QUELLI DELLA VIA
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La Risurrezione di Gesù

“La nuova azione di Dio nel mondo
di Carlo Maria Martini


L’evento della risurrezione di Cristo

Allo straziante grido di derelizione risuonato sulla bocca di Gesù in  croce – «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» -, grido che  riassume tutte le situazioni di afflizione dell’umanità, risponde nella  notte del sabato santo e nel giorno di Pasqua, un gioioso grido di fede  e di speranza: Cristo è risorto! Di fede perché annuncia ciò che per  sempre è accaduto in Cristo; di speranza perché annuncia ciò che  attende tutti gli uomini e le donne della terra quando lo vedranno  risorto nella pienezza della sua sfolgorante gloria.
La risurrezione di Gesù, infatti, non è come quella di Lazzaro  (raccontata nel vangelo di Giovanni al capitolo 11) che era tornato per  poco in mezzo ai suoi; è una nuova azione di Dio, che non riusciremo  mai a immaginare con la nostra mente, con la nostra fantasia, come  non possiamo immaginare la stupenda realtà che Dio farà di noi alla  nostra morte e al momento della nostra risurrezione. Un’azione di Dio  su Gesù e su di noi, tale che la morte non avrà più alcun potere.  La certezza di quel grido di gioia proclama che ogni abisso di male del  mondo è stato inghiottito da un abisso di bene, che ogni morte ha già il suo contrappeso di vita, che ogni crisi ha già il suo superamento e  ogni tristezza ha già la sua gioia. La nostra esistenza umana è incline  a rimpicciolire le speranze, a ridurle di giorno in giorno di fronte alle  delusioni, e la nostra tristezza ci porta sovente a rifiutare parole di  conforto, perché non abbiamo un’idea esatta della liberazione portata  da Gesù risorto. Il Risorto ha davvero inaugurato un mondo nuovo,  che entra in mezzo a noi in quanto la Pasqua è una ri-creazione, una nuova creazione dell’umanità.

La risurrezione di Gesù è un fatto storico, di significato cosmico, è l’inizio della trasformazione globale  del mondo; è un evento di significato epocale perché trasforma il  senso della storia e ne indica la vera direzione. Un evento unico e  insieme un evento che rivela un’attesa costante e universale, scritta  nel cuore di ogni uomo e di ogni donna.

Un evento unico: non è mai accaduto un fatto simile di fede nella  risurrezione definitiva e gloriosa di un uomo di cui è stata  documentata la vita, la morte e la sepoltura. Non è accaduto in  nessuna altra religione, benché vi siano state premesse somiglianti a  quelle presenti nella vita terrena di Gesù: capi religiosi da tutti stimati, dottrine spirituali elevate. Sono tanti gli uomini, nel corso dei  secoli, dei quali si sarebbe voluto sperimentare che vivevano ancora.  Eppure soltanto di Gesù di Nazaret i discepoli, e anche gli avversari, hanno affermato di averlo incontrato risorto e hanno creduto che egli  vive ora nella pienezza della vita divina mentre resta vicino a noi con  la potenza del suo Spirito.
Un evento straordinario, ma che manifesta una legge universale.  Esso rivela che la risurrezione di Cristo risponde alle intuizioni, alle  speranze di un destino umano aperto al futuro, viene incontro al  nostro desiderio che la morte non sia l’ultima parola della vita, che la  posa di una pietra tombale non sia l’ultimo atto della nostra  esistenza.
Tale segreta premonizione, tale irrinunciabile speranza appartiene alla  storia degli uomini, è nel cuore di tutti e di ciascuno; ogni persona  umana, a prescindere dalla fede religiosa, vive una sorta di atto di speranza nella propria durata oltre la morte, e lo vive e lo compie o nel modo della libera accettazione, della fiducia oppure del libero  rifiuto, della sfiducia, dello scetticismo. Ma l’atto di fiducia nella  propria sopravvivenza, anche quando è posto, rimane un protendersi  verso un avvenire ignoto; e quando è negato fa rinchiudere in se stessi, lascia insoddisfatti, quasi disperati. È lo scoppio storico della  notizia che Gesù è risorto ed è apparso ai suoi, che trasforma le trepide attese umane in una luce sfolgorante permettendoci di vedere  in lui la primizia della nostra risurrezione, la certezza in una vita che  non verrà mai meno. Nel Risorto è glorificato un frammento di storia,  di cosmo, quale segno e inizio del destino del genere umano e dell’intero cosmo, dell’uomo e della donna chiamati a formare il  grande corpo dell’umanità risorta in Cristo.

