Lettera a Papa Francesco
di Giancarla Codrignani
Bologna, 9 ottobre 2013
Caro Papa Francesco,
come non provare sentimenti di amicizia e di fraternità nei suoi
confronti e non solidarizzare con i segnali che viene lanciando
attraverso l'infittirsi di relazioni con persone più o meno note della
società italiana? Non intendo accrescere il numero dei corrispondenti
che incomincia, forse, a farsi molesto; ma sono indotta a interpellarla
dopo la notizia del suo intento di pronunciarsi sullo spazio da
assegnare alle donne nella Chiesa.
Presumo sia anche per lei un dato di realtà che non i disegni di Dio,
bensì i ruoli gerarchicamente diversi che uomini e donne hanno
storicamente assunto comportano differenze che non vanno sottovalutate,
soprattutto se si ricercano nuovi equilibri.
Essendo anche lei un uomo come gli altri, sa bene che difficilmente
agli uomini capita di dire parole adeguate quando parlano con noi,
soprattutto se pensano di parlare "per" noi. Anche la Chiesa ci conosce
solo attraverso una convenzione che non corrisponde alla nostra
ermeneutica, di credenti e di non credenti: senza una donna non ci
sarebbe stata nascita, senza un'altra donna non ci sarebbe stato
annuncio (sarebbero mai arrivati al sepolcro vuoto gli apostoli senza
Maria di Magdala?).
Come "genere" siamo meno sensibili alle ambizioni di potere che sono
incoerenti, almeno nella Chiesa, anche per un uomo. Tuttavia non siamo
così stolte da non esser state sempre consapevoli che, anche se in
dottrina non si ritrovano giustificazioni alla discriminazione, la
Chiesa è rimasta maschile fin da quando la tradizione dei primi secoli
ha trasmesso gli scritti dei "padri" della Chiesa e non delle madri,
menzionate solo in quanto viri dimidiati.
Carlo Maria Martini fin dal 1981 ha posto l'urgenza di un nuovo
riconoscimento della presenza femminile nella Chiesa, ma non ne sono
seguite innovazioni. Anzi l'attribuzione al nostro genere di uno
speciale "genio femminile" è rimasto nel tradizionalismo e non sono
sembrate amicali le misure adottate dal suo predecessore per accertare
l'ortodossia della Federazione delle suore americane (LCWR). Per questo
sono certa della sua informazione previa sull'ormai imponente
letteratura specifica di teologhe e filosofe e dell'opinione
femminil-femminista (uso l'aggettivo, anche se riprovato da
rappresentanti della gerarchia poco attenti alle dinamiche sociali) del
popolo di Dio e anche della condivisione delle idee con donne religiose
e laiche cattoliche (ma non solo). Tuttavia oso esprimerle la mia
preoccupazione: in tempi in cui la Chiesa soffre abbandoni "di genere",
le donne si aspettano di ottenere non rappresentanza, ma riconoscimento
di soggettività. Non le deluda.
Perdoni la confidenza nella sua disponibilità. La ricordo con sentimenti di fiducia e affetto
Giancarla Codrignani
Mi permetto di allegarle il testo dell'introduzione del card. Carlo Maria Martini al Convegno tenutosi a Milano nell'aprile del 1981
Perché, si chiede ad
esempio la donna, identificare l'immagine di Dio con quella trasmessaci
da una cultura maschilista? Quale l'annuncio kerigmatico per lei, non
rinchiuso in una visione moralistica? Quali indicazioni per un cammino
spirituale e di santità che la stimolino adeguatamente? Quali
indicazioni per una rinnovata prassi pastorale, per un cammino
vocazionale per il matrimonio, per la consacrazione religiosa, la
famiglia, in considerazione della nuova coscienza di sé che la donna ha
acquisito? Quali indicazioni per un linguaggio globale, anche
liturgico, che non faccia sentire esclusa, nella sua elaborazione, la
donna?
Perché così poche e
inadeguate risposte alla valorizzazione del proprio corpo, dell'amore
fisico, dei problemi della maternità responsabile?
Perché la pur grande
presenza delle donne nella Chiesa non ha inciso nelle sue strutture? E
nella prassi pastorale perché attribuire alla donna solo quei compiti
che lo schema ideologico e culturale della società le attribuiva, e
perché non esplicitare i suoi carismi "opera dello Spirito Santo"?
I ruoli ecclesiali
affidati alle donne sono allora secondo i carismi di una Chiesa
condotta dallo Spirito oppure ancora frutto di una mentalità maschile?
Le donne si chiedono tutto
questo. Non sempre lo esprimono. Sentono ancora timore a infrangere una
“iconografia” della donna cristiana, dentro la quale peraltro stentano
a riconoscersi e non riescono più ad adattarsi.
La Chiesa deve porsi in
ascolto. Deve lasciarle esprimere da protagoniste. Il loro modo di
leggere, interpretare la vita ha una rilevanza che deve segnare un
cammino pastorale che non può vedere le donne perennemente soggette o
brave e fedeli esecutrici, quasi vergognose o timide di fronte alla
forza che potrebbero esprimere in novità.
I ministeri, carismi,
servizi, sono doni per la comunità ed esigono una profonda e attenta
rilettura che apra nuove vie alla comprensione del ruolo delle donne
nella Chiesa.
La filosofia e la teologia
nelle loro varie branche, l'esegesi biblica, la pastorale hanno un
compito urgente da svolgere con gli strumenti che a loro sono propri.
Le scienze umane aprono
loro ampi spazi di documentazione e di fondazione. Ma anche la vita
delle donne, anzi, dalla loro vita parte un richiamo fortissimo di
novità. Le più mature non esprimono vane rivendicazioni di false
parità: chiedono di costruire in pienezza e con coraggio, mettendo in
discussione se stesse, la società e la Chiesa.
(Fonte: “Koinonia-forum” n. 264 del 29 ottobre 2013)
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