A
intervistare il Papa lunedì 9 giugno 2014 è stato il giornalista di
origini portoghesi Henrique Cymerman, corrispondente dal Medio
Oriente per «La Vanguardia», «Antena 3» e la TV israeliana
«Channel 2».
Ci sono Paesi dove oggi si perseguitano i cristiani
«I cristiani perseguitati sono una preoccupazione che mi tocca da
vicino come pastore. So molte cose di queste persecuzioni che non mi
sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno. Però ci sono
luoghi nei quali è proibito avere una Bibbia o insegnare il
catechismo o portare una croce… Quello che voglio chiarire è questo:
sono convinto che la persecuzione contro i cristiani oggi è più forte
che nei primi secoli della Chiesa. Oggi ci sono più cristiani martiri
che in quell’epoca. E non è fantasia, sono i numeri.
La violenza in nome di Dio domina il Medio Oriente
«La violenza nel nome di Dio è una contraddizione, non corrisponde al
nostro tempo, è qualcosa di antico. Con una prospettiva storica
dobbiamo dire che i cristiani, a volte, l’abbiamo praticata. Quando
penso alla guerra dei Trent’anni, quella era violenza nel nome di Dio.
Oggi è inimmaginabile. Vero? Arriviamo a volte, attraverso religione, a
contraddizioni molto serie e molto gravi. Il fondamentalismo, per
esempio. Nelle tre religioni (monoteiste, ndr) abbiamo i nostri gruppi
fondamentalisti, piccoli in rapporto a tutto il resto.
E il fondamentalismo
Un gruppo fondamentalista, anche se non uccide nessuno, anche se non
colpisce nessuno, è violento. La struttura mentale del fondamentalismo
è violenza nel nome di Dio»
Alcuni dicono che lei sia un rivoluzionario
«Dovremmo chiamare la grande Mina, la cantante italiana e dirle:
“Prendi questa mano, zingara”, e chiederle che mi legga il passato…
(ride) (La canzone in realtà era cantata da Iva Zanicchi, ndr).
Per me, la grande rivoluzione è andare alle radici, riconoscerle e
vedere ciò che queste radici hanno da dire al giorno d’oggi. Non c’è
contraddizione fra l’essere rivoluzionario e tornare alle radici. Di
più, credo che il modo per fare veri cambiamenti sia partire
dall’identità. Mai si può fare un passo nella vita se non dal
precedente, senza sapere da dove vengo, che nome ho, che nome culturale
o religioso ho».
Lei spesso non segue il protocollo per avvicinarsi alle persone
«So che mi può succedere qualcosa, però è tutto nelle mani di Dio.
Ricordo che in Brasile mi avevano preparato la papamobile chiusa, con
il vetro. Io però non posso salutare il popolo e dirgli che lo amo da
dentro una scatola di sardine, anche se è di cristallo. Per me questo è
un muro. È vero che qualcosa mi può accadere, però siamo realisti, alla
mia età non ho molto da perdere».
Perché è importante che la Chiesa sia povera e umile?
«La povertà e l’umiltà sono al centro del Vangelo, e lo dico in un
senso teologico, non sociologico. Non si può capire il Vangelo senza la
povertà, che però va distinta dal pauperismo. Io credo che Gesù voglia
che i vescovi non siano prìncipi, ma servitori»
Cosa può fare la Chiesa per ridurre il crescente divario tra ricchi e poveri?
«È provato che con il cibo che avanza potremmo dar da mangiare alla
gente che ha fame. Quando lei vede le fotografia dei bambini denutriti
in diverse parti del mondo, le scoppia la testa, non si può capire.
Credo che viviamo in un sistema economico mondiale che non è buono. Al
centro di tutto il sistema economico deve esserci l’uomo, l’uomo e la
donna, e tutto deve essere al servizio dell’uomo. Ma noi abbiamo invece
messo al centro il denaro, il dio denaro. Siamo caduti in un peccato di
idolatria, l’idolatria del denaro. L’economia si muove per l’affanno di
avere di più e paradossalmente, si alimenta una cultura dello scarto.
