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“UN PERCORSO QUARESIMALE”

Settimana Santa / 2

Il primato della coscienza

di Carlo Maria Martini


Il primato della coscienza

Tra i tanti racconti biblici che la liturgia della Chiesa ci propone nei  giorni precedenti il triduo del giovedì, venerdì, sabato santo e  domenica di risurrezione, ne scelgo anzitutto uno dell’Antico Testamento, tratto dal Libro di Tobia.

Tobia  è un ebreo che, nel tempo  della distruzione della città di Gerusalemme, viene deportato insieme  con altri suoi connazionali in oriente, a Ninive, nelle pianure del Tigri e dell’Eufrate, e là vive come esule una vita  modesta e però ricca di  speranza. «Sotto il regno di Assarhaddon ritornai a casa mia e mi fu restituita la compagnia della moglie Anna e del figlio Tobia. Per la nostra festa di  pentecoste, avevo fatto preparare un buon pranzo e mi posi a tavola:  la tavola era imbandita di molte vivande. Dissi a mio figlio Tobia: “Figlio mio, va’ e se trovi tra i nostri fratelli deportati a Ninive qualche povero, che sia però di cuore fedele, portalo a pranzo insieme con noi. Io resto ad aspettare che tu ritorni”. Tobia uscì in cerca di un povero  tra i nostri fratelli. Di ritorno disse: “Padre!”. Gli risposi: “Ebbene,  figlio mio”. “Padre, rispose, uno della nostra gente è stato strangolato e gettato nella piazza, dove ancora si trova”. Allora mi alzai, lasciando  intatto il pranzo; tolsi l’uomo dalla piazza e lo posi in una camera in  attesa del tramonto del sole, per poterlo seppellire. Ritornai e, lavatomi, presi il pasto con tristezza, ricordando le parole del profeta  Amos su Betel: “Si cambieranno le vostre feste in lutto, tutti i vostri  canti in lamento”. E piansi. Quando poi calò il sole, andai a scavare  una fossa e ve lo seppellii. I miei vicini mi deridevano dicendo: “Non  ha più paura! Proprio per questo motivo è già stato ricercato per essere ucciso. E dovuto fuggire ed ora eccolo di nuovo a seppellire i  morti”» (Tobia 2, 1-8).  Il testo continua poi con la lunga storia delle sofferenze di Tobia, uomo  fedele, caritatevole, pieno di attenzione agli altri, che entra in una  grande prova dalla quale uscirà soltanto attraverso una serie di eventi  tutti raccontati nel Libro. Il messaggio che giunge a noi attraverso il brano della Scrittura è quello del primato della coscienza. C’è un uomo  povero, esiliato, che potrebbe giustamente aver paura di essere  nuovamente ricercato e imprigionato; tuttavia, posto di fronte a un fatto che tocca il suo prossimo, un fratello ucciso che nessuno vuole  più toccare, egli, obbedendo alla coscienza, lo seppellisce affrontando tutte le possibili conseguenze del suo gesto. È dunque un gesto che sottolinea il primato della coscienza, il primato di ciò che l’uomo sente  dentro inderogabilmente come valore.
Sarebbe bello poter seguire  questo cammino fino alla descrizione della storia della passione, nel momento in cui Gesù di Nazaret, trovandosi di fronte al sinedrio e interrogato sulla sua identità, obbedisce alla testimonianza della propria verità e si dichiara apertamente Figlio di Dio, affrontando così  la morte. Sono sempre elementi dell’identico primato della coscienza. E un aspetto assai importante sul quale mi pare opportuno  intrattenerci brevemente perché ritorna vivo nella condizione contemporanea. Talora abbiamo della coscienza una concezione  riduttiva e se ne parla in termini scettici, un po’ deprezzativi, confondendola con il puro soggettivismo: agisco secondo quello che a  me sembra giusto, che a me piace o che mi torna utile.  In realtà la coscienza ci fa conoscere quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Una legge  fondamentale, messa da Dio nei nostri cuori. La coscienza non è ciò che mi viene in mente; è il principio supremo allargato a misura divina (potremmo chiamarlo il principio della solidarietà, il principio del  rispetto dell’altro, il principio dell’onore, del dovere, il principio della  coerenza). E Dio stesso come amore, come fedeltà, come garante  ultimo di ogni verità, che entra nell’intimo dell’uomo e diviene  sorgente di azione e di discernimento.