La risurrezione di Gesù ha  quindi il senso di un definitivo essere salvata dell’esistenza umana, a  opera di Dio e davanti a lui. È vero che nel nuovo orizzonte derivato  dalla risurrezione di Cristo è ancora presente la sofferenza, l’ostilità, la  fatica, la violenza, le guerre, per cui ci si domanda: Ma dov’è il  cambiamento che avrebbe operato il Risorto?
La risposta è semplice:  la Pasqua di Gesù non ci trasferisce automaticamente nel regno dei sogni; ci raggiunge nel cuore per farci percorrere con gioia e speranza  quel cammino di purificazione e di autenticità, di verifica del nostro  comportamento, che ha come traguardo la certezza di una vita che  non muore più. La Pasqua non ci restituisce a un mondo irreale, bensì  a un’ esistenza autentica, un’ esistenza di fede, di speranza, di amore:  una fede che è fonte di gioia e di pace interiore, una speranza che è  più forte delle delusioni, un amore che è più forte di ogni egoismo.
Il  Risorto è con noi e insieme a lui siamo in grado di vincere il male con  il bene, di trarre dal male il bene più grande. Questa è la forza e la  novità della Pasqua.

Il racconto della risurrezione di Gesù

Nessuno è stato testimone della risurrezione di Gesù; nessuno era  presente nel momento in cui è uscito dal sepolcro. L’evangelista Marco  racconta come Gesù, dopo la sua morte, fu sepolto in una tomba scavata nella roccia. A questa tomba si recano, passato il giorno del  sabato, delle donne che vogliono imbalsamare il corpo del Signore.  Giungono al sepolcro al levare del sole, ma scoprono con sorpresa che il grande masso posto all’entrata della tomba era stato già rotolato.  Entrano ed ecco un giovane seduto sulla destra, vestito di una veste  bianca, che dice loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù  Nazareno, il crocifisso. E risorto, non è qui. Ecco il luogo dove  l’avevano deposto. Ora andate, dite ai discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto» (Marco 16, 6-7).
Come gli altri evangelisti, Marco si preoccupa di riferire i fatti e le parole; non aggiunge nulla di suo. Qualcuno tuttavia potrebbe  obiettare: ma sarà vero quello che ha detto? la risurrezione di Gesù non potrebbe essere una leggenda?

Le apparizioni del Risorto

In realtà noi abbiamo delle testimonianze storiche inconfutabili che attestano le apparizioni di Gesù risorto. I quattro vangeli – di Matteo,  di Marco, di Luca, di Giovanni – descrivono gli incontri con il Risorto  proprio per sottolineare che egli vive ancora in mezzo a noi, cammina  con l’umanità lungo tutti i secoli.
Matteo riferisce l’incontro di Gesù con delle donne (28, 9-10) e con gli  undici apostoli (28, 16-20), Marco l’incontro con Maria di Magdala, con  due discepoli e con gli undici apostoli (16) 9-18); Luca riporta l’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus e con gli apostoli (24, 13- 53); Giovanni l’incontro con Maria Maddalena, con gli apostoli, con  l’incredulo Tommaso e con i discepoli sul lago di Tiberiade (20, 11-29; 21, 1-23).
Luca, nel Libro degli Atti, scrive che Gesù apparve ai suoi per quaranta giorni, parlando del regno di Dio (1-8).

