di mons. Bruno Forte
arcivescovo di Chieti-Vasto
L'onda
di simpatia, suscitata da Papa Francesco nella Chiesa e nel mondo, è
oggetto di valutazioni diverse, perfino di un "conflitto delle
interpretazioni”, come mostra il recente dialogo a distanza tra
Vittorio Messoti e Liliana Cavani sulle pagine del Corriere della Sera.
C'è chi coglie nel messaggio di questo Papa, e nell'entusiasmo che
accende, i sintomi di una rinnovata primavera della fede, c'è chi vede
emergere nostalgie ingenue e rischiose di pauperismo evangelico. C'è
chi riconosce nel consenso che diversi manifestano i rigurgiti di un
mai sopito "affetto antiromano", pronto a identificare nel Vescovo di
Roma, «venuto quasi dalla fine del mondo», soprattutto il promotore di
una riforma radicale della macchina curiale.
Personalmente mi sento in sintonia con chi legge nel pontificato di
Francesco uno straordinario tempo di grazia e di speranza per tutti, in
continuità con ciò che era stato preparato dalla riforma spirituale
voluta da Benedetto XVI, anche se con caratteristiche differenti. Tre
elementi mi sembrano entrare in gioco nel modo di essere e di agire di
Jorge Mario Bergoglio - Papa Francesco, tali da fargli raggiungere
ampiamente e in profondità il cuore di tutti: la sincerità, la
semplicità e la sobrietà.
La sincerità di questo Gesuita argentino, divenuto Vescovo della Chiesa
«che presiede nell'amore», è per alcuni addirittura spiazzante: le sue
dichiarazioni spontanee su temi delicati che riguardano la morale
personale e sociale o il bisogno di riforma della Chiesa, non sono
certamente frutto di calcolo interessato, e nemmeno di una strategia
pastorale. Papa Francesco si mostra per quello che è e sempre è stato,
senza star a misurare gli effetti di ciò che dice sul possibile ritorno
d'immagine per sé o per la comunità cattolica. Non per questo, però, il
suo agire e i suoi pronunciamenti possono essere considerati avventati:
chi come lui da una vita si esercita nella disciplina spirituale e
nella meditazione della Parola di Dio e dei testi dei grandi Maestri
della fede, non dice mai cose leggere o che non siano state a lungo
"ruminate", anche se sul momento possono apparire di sorprendente
novità. La sincerità di Francesco è come la punta di un "iceberg", che
affiora rimandando a una profondità tutta da scandagliare. Così, ad
esempio, la sua insistenza sullo sguardo di misericordia da avere verso
tutti, anche e particolarmente verso chi è in situazioni problematiche
rispetto alle norme canoniche o alla legge morale, non è che la
traduzione del convincimento che lo sguardo di Dio si posa con
tenerezza su queste persone e quello della Chiesa e dei suoi pastori
non può né deve fare diversamente. Quel «chi sono io per giudicare?»,
da lui pronunciato in varie occasioni, non indebolisce la legge morale,
ma la propone nell'unica ottica secondo cui essa risulta vera, efficace
e credibile alla luce del Vangelo: quella dell'amore e della
compassione misericordiosa e umile.
Proprio così, Francesco ci interpella tutti sulla nostra sincerità,
invitandoci a fidarci della promessa di Gesù, di cui lui tanto si fida:
«La verità vi farà liberi» (Giovanni 8,32). E questo bisogno di verità,
a giudicare dall'attenzione che suscita questo Papa, è evidentemente
ben più vasto di quanto possa apparire a molti.
Un secondo tratto che rende particolarmente amato il Papa argentino è
la semplicità del suo modo di comunicare: la preferenza per il "parlare
a braccio", da lui tanto spesso dimostrata, non è semplicismo, ma
espressione della volontà di raggiungere coloro cui si dirige in
maniera al tempo stesso diretta, essenziale e profonda.