Per questo la coscienza è  qualcosa di inviolabile, e tuttavia non è qualcosa di fantasioso, di  strano, di imprevedibile. E il riconoscimento del grande  comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, il riconoscimento  dei grandi valori – verità, onestà, giustizia, carità – in quanto sono  intuiti, compresi e diventano fonte di vita, di giudizio e di azione, in  dialogo con Dio e di fronte a Dio. Scrive il Concilio Vaticano II: «Nella  fedeltà alla coscienza, i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale» (Gaudium et spes, 16). La coscienza non soltanto non è  fenomeno di dispersione, ma opera l’unità; in nome della stessa  coscienza, credenti e non credenti si mettono insieme per cercare  come oggi si possono realizzare valori quali il servizio, l’onore, la  lealtà, il rispetto del prossimo. Spesso si interpreta la coscienza  semplicemente come la voce che ci ricorda una legge già fatta, che basta applicare. Ci viene invece detto che la vita dell’uomo presenta situazioni inedite, problemi nuovi, per i quali non è sufficiente appellarsi a una legge astratta, bensì occorre cercare, sulla base del  principio fondamentale dell’amore di Dio e del prossimo e di tutti i  valori che ne derivano, quel modo di agire che meglio promuove la vita, serve l’unità tra i popoli, crea relazioni pacifiche; in una costante  armonia e in un costante dialogo e scambio tra tutte le persone di  buona volontà.
Possiamo allora comprendere perché, per esempio, Giovanni XXIII cominciò a indirizzare alcune sue encicliche, oltre che ai vescovi e ai  cristiani, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Perché tutti gli uomini hanno in comune questa coscienza, questa percezione di  valori. Di qui la necessità di educare le nuove generazioni a compiere  certe scelte e a evitarne altre, a guardarsi da certi comportamenti e ad acquisirne altri. Soprattutto è importante formare la coscienza dei  giovani attraverso tutte le istanze di valore autentico della persona  (silenzio, preghiera, raccoglimento, riflessione…). Le istanze di  massificazione, di frastuono, di considerazione anonima della persona,  invece, ottundono la coscienza, impediscono di prendere coscienza di sé, escludono la possibilità di sentirsi e di ascoltarsi.
Noi siamo a una svolta della civiltà occidentale e della civiltà mondiale in cui l’avvenire sarà nella chiarezza delle coscienze. Ho sovente  ripetuto che il futuro del mondo è nella interiorità. Infatti, poiché il  futuro sarà sempre più affidato alle informazioni, alla buona gestione delle informazioni, e poiché tutte le decisioni umane saranno prese a  partire da scelte sempre più coscienti e capaci di programmare il futuro, la sorte di questo futuro sarà nella coscienza, nell’interiorità,  nella capacità di riconoscere il valore. Se un tempo si poteva pensare  di guidare masse con slogan generici, di poterle tenere sottomesse  semplicemente con delle imposizioni, oggi abbiamo visto il crollo di  sistemi che duravano da decenni; la gente ha ritrovato il senso della  libertà, della propria entità e si è ribellata a delle imposizioni  puramente esteriori.
Dunque, tutto ciò che migliora l’uomo in forma permanente deve passare per la convinzione interiore, per la coscienza, che si educa, ripeto, attraverso momenti di silenzio, di  raccoglimento, di riflessione, e con tutti quei rapporti umani in cui  prevalgono la ragionevolezza, l’atteggiamento di vera stima della  persona, la promozione dei valori e, da parte di chi esige tali comportamenti, la coerenza, la fedeltà, la lealtà. La coscienza si  propaga per contagio. Attraverso personalità di forte coscienza vengono formate persone di coscienza. Nei giorni che ci avvicinano alla Pasqua, la Chiesa compie certamente un grande lavoro di formazione della coscienza, in quanto invita ciascuno a guardare la coscienza di Cristo, che è la più alta realizzazione dell’interiorità, della coerenza di una morte, della chiarezza dei fini, dell’ampiezza di visione umana e divina dei destini dell’uomo. La coscienza di Gesù è la  più limpida, la più leale, fino al sacrificio della vita; è quella nella  quale il mistero di Dio, dell’amore di Dio si traduce in linguaggio  umano in maniera inequivocabile.

Carlo Maria Martini
Tratto da : RITROVARE SE STESSI  – “UN PERCORSO QUARESIMALE”



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