Il più antico documento che possediamo della fede cristiana nella  risurrezione, è un passo della I Lettera di Paolo ai Corinzi: «Vi ho  trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Pietro  e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in  una sola volta; la maggior parte di essi vive ancora. Inoltre apparve a  Giacomo e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo tra tutti apparve anche a me» (15, 3-8).
Notiamo che dei quattro verbi attribuiti a Cristo tre sono, nel testo originale greco, in un tempo che indica un fatto avvenuto nel passato (morì, fu sepolto, apparve); il quarto invece, «è risuscitato», nel testo  greco ha un tempo che indica il permanere di un evento accaduto in  passato, ma che continua ad avere effetti nel presente, nell’ oggi.
Dunque Gesù non solo è risorto, bensì vive ancora adesso per noi e  per il mondo intero. Potremmo dire che, se la risurrezione è il  momento culminante della pienezza della vita e di amore di Dio che si  comunica agli uomini in Cristo Gesù, tale pienezza continua a crescere  attraverso l’accoglienza della grazia del Risorto, che viene fatta  dall’umanità nel suo cammino.
E il Risorto appare ricostituendo una serie di rapporti: con singole  persone, con gruppi, con la folla, donando a tutti la capacità di vivere relazioni autentiche, di perdonare, di superare le conflittualità presenti nelle famiglie, nella società, nelle nazioni.

Fermiamoci allora sull’episodio dell’ incontro di Gesù con Maria di  Magdala:
«Maria stava all’esterno del sepolcro e piangeva, Mentre piangeva, si  chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno  dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato deposto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro:  “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”,  Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma  non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi  cerchi?”. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse:  “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a  prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Essa allora, voltatasi verso di lui,  gli disse in ebraico: “Rabbuni!”, che significa “Maestro!”, Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma  va’ dai miei fratelli e di’ loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio  mio e Dio vostro”. Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai  discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva  detto» (Giovanni 20) 11-18).
Maria Maddalena è giunta al sepolcro di buon mattino, ha visto con  sorpresa la tomba vuota e resta presso il sepolcro a piangere perché il  suo amico e Maestro è morto; si accontenterebbe di sapere dove l’hanno messo. Ella rappresenta l’umanità sempre alla ricerca di un salvatore, ma con una speranza inibita e ristretta, che non osa. La sua  ricerca di Gesù è ancora molto umana: cerca Gesù tra i morti, dove non c’è. Sovente noi cerchiamo Dio dove non c’è, attraverso modelli di  efficacia umana, di successo, di potere, di soddisfazioni facili.  La ricerca di Maria Maddalena è anche l’immagine di una società  afflitta e smarrita, che desidererebbe almeno riflettere un poco, per  comprendere le ragioni dei suoi mali, per vedere quali sono gli errori  che ha commesso.