Si scartano i giovani quando si limita la natalità. Si scartano anche
gli anziani perché non servono più, non producono, sono una classe
passiva. Si scartano i giovani quando si limitano le nascite. Anche gli
anziani si scartano perchè non servono, non producono, sono una classe
passiva... E scartando i ragazzi e gli anziani, si scarta il futuro di
un popolo perché i ragazzi tirano in avanti con forza e perché gli
anziani ci danno la saggezza, hanno la memoria di questo popolo e
devono trasmetterla ai giovani. Adesso è di moda scartare i giovani con
la disoccupazione. Mi preoccupa molto l’indice di disoccupazione dei
giovani, che in alcuni Paesi supera il 50%. Qualcuno mi ha detto che 75
milioni di giovani europei con meno di 25 anni sono disoccupati. È una
barbarie. Noi scartiamo tutta una generazione per mantenere un sistema
economico che non regge più, un sistema che per sopravvivere deve fare
la guerra, come sempre hanno fatto i grandi imperi. Visto che non si
può fare la terza guerra mondiale, si fanno guerre locali. Che cosa
significa questo? Significa che si fabbricano e si vendono armi, e così
i bilanci delle economie idolatre, le grandi economie mondiali che
sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro, ovviamente si
risanano. Questo pensiero unico ci toglie la ricchezza della diversità
di pensiero e dunque di un dialogo tra le persone. La globalizzazione
bene intesa è una ricchezza. Una globalizzazione male intesa è quella
che annulla le differenze. È come una sfera, con tutti i punti
equidistanti dal centro. Una globalizzazione che arricchisce è come un
poliedro, tutti uniti ma ciascuno che conserva la sua particolarità, la
sua ricchezza, la sua identità. E questo non accade».
La preoccupa il conflitto tra Catalogna e Spagna?
«Tutte le divisioni mi preoccupano. C’è indipendenza per emancipazione
e c’è indipendenza per secessione. Le indipendenze per emancipazione,
per esempio, sono quelle americane, che si sono emancipare dagli stati
europei. Le indipendenze dei popoli per secessioni sono uno
smembramento a volte molto ovvio. Pensiamo all’ex Jugoslavia.
Ovviamente ci sono popoli con culture così diverse che neanche con la
colla si potrebbero unire. Il caso iugoslavo è molto chiaro, però io mi
domando se è così chiaro in altri casi, per altri popoli che fino ad
ora sono stati uniti. Bisogna studiare caso per caso. La Scozia, la
Padania, la Catalogna. Ci saranno casi in cui saranno giuste, altri in
cui non lo saranno. Però la secessione da una nazione senza che ci sia
stato un antecedente di unione forzata bisogna prenderla con le pinze e
analizzarla caso per caso».
La preghiera per la pace di
domenica (8 giugno ndr.) non è stata facile da organizzare perchè non
aveva precedenti nel Medio Oriente e nel mondo intero. Come si è
sentito?
«... Ho avvertito che era qualcosa che sfuggiva a tutti noi. Qui, in
Vaticano, c’erano il 99 per cento delle persone che dicevano che non si
sarebbe fatto e poi quell’uno per cento è cresciuto. Io sentivo che
venivamo spinti verso qualcosa che non si era mai verificato e
gradualmente ha preso forma. Non è stato per nulla un atto politico – e
questo l’ho avvertito fin dall’inizio – ma un atto religioso: aprire
una finestra sul mondo».
Perché ha scelto di entrare nell'occhio del ciclone che è il Medio Oriente?
«Il vero uragano, per l'entusiasmo che c'era è stata la Giornata
Mondiale della Gioventù dell'anno scorso a Rio de Janeiro. Ho deciso di
andare perché il presidente Peres mi ha invitato. Io sapevo che il suo
mandato terminava questa primavera, e così mi sono visto obbligato, in
qualche modo, ad andare prima. Il suo invito ha affrettato il viaggio,
non avevo pensato di farlo»
Perché è importante per tutti i cristiani visitare Gerusalemme?
«Perchè tutto è cominciato
lì. E' come il "paradiso in terra", un'anteprima di ciò che ci attende
nell'aldilà, nella Gerusalemme celeste»
Lei
al muro del pianto si è abbracciato con il suo amico il rabbino Skorka.
Quanto è stato importante questo gesto per la riconciliazione tra
cristiani ed ebrei?
