Una bussola per la chiesa di domani
di Brunetto Salvarani
Cari cardinali!
«Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Giovanni 21,17b-18). È stato spontaneo per me, dopo l’immediato stupore, andare ai versetti in cui Gesù, verso la fine del vangelo di Giovanni, risponde a Pietro. Sì, perché Benedetto XVI, dopo aver custodito il gregge della Chiesa per quasi otto anni, ha sentito di aver toccato la stagione dell’esistenza in cui non sarebbe stato in grado di andare dove avrebbe voluto, e in cui qualcun altro avrebbe dovuto cingergli la veste: fino a decidere di concludere, in anticipo sul tradizionale richiamo di Sorella Morte, il suo ministero petrino. È una scelta non solo prevista dal diritto, ma comprensibile appieno sul piano umano; un gesto che abbina grande forza spirituale, lucidità intellettuale e coraggio pastorale, cui dovrete rispondere con la vostra prossima assise. «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede - disse Benedetto – per governare la barca di Pietro e annunciare il vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo».
A quali rapidi mutamenti, a che questioni di grande rilevanza alludeva? Riandando al suo pensiero e coniugandolo con le istanze emerse negli ultimi Sinodi, è lecito immaginare, da una parte, l’obiettivo di un’estensione globale della solidarietà e di una pratica di giustizia, pace e salvaguardia del creato su scala planetaria, centrate su una fede cristiana tornata a essere dotata di senso. Dall’altra, l’esigenza di un nuovo stile di cattolicità ecumenica, capace di affrontare la dialettica tra dimensione locale e universalità, ponendosi al servizio di un mondo riconosciuto come casa della vita, nella ricerca di un’etica il più possibile condivisa; ma anche, non da ultimo, il tema delicato della difficile trasmissione generazionale della fede (siamo alla prima generazione incredula!).
Sfide da far tremare i polsi, indubbiamente, ma ineludibili, pena la progressiva insensatezza dell’annuncio evangelico nel nostro tempo. In questa chiave mi permetto di ricordarvi il libretto in cui, sul crinale del Terzo Millennio, il teologo J.-M. Tillard si chiedeva: «Siamo gli ultimi cristiani?». A suo dire, se s’individua una certezza nella crisi odierna del cristianesimo è che questa generazione appare l’estrema testimone di una certa modalità di essere cristiani, legata all’idea di una società cristiana; e nel prossimo futuro sarà indispensabile parlare di Cristo non solo dall’alto di una cattedra, ma reimparare che la fede si trasmette tramite l’umile proclamazione della «differenza» evangelica.
Ecco il lascito del Vaticano II, bussola sicura per orientarsi nella complessità del presente e soggetto costante degli ultimi discorsi di Benedetto XVI. Peraltro era stato egli stesso, nel settembre 2009, volando verso Praga, a pronunciare parole simili: «Normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale». Già nel’97 l’allora cardinale Ratzinger sostenne che la statistica non è uno dei criteri di Dio, e occorrerà abituarsi a una Chiesa di minoranza, costituita da piccoli gruppi di persone veramente convinte e credenti e che agiscono di conseguenza. Letta in tale luce, la sua epocale rinuncia si colloca nel cuore del profondo cambiamento avvenuto nell’autocoscienza ecclesiale con l’ultimo Concilio: una Chiesa che si pensa secondo una reale storicità. Il Vaticano II, infatti, ha evidenziato il bisogno di un permanente rinnovamento e un’urgente riforma, perché la Chiesa evolve e si trasforma, e le sue istituzioni sono segnate dal trascorrere fugace della scena di questo mondo (1a lettera Corinti 7,31).
È questo il testimone che il Papa uscente consegna a voi, al suo successore e a tutti noi cristiani, chiamati a proseguire con i nostri diversi carismi sulla strada - certo, non facile - di una reale collegialità e trasparenza, di una maggiore sinodalità per un camminare insieme che ci veda coinvolti nelle scelte, nel quadro di un cristianesimo globale in cui i cristiani del sud del mondo sono ormai più (e più vivi) di quelli dei paesi tradizionalmente cristianizzati e in cui le donne chiedono giustamente a gran voce di essere finalmente protagoniste a pieno titolo. E chiamati ad annunciare con coraggio che il messaggio evangelico sarà realmente vivibile anche in futuro: perché il Dio di Gesù non è solo alleato dell’uomo in genere, ma anche dell’uomo postmoderno, che ha scoperto come valori irrinunciabili la ragione critica e la libertà di coscienza. Quella stessa cui si è richiamato Benedetto XVI per spiegare il valore autentico della sua scelta.
(fonte: “l'Unità” del 25 febbraio 2013)