Gesù non è irritato dalla ricerca sbagliata e imperfetta della donna  perché sa che in lei c’è molto amore e un profondo anelito. E, a un  tratto, Maria Maddalena vede con i suoi occhi colui che non credeva  più di vedere, ascolta una voce intensa che non avrebbe mai più pensato di udire, si sente chiamare per nome: «Maria!». È significativo che Gesù si riveli a lei non annunciandole l’evento che  lo riguarda: “sono risorto, sono vivo”, ma pronunciando il nome:  “Maria!”. Si tratta di una rivelazione personale, esistenziale, che infonde non solo la certezza che Cristo è vivo, bensì la coscienza di essere da lui conosciuta veramente, nella sua pienezza e dignità.  Quello di Gesù è un appello discreto di libertà, espresso con il nome che indica meglio l’interiorità. Così Gesù vuole incontrare ogni uomo: avvicinandosi, correggendo le ricerche incerte, confuse, maldestre,  rivelando il suo amore e chiamando per nome.Ciascuno di noi può fare l’esperienza del Risorto , scoprirne i segni pur se sente nel cuore  poca speranza e se sul suo volto scendono lacrime. È nell’interiorità che possiamo scoprire l’amore di Dio; è dentro di noi che possiamo sentirci chiamati e restituiti alla nostra identità profonda, alla nostra  vocazione di figli di Dio.
Dunque l’evangelista Giovanni ci trasmette che la prima creatura a scoprire i segni del Risorto è stata una donna piena di sensibilità, di  affetto, di tenerezza. Una donna colma di quell’anelito, di quel  desiderio di andare al di là della morte e della finitudine umana, che sperimenta ogni persona quando, per esempio, nelle sue giornate  prende delle decisioni coraggiose e oneste, senza che da esse gli venga alcun vantaggio per la vita presente, traendone anzi perdita e talora danno. E in occasione di simili atti che comprendiamo di dover compiere in maniera assoluta, senza ritorni umani e senza costrizioni  esterne, che affermiamo, almeno implicitamente, l’esistenza di  qualcosa al di là, che magari non riconosciamo ancora in parole o in  concetti religiosi e tuttavia guida ogni azione onesta e disinteressata  facendoci intuire come i conti che quaggiù non tornano, alla fine  torneranno.
Questa forza interiore e questa speranza sono un grido verso il  Risorto, sono la ricerca coltivata da Maria presso la tomba: la sua  ricerca confusa e incerta è preziosa, è esperienza ineliminabile di una  persona umana giunta a un minimo di autenticità e di onestà con se stessa e con la vita. La forza interiore e la speranza sono l’antidoto di  cui abbiamo bisogno contro il decadimento sociale, morale, civile e  politico, un decadimento che tende a mandare in frantumi l’unità  culturale e civile di un popolo, che tende a far perdere il senso delle  ragioni per stare insieme e lavorare per lo stesso scopo, nella stessa  direzione.
Per uscire dal cerchio infernale del degrado sociale e politico occorre che il cuore appesantito, come quello di Maria Maddalena che piange, sia mosso da una grande e concreta speranza, non legata a circostanze contingenti, a rimedi di corto livello sui quali siamo fin troppo portati allo scetticismo. Gesù che appare alla donna ci invita a cambiare modo di pensare e di vedere, ad accettare che l’amore di Dio  dissolve la paura, che la grazia rimette il peccato, che l’iniziativa di  Dio viene prima di ogni sforzo umano e ci rianima, ci rigenera  interiormente.