«Al Muro c'era anche il mio buon
amico il professor Omar Abu, presidente dell'Istituto del Dialogo
Interreligioso di Buenos Aires. Un uomo molto religioso, padre di due
bambini. Amico anche del rabbino Skorka. Sono molto legato ad entrambi
e questa amicizia che ci lega doveva essere come una testimonianza»
Un anno fa ha detto che "dentro ciascun cristiano c'è un ebreo"
«Sarebbe più corretto dire "Tu non puoi vivere il tuo cristianesimo,
non puoi essere un vero cristiano, se non riconosci la tua radice
ebraica". Non parlo di ebraico nel senso semitico di razza ma in senso
religioso. Credo che il dialogo interreligioso debba approfondire
questo, le radici ebraiche del cristianesimo e il fiorire cristiano
dell’ebraismo. Capisco che è una sfida, una patata bollente, ma lo si
può fare da fratelli. Io prego tutti i giorni l’Ufficio divino con i
Salmi di Davide. I 150 Salmi li abbiamo passati in una settimana. La
mia preghiera è ebraica, e poi ho l’eucaristia, che è cristiana».
Come vede l'antisemitismo?
«Non saprei spiegare perché accada, però credo che sia un fenomeno
molto unito, in generale, e senza che ci sia una regola fissa, alle
destre. L’antisemitimso si annida solitamente meglio nelle correnti
politiche di destra che di sinistra, no? E ancora continua. Compreso
chi nega l’Olocausto, una pazzia.
Uno dei suoi progetti è aprire gli archivi vaticani sull'olocausto
«Porterà molta luce.»
E' preoccupato per quello che si potrebbe scoprire?
«Su
questo tema ciò che mi preoccupa è la figura di Pio XII, il Papa che ha
guidato la Chiesa durante la Seconda Guerra Mondiale. Sul povero Pio
XII è stato tirato fuori di tutto. Ma dobbiamo ricordare che prima lo
si vedeva come il grande difensore degli ebrei. Ne ha nascosti molti
nei conventi di Roma e di altre città italiane, e anche nella residenza
estiva di Castel Gandolfo. Là nella casa del Papa, nella sua camera da
letto sono nati 42 bambini, figli di ebrei e di altri perseguitati
rifugiatisi lì. Non voglio dire che Pio XII non abbia commesso errori –
anch’io ne commetto tanti – però il suo ruolo deve essere letto nel
contesto di quel tempo. Era meglio, ad esempio, che non parlasse perché
non venissero uccisi più ebrei, oppure che lo facesse? Voglio anche
dire che a volte mi prende un po’ di orticaria esistenziale quando vedo
che tutti se la prendono contro la Chiesa e Pio XII, e si dimenticano
le grandi potenze. Lo sa lei che conoscevano perfettamente la rete
ferroviaria dei nazisti per trasportare gli ebrei ai campi di
concentramento? Avevano le foto. Però non hanno bombardato queste linee
ferroviarie. Perché? Sarebbe bene parlare un po’ di tutto».
Lei si sente come un parroco o capo della Chiesa?
«La dimensione del parroco è quella che più mostra la mia vocazione.
Servire la gente mi viene da dentro. Spengo la luce per non spendere
troppo denaro, per esempio. Sono cose da parroco. Ma mi sento anche
Papa. Mi aiuta a fare le cose con serietà. I miei collaboratori sono
molto seri e professionali. Ho gli aiuti necessari per compiere il mio
dovere. Non si deve giocare al Papa parroco, sarebbe da immaturi.
Quando arriva un capo di Stato, devo riceverlo con la dignità e il
protocollo che si merita. È vero che con il protocollo ho i miei
problemi, ma bisogna rispettarlo».
Lei sta cambiando molte cose. Verso quale futuro portano questi cambiamenti?
«Non ho alcuna illuminazione, non ho alcun progetto personale,
semplicemente perché mai ho pensato che sarei rimasto qui, in Vaticano.
Lo sanno tutti: sono arrivato con una valigia piccola per tornare
subito a Buenos Aires. Quello che sto facendo è realizzare quello
su cui i cardinal hanno riflettuto nelle congregazioni generali prima
del conclave per discutere i problemi della Chiesa. Da lì arrivano
riflessioni e raccomandazioni. Una molto concreta era stata che il
futuro Papa doveva poter contare un consiglio esterno, un gruppo di
consiglieri che non vivesse in Vaticano.»
Si è chiamato il consiglio degli otto
«Sono otto cardinali di
tutti i continenti e ha un coordinatore. Si riunisce qui ogni tre mesi.
Ora il primo di luglio abbiano quattro giorni di riunioni e stiamo
facendo dei cambiamenti che gli stessi cardinali ci chiedono. Non è
obbligatorio che li facciamo ma sarebbe poco prudente non ascoltare
quelli che conoscono la situazione».
