La cattedra di un cristiano in dialogo
di
Fabio Ballabio
La
parola di Dio come lampada. E la speranza di incontrare sul cammino
persone pensanti. Solo in seguito si porrà la questione se siano
credenti o no. Così Carlo Maria Martini ha portato la questione della
fede sulla scena pubblica, nel confronto con le ragioni di chi crede
diversamente o non crede per nulla, traendo la fede cristiana fuori
dall'intimismo, dal moralismo, dalla ghettizzazione.
Da rettore del Pontificio istituto biblico, il gesuita Martini, insieme
al tedesco Kurt Aland, allo scozzese Matthew Black e allo statunitense
Bruce Metzger, giunge all'esperienza ecumenica di compilare il testo
critico del Nuovo Testamento greco. Leggendo le parole della Scrittura
e intuendo il mistero divino, Carlo Maria Martini capisce di più sé
stesso, i suoi problemi, le sofferenze e le gioie della vita. Se la
Bibbia è la parola di Dio – si chiede – perché ciascuno non deve
cercare di leggerla per intero?
Da vescovo di Milano, nella sua prima lettera pastorale mette in
risalto la dimensione contemplativa della vita, alla ricerca di un
senso più profondo dell'essere umano, per un ritorno alle radici
dell'esistenza. Un rimando alle tradizioni religiose dell'Oriente a
partire da una coscienza della propria identità che è così certa e
serena da lasciarsi volentieri arricchire dai tesori degli altri. La
sua seconda lettera, che attira le simpatie dei protestanti italiani,
si intitola In principio la Parola. Nella convulsa e problematica
Milano degli anni '80, l'arcivescovo scommette sulla Bibbia per un
benefico rinnovamento dei modi di pensare, di parlare, di comunicare
della sua gente.
In occasione del 25° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra
aetate (1965) la diocesi di Milano promuove un incontro tra il
cardinale e il rabbino capo della città. Quell'incontro con rav
Giuseppe Laras rafforza nel cardinale la convinzione di un intrinseco
rapporto tra i cristiani e la fede ebraica. L'anno successivo, durante
una manifestazione contro l'antisemitismo, esorta a essere per il
popolo ebraico, per la sua cultura, per i suoi valori, per la sua
ricchezza umana e spirituale, per la sua storia, per la sua
straordinaria testimonianza religiosa.
Da membro della Pontificia commissione della Santa Sede per i rapporti
religiosi con l'ebraismo, invita gli studenti cattolici a recarsi a
Gerusalemme per studiare l'ebraico e il giudaismo postbiblico. Sarà
presidente onorario dell'International Council of Christians and Jews,
con sede presso la Martin Buber House a Heppenheim (Germania), un
organismo che raccoglie trentotto associazioni di dialogo
ebraico-cristiano sparse in tutto il mondo.
Fin dal suo arrivo a Milano, l'arcivescovo stabilisce rapporti con le
altre comunità cristiane presenti sul territorio, all'inizio dell'anno
invita i loro rappresentanti nella sua casa per lo scambio di auguri,
offre luoghi di culto agli ortodossi copti, eritrei e romeni. Accoglie
e implementa l'impostazione sinodale dell'arcidiocesi che, con lui,
giunge al 47° Sinodo. Riceve la visita del primate anglicano,
l'arcivescovo George Carey; del catholicos degli armeni Karekin I, del
patriarca ecumenico Bartolomeo I e di altri personaggi dell'Ecumene
cristiana. Il suo è un atteggiamento di accoglienza, ascolto, dialogo,
fraternità secondo lo spirito delle Beatitudini.
Si reca a Barcellona e a Madrid per presentare l'assise ecumenica che
avrà luogo nel 1989. Inaugura così la presidenza del Consiglio delle
Conferenze episcopali europee che manterrà fino al 1993, stringendo una
collaborazione con la Conferenza delle Chiese (ortodosse ed
evangeliche) d'Europa, presieduta all'epoca dal patriarca ortodosso
russo Aleksej II. Insieme guidano la prima Assemblea ecumenica europea
di Basilea su pace, giustizia e salvaguardia del creato. Un'Europa
chiamata a respirare con la forza dei suoi due polmoni, orientale e
occidentale, due organi in un corpo solo.
Insieme al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro inaugura,
presso la Casa alpina di Motta di Campodolcino (Sondrio), il Centro
ecumenico europeo per la pace. In quell'occasione invita i cristiani
d'Europa ad aprire la porta del cuore affinché pace, giustizia,
solidarietà e un mondo migliore non siano più sogni e utopie, ma
speranze basate sul dono dello Spirito. La struttura ospita gli
incontri residenziali di Lettura ecumenica della Parola. Memorabile
resta il suo discorso nel Tempio valdese di Milano il 24 gennaio 1998
in occasione dell'inaugurazione del Consiglio delle Chiese cristiane di
Milano.
Un eminente pastore della Chiesa cattolica romana, definita spesso
magistra oltre che mater, mette il proprio seggio episcopale a
disposizione di persone che non hanno una fede religiosa. Nasce così la
"Cattedra dei non credenti" su cui salgono persone di scienza e di
fede, teologi e filosofi, persone dotate di una tensione spirituale le
cui ragioni sono di stimolo ai credenti nel ripensare la propria fede.
Tra gli altri, vengono affrontati argomenti come il silenzio di Dio di
fronte alla Shoah ('93), o il rapporto tra fedi e violenza ('96).
Nel frattempo il cardinale, in un suo celebre discorso alla città in
occasione della festa di Sant'Ambrogio, pone a tema il rapporto con i
musulmani. A partire dall'Ismaele biblico, evidenzia le differenze tra
le due fedi, riconosce i valori storici dell'islam, la sua presenza in
Europa, delinea l'atteggiamento della Chiesa tra dialogo e annuncio del
Vangelo. Qualche anno dopo, la diocesi di Milano ospita il VII Incontro
internazionale per la pace Uomini e religioni promosso dalla Comunità
di Sant'Egidio. Per Martini l'incontro con diversi percorsi religiosi è
un grande aiuto per evitare di ripiegarsi su sé stessi e divenire più
capaci di cogliere la complessità della vita e del mondo.
Per questo suo modo di pensare la Chiesa, il cardinale viene
apertamente contrastato sia sul piano politico che su quello
ecclesiale, ma chi vive nella diocesi di Milano oggi fa esperienza di
un rapporto più intenso ed esteso con la Scrittura anche grazie al
nuovo Lezionario, di un magistero che non è alternativo bensì
complementare con quello di Roma, di una più grande libertà e di una
chiamata a una maggiore responsabilità nella vita delle comunità
pastorali.