Carlo Maria Martini
Maestro dell'arte dell'ascolto*
di
mons. Bruno Forte
Carlo
Maria Martini era per formazione un biblista, un professore di critica
testuale: il suo nome compare fra i curatori dell'edizione critica del
Nuovo Testamento del Nestle-Aland, strumento indispensabile per lo
studio e la meditazione del testo biblico. Quest'elemento biografico fa
comprendere quanto il riferimento alla Bibbia sia stato in lui radicato
e costante, fonte di luce sempre nuova sulle domande più varie del
vivere umano e dell'agire ecclesiale. Martini non ha cercato nelle
Scritture la proiezione delle proprie idee. Si è lasciato interpellare
dal testo, entrando con esso in un dialogo vivo, che non ignorava né
l'urgenza degli interrogativi attuali, né la libera, sorprendente
novità della Parola di Dio. Soprattutto, ha saputo testimoniare che per
intendere il senso profondo delle Scritture la strada maestra è vivere
la vita di Gesù, entrare in sintonia col Suo cuore, custodendo così la
libertà da tutto ciò che non è «il pensiero di Cristo». Come notava
Origene, «poteva comprendere il senso delle parole di Gesù, soltanto
colui che riposò sul petto di Gesù» (In Joannem 1,6: PG 14,31).
Da membro fedele della Compagnia di Gesù, Martini si era formato alla
scuola di sant'Ignazio, di cui fu sempre discepolo convinto.
L'ispirazione ignaziana non si coglieva solo nel continuo richiamo alla
presenza di Dio, misura di scelte e di comportamenti, ma in un metodo
di riflessione, appreso alla scuola degli Esercizi spirituali: come ha
osservato Roland Barthes, «la lingua che Ignazio vuol costituire è una
lingua dell'interrogazione... Gli Esercizi sono il libro della domanda,
non della risposta». È questo che li rende così attuali: ed è questo
che ne fa cogliere il senso profondo nell'impegno del discernimento. La
volontà di discernere non si spinge mai alla forzatura, alla violenza
sul testo: Ignazio vuole a tal punto la volontà di Dio, da accettare e
amare perfino il Suo silenzio: «Frutto finale e difficile dell'ascesi»,
osserva ancora Barthes, «è il rispetto, l'accettazione reverenziale del
silenzio di Dio, l'assenso dato non al segno, ma al ritardo del segno».
Come Ignazio, così il suo discepolo: Martini ha saputo interrogarsi e
interrogare fino in fondo la Scrittura per leggere la vita, e la vita
per interrogare la Bibbia, con un rispetto assoluto della Verità, senza
affrettare la risposta, senza imporla a nessuno.
Proprio così, il cardinale è stato maestro dell'arte dell'ascolto: si
può dire che ciò che contava per lui, più ancora che comprendere la
volontà di Dio, era mettersi nelle condizioni di comprenderla. Stare
«al cospetto di Dio nostro Signore e di tutti i suoi santi per
desiderare e conoscere quel che sia più gradito alla sua divina bontà»
(Esercizi, Seconda settimana): è questo l'atteggiamento di fondo, che
traspariva da ogni sua riflessione. Come affermava il padre gesuita
Michel Ledrus (1899-1984), che Martini aveva scelto come guida
spirituale negli anni romani, luce per il discernimento è la Parola
rivelata, nella sua densa sobrietà: «Dio non parla con povere parole
suggerite dalla razionalità umana, sia pure illuminata dalla fede:
Egli, con una Parola, dice molte cose...». Questa Parola decisiva è
«Cristo in Croce, icona perfetta che fa capire tutto dell'amore di
Dio... la rivelazione di come l'uomo possa – e quanto! – essere Parola
efficace di Dio».
L'amore alla Sacra Scrittura e l'impegno nel discernimento delle tracce
dell'Eterno nel tempo aiutano a comprendere perché Martini si sentisse
così legato alla Terra della Bibbia e in particolare a Gerusalemme, la
città dove come dice il Salmo 87 – «tutti siamo nati ». Un detto
rabbinico ne illumina le ragioni: «Quando Dio creò il mondo, di dieci
misure di bellezza, nove le diede a Gerusalemme e una al resto del
mondo; di dieci misure di sapienza, nove le diede a Gerusalemme e una
al resto del mondo; di dieci misure di dolore, nove le diede a
Gerusalemme e una al resto del mondo».
