La dignità di chi bussa all'Europa
di mons. Bruno Forte
Editoriale dell’arcivescovo di Chieti-Vasto su “Il Sole 24 Ore” di domenica 8 Maggio 2016
“Sono proprio un vecchio Europeo!” (“Ich bin doch ein alter Europäer!”): così alcuni anni fa mi scriveva dagli Stati Uniti, dove trascorreva un semestre da “visiting Professor”, l’amico teologo evangelico Jürgen Moltmann, autore di opere significative del pensiero della fede, fra cui la rinomata “Teologia della speranza”. Il suo non era certo un giudizio dispregiativo: come me e tanti altri, Moltmann ha sempre apprezzato la straordinaria capacità di lavoro e di produzione della Nazione americana, leader dell’Occidente e formidabile crogiuolo di genti (vero e proprio “melting pot”). La riserva riguardava semmai l’assoluta centralità degli affari nel mondo americano, spinta a volte fino a sacrificare gli stessi lavoratori, e la velocità impressa a ogni aspetto della vita in nome del principio “time is business”, “il tempo è denaro”. Dal confronto emergeva un’Europa forse più lenta, perché legata al peso del suo grande passato, e tuttavia culla e custode dei valori che esaltano la dignità dell’essere personale in ogni uomo e per tutto l’uomo. Questa sorta di autocoscienza europea è stata sancita in un testo tanto rilevante sul piano etico, quanto spesso obliato sul piano pratico: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, detta anche Carta di Nizza, dal luogo in cui venne approvata il 7 dicembre 2000, per essere poi confermata, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo dalle varie Istituzioni europee (Parlamento, Consiglio e Commissione).
La Carta non è un di più decorativo della vita dell’Unione, ma ha un valore vincolante per le istituzioni comunitarie e gli Stati membri. L’intenzione che ne motivò l’approvazione fu quella di corrispondere alla necessità emersa durante il Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999 di definire un insieme di diritti e di libertà fondamentali da garantire a tutti i cittadini dell’Unione. Vengono enunciati in essa i principi da rispettare in sede di applicazione del diritto comunitario, anche se l’attuazione concreta resta affidata alle normative nazionali. La Carta indica come valori fondanti dell’Europa unita la dignità di ogni persona umana (articoli 1-5), il suo diritto alla libertà (art. 6-19) e all’uguaglianza (art. 20-26), la solidarietà (art. 27-38), la cittadinanza (art. 39-46) e la giustizia per tutti (art. 47-50). Senza esagerare si potrebbe affermare che si tratta di un manifesto nobilissimo dal punto di vista morale e al tempo stesso di un elenco pratico ed esigente dei valori su cui deve fondarsi qualsivoglia convivenza democratica, che intenda essere tale.
La domanda che mi è sorta davanti a una così solenne dichiarazione di principi in prossimità del 9 Maggio, giornata dell’Europa, è se il comportamento dell’Unione e di molti dei suoi Stati membro, fra cui alcuni fondatori, sia oggi conforme a quanto in essa dichiarato. Ho provato a fare la verifica su un tema di scottante attualità: la sfida dei migranti e dei rifugiati, che bussano alle porte della comune casa europea. L’enunciato dell’articolo 1 della Carta afferma con decisione: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. Il principio affermato non si limita certo nella sua esigitività ai soli cittadini che fanno già parte dell’Unione: si tratta di una verità etica di portata universale. Non posso allora non chiedermi se la dignità delle folle di migranti e di rifugiati, tenute fuori dalle porte dell’Europa o viste come una minaccia da cui difendersi mediante muri e fili spinati – abituali in ben altre epoche storiche e per iniziativa di regimi oppressivi e violenti – sia di fatto “rispettata e tutelata”.
Come ha fatto capire tangibilmente la visita di Papa Francesco a Lesbo, non si tratta di masse astratte e senza volto, ma di persone umane vive e concrete, in fuga dalla violenza della guerra, dalla miseria e dalla fame, che sono e restano creditrici del rispetto e della tutela della loro dignità personale, di cui fa parte il legittimo desiderio di una vita migliore, economicamente e socialmente più stabile e sicura. È stata forse tutelata e rispettata la dignità di tante persone in fuga verso l’Europa, fra cui numerosissimi bambini, morte annegate nella acque di quello che i Romani chiamavano il “mare nostrum”? O quella di chi è stato sottoposto a un censimento che lo riduce a un numero e lo espone a essere trattato come tale, fino a consentire scambi di persone come se si trattasse di cose, secondo la logica del “te ne restituisco tanti in cambio di altrettanto denaro”, messa in atto dall’Unione europea con la Turchia, il cui regime non sembra certo offrire la migliore garanzia per la gente così sacrificata?
Mi chiedo poi se nella costruzione compiuta o minacciata di muri e di recinti di filo spinato ed elettrificato da parte di Stati europei sia stato tenuto presente quanto afferma solennemente l’articolo 6 della stessa Carta di Nizza: “Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza”. Ci si riferisce a ogni persona umana per il solo fatto che esista, o con quel termine “individuo” si sono voluti intendere unicamente i cittadini che già godono dei diritti proclamati dalla Carta? Se si trattasse del secondo caso e non del primo, ci troveremmo di fronte a una sostanziale e drammatica ipocrisia: affermare un principio di valore universale per poi applicarlo solo ai privilegiati che già ne usufruiscono.
Per essere all’altezza della sua storia, della sua identità e della missione di portata universale cui i suoi complessi destini l’hanno chiamata, l’Europa non può restringere solo ad alcuni ciò che per la sua forza morale non può che valere per tutti. Se la festa del 9 Maggio non deve ridursi a vuota retorica, ma va celebrata per dare nuovo slancio alle forze migliori dello spirito europeo, essa non potrà non richiamare tutti – Stati e singoli cittadini – a misurarsi sulla Carta dei diritti fondamentali, posta a suo fondamento dall’Unione. E l’esame onesto della propria coscienza non potrà coniugarsi a meschini compromessi o a interessi dettati dalla paura o peggio ancora dall’accaparramento egoistico del bene della libertà e della dignità personale. La sfida è fra le più serie che l’Europa abbia dovuto affrontare dagli inizi del processo ambizioso della sua unità: su di essa e su come sarà affrontata si misurerà il presente e il futuro dell’Unione e la sua effettiva rilevanza nel consesso dei popoli e nella storia dell’umanità.
Bruno Forte