Ha fatto anche grandi sforzi per raggiungere la chiesa ortodossa
«L'andare a Gerusalemme dal mio fratello Bartolomeo I è stato per
commemorare l’incontro di 50 anni fa tra Paolo VI e Atenagora. Quello
fu un incontro dopo mille anni di separazione. Dal Concilio Vaticano
II, la Chiesa cattolica fa lo sforzo di avvicinarsi e la Chiesa
ortodossa lo stesso. Con alcune Chiese ortodosse c’è più vicinanza che
con altre. Ho desiderato che Bartolomeo fosse con me a Gerusalemme e lì
è nato il progetto che fosse presente anche alla preghiera in Vaticano.
Per lui è stato un passo rischioso, perché lo possono rimproverare,
però bisogna essere colpiti da questo suo gesto di umiltà, e per noi è
necessario perché è inconcepibile che siamo divisi come cristiani, è un
peccato storico al quale dobbiamo riparare».
Con l'avanzare dell'ateismo, cosa pensa delle persone che credono che la scienza e la religione siano incompatibili?
«C’è stato un aumento di ateismo nell’epoca esistenzialista, forse per
l’influsso di Sartre. Ma poi è arrivato un passo in avanti verso la
ricerca spirituale, l’incontro con Dio in mille modi diversi, non
necessariamente legati alle forme religiose tradizionali. Lo scontro
tra scienza e fede ha raggiunto il picco nel secolo dei Lumi, ma non è
poi così di moda oggi, grazie a Dio, perché ci siamo resi conto tutti
della vicinanza che c’è tra una cosa e l’altra. Papa Benedetto XVI ha
un buon magistero sul rapporto tra scienza e fede. In generale, la
maggior parte degli scienziati ora è molto rispettosa della fede e lo
scienziato agnostico o ateo dice: “Io non oso entrare in quel campo”».
Lei ha incontrato molti Capi di Stato
«Sono venuti molti capi di Stato ed è interessante la varietà. Ognuno
ha la propria personalità. Ha attirato la mia attenzione un elemento
trasversale fra i politici giovani, che siano di centro, di sinistra o
di destra. Forse parlano degli stessi problemi, ma con una nuova
musica, e mi piace, mi fa ben sperare perché la politica è una delle
più alte forme di amore, di carità. Perché? Perché porta al bene
comune, e una persona che, potendo farlo, non entra in politica per
servire il bene comune, questo è egoismo. E se invece utilizza la
politica per il suo proprio bene, questa è corruzione. Circa quindici
anni fa, i vescovi francesi hanno scritto una lettera pastorale, una
riflessione dal titolo “réhabiliter la politique”. È un bel testo fa
capire tutte queste cose».
Che cosa pensa della rinuncia di Benedetto XVI?
«Papa Benedetto ha compiuto un gesto molto grande. Ha aperto una porta,
ha creato una istituzione, quella degli eventuali Papi emeriti.
Settant’anni fa non c’erano vescovi emeriti. Oggi quanti ce ne sono?
Bene, siccome viviamo più a lungo, arriviamo a un’età nella quale non
possiamo andare avanti con le cose. Io farò lo stesso che ha fatto lui,
chiederò al Signore che mi allumini quando arriva il momento e che mi
dica ciò che devo fare. Me lo dirà di sicuro»
Lei ha una stanza riservata in una casa di riposo a Buenos Aires
«Avevo una stanza riservata per me in una casa di riposo per sacerdoti
anziani a Buenos Aires. Io avrei lasciato l’arcivescovado alla fine
dell’anno scorso e avevo già presentato la rinuncia a Papa Benedetto
quando avessi compiuto i 75 anni. Ho scelto una stanza e ho detto:
voglio venire a vivere qui. Lavorerò come prete, aiutando nelle
parrocchie. Questo sarebbe stato il mio futuro prima di essere Papa».
Non le chiederò per chi farà il tifo nel Mondiale...
«I brasiliani mi hanno chiesto neutralità… (ride) e mantengo la parola data perché sempre Brasile e Argentina sono antagonisti».
Come le piacerebbe essere ricordato dalla storia?
«Non ci ho pensato però mi piace quando uno ricorda qualcun altro e
dice: “Era un buon uomo, ha fatto quello che ha potuto, non era così
male” Mi basta questo»