitori non interiorizza mai la vita come promessa: il mondo sarà labirinto, il tempo sicario. I ragazzi con i quali sto in classe, solo se percepiscono su se stessi lo sguardo promettente di qualcuno che fa da mediatore tra futuro e presente, si mettono in gioco sulle rotte difficili della vita e navigano lontano dagli attracchi sicuri delle mura casalinghe, alla ricerca di un porto segnalato sulle carte geografiche del desiderio: il futuro. Ma se il futuro non ha immagine, si prosciugano immaginazione, creatività e coraggio, e con essi il carburante necessario a percorrere le fatiche del quotidiano. Non sto parlando delle illusioni in cui ci rifugiamo per lenire la frustrazione dei nostri limiti e salutari fallimenti, ma di quella reale possibilità di sognare per il semplice fatto che ognuno di noi c’è ed è il possibile compiersi di qualcosa di nuovo, mai visto tra gli 80 miliardi di uomini che hanno calpestato il mondo.
La libertà è la fiducia di essere un nuovo inizio, che consumismo e potere inibiscono. La parola futuro infatti viene dal participio “futuro” latino del verbo essere: ciò che è sul punto di essere, che sta per essere. Ogni seme è sul punto di essere. Ogni seme è il suo futuro. Ma solo se so che sono già adesso il nuovo inizio di qualcosa che avverrà domani, tirerò fuori le risorse che l'avvenire sa evocare e provocare al presente. Altrimenti mi accontenterò di una vita impaurita, in cerca di sicurezze individualistiche e narcisistiche. Capolinea: solitudine e cinismo.
Cronos, nel racconto mitico, divora i suoi figli perché sa che uno di loro lo spodesterà. Si mangia il futuro per paura del futuro. Cronos è un padre cannibale. La favola purtroppo è attuale. Il futuro non esiste più per una diffusa sindrome di Cronos. Il padre è l'immagine del futuro, colui che è capace di provocare la nostalgia di futuro di cui ogni giovane ha bisogno per affrontare il presente. Padri sono i padri di famiglia, spesso assenti; padri sono i maestri a scuola e all’università, spesso padrini; padri sono i politici, spesso padroni; padri sono gli uomini delle agenzie educative (dalla chiesa alla tv), spesso patrigni. Padri sono tutti coloro a cui sono affidate le vite di altri, che padri diventano se si pongono al servizio di quella vita che non è loro e di cui dovranno rendere conto alla storia. Se i padri non servono le vite dei figli, ma le divorano, niente è più sul punto di essere. L'Italia del dopoguerra era di padri. Lo sarà quella di questa crisi, che non è sicuramente peggio di una guerra?
Ogni uomo può sperare perché è atteso nello sguardo di un altro. Non controllato, non divorato. Lo so perché ho la fortuna di avere un padre: mio padre. Ho avuto la fortuna di conoscere grandi padri: M. Franchina e Padre Puglisi, rispettivamente professore di lettere e di religione del mio liceo, e poi Paolo Borsellino, vicino di casa. Da loro ho ricevuto il futuro e quindi il presente. E se oggi posso provare ad essere l'inizio di qualcosa, magari un buon padre, è perché quei padri con i loro sguardi mi hanno reso un buon figlio. A loro devo il mio futuro, cioè il mio presente.

Alessandro D'Avenia
(Fonte: “il Fatto Quotidiano” del 19 agosto 2013)




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