«Cor
ad cor loquitur»: questa massima, tanto cara al grande teologo e
cardinale inglese John Henry Newman, esprime bene l'arco di fiamma che
questo Papa riesce a stabilire fra sé e chi lo ascolta, facendo
avvertire la vicinanza dei cuori nell'accoglienza e nell'ascolto
reciproci. Peraltro, la semplicità unita alla profondità era anche un
grande merito della comunicazione spirituale di Benedetto XVI: una
volta ebbi modo di dire al Papa emerito quanto le Sue omelie, specie
quelle fatte a braccio, fossero state capaci di raggiungere le menti e
i cuori, unendo la verità e l'amore, la chiarezza e la profondità dei
contenuti. La sua risposta fu al tempo stesso disarmante e rivelatrice
della sua umiltà: «Parlando in una lingua non mia, non avevo alcun
merito a essere semplice, perché usavo le uniche parole che conosco:
quelle semplici!». Per l'italiano di Francesco non è certo così, perché
la nostra lingua è stata sua sin dall'infanzia (la lingua della
Nonna!), insieme con l'amatissimo spagnolo "portegno": il risultato,
però, è analogo, perché - abituato da sempre a stare vicino ai poveri,
spesso indifesi perché privi del prezioso possesso della parola - egli
si è allenato a dire le cose grandi in modo umile e comprensibile a
tutti. Va sottolineato che la semplicità comunicativa delle parole e
dei gesti di Papa Francesco non avrebbe la forza che ha se non fosse
abitata da quella sincerità e trasparenza di cui s'è detto prima: solo
chi ama la verità e al tempo stesso ama la gente cui proporla è capace
di coniugare i due amori in una comunicazione vera, illuminante e
contagiosa. Proprio così, la semplicità di Bergoglio diventa un esempio
e una scuola per tutti, specialmente per chi è abituato a parlare il
"politichese", capace di moltiplicare parole in maniera inversamente
proporzionale ai contenuti di verità trasmessi...
Infine, a colpire tutti è la sobrietà di questo Papa: egli non solo non
ha bisogno di grandi mezzi e di forme appariscenti, ma rifugge con
convinzione da tutto ciò che sembra esaltare il potere secondo la
logica di questo mondo, per privilegiare ciò che dice carità,
prossimità e servizio. Se la decisione di vivere con altri a Santa
Marta esprime per sua stessa ammissione il bisogno di fraternità
condivisa, l'uso di auto semplici, di stili di comportamento "normali",
mette in luce la sua volontà di essere sentito come uno di noi, un
compagno di strada e un fratello in umanità. Ciò nulla toglie al suo
ruolo di paternità universale, ma dà a questo un tocco di accessibilità
e di familiarità, che lo rende vicino al cuore di tanti. Più in
generale, il suo desiderio di una Chiesa povera e amica dei poveri non
è solo voce della storia ecclesiale di un intero continente, quello
Latino-americano, dove il bisogno di giustizia sociale e di liberazione
integrale della persona umana è vasto e profondo, ma è anche invito a
tutti i fedeli a seguire e imitare il Figlio di Dio fatto uomo, che da
ricco che era ha scelto di essere povero per dare a tutti la ricchezza
della sua condizione divina. Anche la sobrietà è insomma un linguaggio,
una via per farsi prossimo a tutti e abbattere le distanze che così
facilmente le nostre paure creano verso chi ha responsabilità così
grandi. E riscoprire la sobrietà è riserva preziosa in un tempo di
crisi e di difficoltà economiche per tanti. Papa Francesco ama essere
il parroco del mondo, non per smania di originalità, ma per amore del
suo popolo e in obbedienza allo stile di vita e di azione del Maestro e
Signore cui ha consegnato il cuore e la vita, il Signore Gesù. Proprio
così, ciò che fa e dice ha sapore di Vangelo e fa intuire il potere di
trasformazione e di salvezza per tutti delle parole pronunciate e
vissute in prima persona dal Nazareno: «Beati voi, poveri, perché
vostro è il regno di Dio» (Luca 6,20).