Un’altra apparizione del Risorto può essere ricordata: l’incontro con due discepoli:

«In quello stesso giorno – quello della scoperta della tomba vuota, la domenica della risurrezione – due discepoli erano in cammino per un  villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome  Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre  discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e  camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed  egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo tra voi  durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di  nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da  non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. Domandò: “Che  cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu  profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;  come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo  condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse  lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando  queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno  sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i  quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al  sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non  l’hanno visto”.
Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei  profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per  entrare nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono  vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare  più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando  fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo  diede loro. Allora si aprirono gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il  cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando  ci spiegava le Scritture?”» (Luca 24, 13-32).

Possiamo cogliere in questo racconto quattro esperienze umane  fondamentali: il camminare, l’ospitalità, la frazione del pane,  l’apertura degli occhi.
Tutto si svolge durante un cammino, cioè nell’esperienza dell’itineranza, dell’andare verso un luogo: «due di loro erano in  cammino». L’evangelista Luca parla spesso di Gesù come “colui che fa cammino”, che è in cammino. Anche il particolare che quando Gesù  pone la domanda, i due si fermano e poi riprendono a camminare,  rivela che viene data molta importanza a questa esperienza sotto la  quale può essere vista la storia di ogni uomo. La vita umana è un  dinamismo, va in avanti, è protesa verso una direzione e Dio viene incontro all’uomo per accompagnarlo e per camminare con lui.
L’ospitalità, l’accoglienza è un altro simbolo primario e antichissimo dell’uomo che supera l’istintivo timore del viandante che bussa alla porta. Qui è espressa con parole meravigliose: «Rimani con noi»,  dicono i due a Gesù, non andartene, vogliamo stare insieme. La loro  diffidenza iniziale verso lo sconosciuto si scioglie lentamente sino a  diventare fraternità: vieni a casa mia, che tu sia mio ospite. In oriente l’ospitalità è uno dei pilastri del costume, è il modo di essere uomini veri: saper accogliere chiunque, a qualunque ora, in qualunque  tempo, senza mai irritarsi, preparando subito tutto con gioia, è un  preciso dovere dell’orientale. Ed è un simbolo che ci interpella, che  interpella gli abitanti delle nostre grandi città che, vivendo magari  nello stesso caseggiato, con gli appartamenti sulle stesse scale, si  ignorano per anni, non avvertono il bisogno di frequentarsi, di  conoscersi, di accogliersi.
Anche la frazione del pane ha una sua simbologia umana e storica: «Mentre si sedevano con lui, prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro». La partecipazione del medesimo pane è più dell’ospitalità, è la condivisione della mensa che rende veramente fratelli, è come una cerimonia di alleanza, di amicizia: metto in comunione con te il pane che è un mio bene. Luca, con la frase, «spezzò il pane» ha in mente l’Eucaristia, vuole sottolineare che Gesù, ormai Risorto e vivo, si dona ai due manifestandosi nella carità perfetta dell’Eucaristia. Ma la condivisione è, di fatto, un simbolo umano e per questo Gesù l’ha scelto come simbolo eucaristico, come segno del dono della sua  vita all’uomo.
L’apertura degli occhi è in opposizione al tema della chiusura degli occhi: «i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo», erano come accecati. Anche Maria di Magdala, in un primo momento, aveva  scambiato Gesù per il custode del giardino. Come mai, pur conoscendo bene il suo volto, pur essendo suoi fedeli discepoli, non  capivano che era Gesù? Gli occhi di Maria erano chiusi dalle lacrime,  dal dolore, dalla ricerca sbagliata; i due di Emmaus sono accecati dall’ aver perso ogni speranza, dal non aver compreso le parole di Dio  contenute nella Scrittura. A un tratto «si aprirono i loro occhi e lo riconobbero». L’uomo, immerso nella quotidianità pesante, non vede le meraviglie dell’amore di Dio che lo circondano, non sa leggere la  Scrittura in modo retto, teme che il Dio di Gesù Cristo, di cui sente  parlare, gli impedisca di essere felice, di vivere come intende vivere.
Quando invece, nel suo cammino di ricerca faticosa, apre gli occhi, per  la grazia del Risorto, allora scopre con stupore e con gioia che Dio gli è amico, gli è Padre, che Gesù gli è fratello, che la fede è chiave di vita veramente umana. I due discepoli conoscevano le Scritture, ma  non ne avevano colto il significato più profondo. Gesù gliele spiega,  spiega il mistero dell’uomo, della storia, degli avvenimenti, delle vicende ed ecco che il loro cuore arde: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto… quando ci spiegava le Scritture?». II fuoco che brucia produce scuotimento, sconvolgimento interno, emozione forte; è l’esperienza che nasce dall’ascolto vero della Parola di Dio. Ora hanno capito che ogni pagina della Bibbia, dal primo all’ultimo Libro, contiene quella Parola vivente che è Gesù morto e risorto. Ne consegue un insegnamento prezioso: è fondamentale conoscere la  Scrittura per scoprire l’amore di Dio per l’uomo e la sua lunga storia  d’amore per noi che si è dispiegata nella storia della salvezza.
Nell’insieme, l’apparizione di Gesù ai due discepoli ci ricorda che l’uomo è un essere in cammino e bisognoso di significato; che in questo cammino è chiamato a riconoscere la Parola di Dio che lo incalza, lo interpella continuamente sulla direzione del suo viaggio per spiegargliene il senso; che la libertà e la felicità dell’uomo consiste nell’accogliere questa Parola, nel non rifiutarla, nell’aprire gli occhi e il cuore al disegno di Dio rivelatoci pienamente nel mistero del suo Figlio Gesù morto e risorto per noi, vivo e operante in mezzo a noi.