Gerusalemme è il luogo delle nove misure di bellezza: a chi, come il
cardinal Martini, riconosceva la bellezza ultima e vera nel volto del
Dio nascosto, amato e cercato, che si è rivelato in Gesù Cristo,
Gerusalemme si offriva come patria della bellezza, il luogo dove il Dio
vivente ha agito nella storia, per rendere presente in quel frammento
il Tutto del Suo mistero e radunare così i pellegrini della speranza, i
cercatori del Mistero. A Gerusalemme l'arcivescovo emerito di Milano
amava contemplare il volto di Dio specialmente in quei luoghi dove la
rivelazione dell'amore più grande si è compiuta fino alla follia
dell'abbandono: il Calvario e il Santo Sepolcro. La Città Santa è stata
però per lui anche il luogo delle nove misure di sapienza: è lì che il
cardinale aveva ripreso i suoi studi sul testo del Nuovo Testamento,
interrotti quando era stato chiamato alla cattedra episcopale. Il
«genius loci», la luce e le pietre di Gerusalemme, vi rendono
incomparabilmente feconda la ricerca sul testo sacro in ognuna delle
sue parole.
Il cardinal Martini andò a Gerusalemme anche per la terza ragione
indicata dal racconto rabbinico, riconoscendovi per eccellenza la Città
del dolore. A Gerusalemme si è sempre molto amato e perciò molto
sofferto. È la città dove «muoiono i profeti» (cfr. Lc 13,33), il luogo
dove Gesù si dirige perché si compia il suo destino di Redentore
crocifisso. Anche oggi Gerusalemme è città del dolore: il sangue che
continua a scorrere nelle sue strade, la violenza e l'odio che vi si
respirano, esigono una motivazione forte per restarvi.
Martini andò a Gerusalemme per continuare a servire il suo popolo e
l'intera famiglia umana con la sua preghiera d'intercessione: la
preghiera con la quale il credente si fa carico del peccato e della
sofferenza che devasta la terra, per porre tutto sotto lo sguardo
misericordioso e salvifico del Dio vivente. Proprio così l'amore a
Gerusalemme era l'altro nome del Suo immenso amore alla Chiesa, che
voleva fosse veramente la Sposa bella, senza macchia né ruga, del
Signore Gesù. A Gerusalemme il cardinal Martini fu presenza silenziosa
e discreta di uomo di preghiera, che invocava la pace e presentava al
Dio dell'alleanza le necessità di tutti i suoi figli. Nell'«ombelico
del mondo» la sua preghiera d'intercessione per la sua gente, per tutta
la Chiesa e per la pace dei popoli divisi e contrapposti, è stato un
segno lanciato a tutti.
A ognuno di noi questo segno chiede di riconoscere la Gerusalemme del
proprio cuore, per incontrarvi la bellezza e la sapienza di Dio e
trovare così il coraggio di farsi carico della sofferenza altrui e di
intercedere per la giustizia e la pace, pregando perché la Chiesa
risplenda come segno di salvezza universale. Così ha fatto lo stesso
cardinal Martini negli ultimi anni segnati dalla malattia, vissuti a
Gallarate presso Milano, nell'infermeria dei padri gesuiti: nel
silenzio della preghiera e dell'offerta, ha saputo essere lì radice
nascosta, per alimentare l'albero dei costruttori di pace, operanti
nella Chiesa e nella storia, di sempre nuova linfa di speranza. I
giorni del lutto seguito alla sua morte, con le folle che si sono
recate in duomo per l'ultimo saluto, variegate nella loro composizione
di credenti e non credenti, cristiani e appartenenti ad altre
religioni, di gente comune e di personalità ufficiali, hanno mostrato
quanto profondamente il messaggio della sua vita abbia raggiunto la
mente e il cuore di tutti.