Il Risorto crocifisso e l’eternità nel tempo storico

L’evento della Pasqua – che si rinnova in ogni celebrazione eucaristica  – chiede ai cristiani di essere persone capaci di dire all’umanità: Non  temere, donna, non piangere! Ora sai dove conduce il cammino della  vita, ora sai che il tuo Signore è con te. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che il Risorto è per sempre il Crocifisso e sta davanti al Padre come colui che è passato per amore attraverso la passione e la morte di croce. Il Risorto, infatti, allorché apparve agli apostoli  «mostrò loro le mani e il costato» trafitti, come sappiamo dal vangelo di Giovanni, al capitolo 20,19-29. E tornando da loro dopo otto giorni, all’apostolo Tommaso, che alla prima apparizione di Gesù non era  presente e si rifiutava di credere che era ancora vivo, disse: «Metti  qua il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo ma credente!».
Il mistero pasquale comprenderà dunque per tutta l’eternità, inscindibilmente, morte e risurrezione perché Dio ha scelto di salvarci così, si è manifestato amico dell’uomo attraverso l’amore crocifisso del Figlio, si è spogliato nel Figlio diventato povero per rendere credibile il  suo amore per noi. Alla domanda antica e nuova dell’uomo – che cosa  sarà di me dopo la morte? -la fede cristiana non risponde quindi assicurando semplicemente che tutto continuerà dopo la fine del  tempo, che tutto ci verrà restituito; sarebbe una risposta incompleta.
La fede cristiana afferma che l’eternità, la vita nuova, vera e definitiva è già entrata con la Pasqua di Cristo nella mia esperienza, è da me vissuta qui e adesso nella indistruttibilità dei gesti che io pongo – di fedeltà, di pace, di amore, di perdono, di amicizia, di onestà, di libertà  responsabile.
Sono gesti in cui, nel tempo, l’uomo supera il tempo raggiungendo l’eternità, nella misura in cui si affida alla vita e all’eternità del  Crocifisso Risorto che ha vinto la morte. La Risurrezione di Gesù non è  soltanto ciò che ci attende dopo la morte; è un fatto pasquale  presente, che si attua giorno dopo giorno in colui che crede e che spera, che soffre e che ama, che si lascia guidare dalla Parola nel  quotidiano per seguire Gesù il quale, mediante la passione e la morte,  compie il passaggio da questo mondo al Padre.
Ogni volta che prendiamo coraggiosamente una decisione buona, eticamente rilevante, noi interiorizziamo l’eternità grazie all’eternità di Gesù entrata in mezzo a noi. Possiamo allora riscattare l’angoscia  del tempo sapendo che i nostri atti di dedizione hanno un valore  definitivo, depositato nella pienezza del corpo risorto di Cristo.  E riusciamo, in qualche modo, a cogliere anche il dramma di comportamenti non etici, perché pure in essi si attua l’irrevocabilità.  Possono essere atti compiuti dall’uomo per leggerezza, per incoscienza e allora vengono riscattati dalle fatiche e dai dolori che  ogni vita comporta. Possono essere invece atti che afferrano la persona nella sua totalità, che la “fissano” nel male, nel rifiuto di Dio e  degli uomini. Da tali atteggiamenti globali negativi dell’uomo ci si  salva solo per la strapotenza del Crocifisso Risorto. E se ci fossero  situazioni di ribellione permanente e ostinata nei riguardi di Dio, il Risorto ci lascia comunque sperare, contro ogni speranza, che la  misericordia divina è infinita. Perché Dio è il Padre che ci ama per primo, che si dona a noi in Gesù ancor prima di ogni attesa e speranza umana, che ci perdona gratuitamente; Dio è Colui da cui tutto viene,  tutto dipende, a cui tutto tende e tutto ritorna.

Carlo Maria Martini
Tratto da : RITROVARE SE STESSI  – “UN PERCORSO QUARESIMALE”



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