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 "Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

04 NOVEMBRE 2012    -   XXXI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B -

                                                                                                 

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 


Prima lettura: Dt 6,2-6      Salmo: 17     Seconda lettura: Eb 7,23-28



VANGELO secondo Marco 12,28-34

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.





XXXI DOMENICA – B

 

Amare come Dio ci ama

1. Il vangelo di questa domenica (Mc 12,28-34) riafferma – in continuità con l’AT – il primo e il secondo comandamento che contengono e riassumono tutti gli altri comandamenti della S. Scrittura: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. Non a caso è proprio uno scriba, ovvero un lettore assiduo delle S. Scritture, in particolare della Torah, a porre la domanda a Gesù; ed è lo stesso scriba che sottolinea la bellezza della risposta di Gesù: «Bello, Maestro, hai detto secondo verità…» (Mc 12,32); ed è ancora lo stesso scriba che viene lodato per la sua sapienza e la sua vicinanza al Regno di Dio (Mc 12,34).

Questi comandamenti non solo disegnano le coordinate fondamentali della fede di Israele ed esprimono la bellezza della fede di Isaele, ma disegnano anche le coordinate dell’intera esistenza cristiana ed esprimono anche la bellezza della sequela di Gesù e del conformarsi al suo stile di vita.

Direi che questo è uno dei punti in cui la fede ebraica e la fede cristiana ritrovano vicini: il comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo.

 

2. Può sembrare strano per la nostra mentalità che proprio un comandamento costituisca uno dei punti di vicinanza tra ebrei e cristiani. Come ci può sembrare anche strano che l’amore venga comandato: si può comandare l’amore? L’amore non dovrebbe essere libero e spontaneo?

Se Dio nelle Scritture dell’AT comanda l’amore (prima lettura: Dt 6,2-6; cf. anche Lv 19,18) e se nel vangelo anche Gesù comanda l’amore (cf. Gv 15,12.14.17) una ragione c’è. L’amore di cui qui si parla è, sì, l’amore gratuito, libero, incondizionato e fedele, eterno… , ma è l’amore che Dio ha verso di noi e verso tutte le sue creature; è l’amore che Cristo Gesù, in obbedienza all’amore del Padre verso di lui, ha per i suoi discepoli-amici e per tutta l’umanità; è l’amore che lui ha manifestato e donato «fino alla fine», fino all’Ora della Croce (Gv 13,1; Rm 5,8).

Il cuore umano, per quanti sforzi possa fare, è incapace di vivere spontaneamente questo amore; l’amore secondo l’intermittenza dei sentimenti sì, l’amore secondo le occasioni e le opportunità sì, ma l’amore gratuito, libero, incondizionato e fedele, eterno… no, in noi non sorge spontaneo.

Ecco, allora, il senso del comandamento dell’amore: la fatica della pratica di esso, giorno dopo giorno, ci permette di avvicinarci un po’ di più a Dio e un po’ di più al nostro prossimo; ci dà la possibilità di imitare Dio e il suo Figlio Gesù, cioè di amare Dio e il Figlio Gesù nello stesso modo con cui loro amano tutti noi, e di amare il prossimo nello stesso modo con cui loro amano tutte le creature umane.

Non a caso noi cristiani abbiamo l’eucaristia, il sacramento dell’amore, dove ci viene comandato: «fate questo in memoria di me», ovvero vivere e mettere in pratica la logica dell’esistenza spezzata, donata e condivisa, che è la logica dell’amore e della compassione di Gesù Sommo Sacerdote verso tutti noi, amore che ci permette di avvicinarci a Dio (seconda lettura: Eb 7,23-28).

 

3. Se impariamo, giorno dopo giorno, ad amare così come Dio ama, allora ci accorgeremo, proprio a motivo del comandamento, che l’amore va vissuto nella concretezza della nostra esistenza.

Per quanto riguarda l’amore verso Dio, il comandamento chiede la totalità della nostra persona: «con tutto… con tutto… con tutto… », ma la totalità della persona, non teorica e astratta, bensì esistenzialmente concreta e precisa:

-            la persona che ha un “cuore” («con tutto il cuore»), cioè una coscienza che progetta, che decide, che sceglie…

-            la persona che ha un’anima («con tutta l’anima»), cioè il respiro, la vitalità, la psiche…

-            la persona che ha una intelligenza («con tutta la mente»), cioè una sapienza, una capacità di ricerca, di discernimento, di valutazione…

-            la persona che ha una forza («con tutta la tua forza»), cioè il denaro e i beni…

Ecco: il comandamento ci chiede di amare Dio concretamente attraverso i nostri progetti, le nostre scelte e decisioni, la nostra vitalità e la nostra psiche, la nostra intelligenza e i nostri beni. Attraverso tutto quello che una persona (o comunità) è ed ha, può discernere e verificare se veramente ama Dio con tutto se stessa oppure soltanto a parole…

Per quanto riguarda il comandamento dell’amore verso il prossimo, esso chiede di amarlo così come ognuno “ama se stesso”. Che cosa vuol dire “amare se stesso”? Come il Signore vuole che amiamo noi stessi? In modo eccentrico, autoreferenziale e nell’autocompiacimento di noi stessi? Oppure rinnegando noi stessi (Mc 8,34-37), facendo quei “tagli” dolorosi e necessari nel nostro modo di agire e di comportarci (Mc 9,43-47) e diventando “piccoli” (Mt 18,4)? L’apostolo Paolo ci ricorda che in Cristo Gesù «nessuno vive per se stesso» (Rm 14,7-8), che per nessun motivo, neanche quando facciamo il bene, dobbiamo «compiacere noi stessi» (Rm 15,1), ma «piacere al prossimo» (Rm 15,2), sull’esempio di Cristo Gesù che «non cercò di piacere a se stesso» (Rm 15,3).

Ecco come la fede biblica ci indica il senso dell’“amare noi stessi”, ed è questa la condizione per poter amare il prossimo non solo come noi stessi ma anche così come lo ama/ci ama Dio.

 

Chiediamo, allora, con la voce del salmista (salmo responsoriale: Sal 18), che Dio ci doni la forza e la sapienza di amare così come Lui ama, perché Lui è l’“uno” che dà unità alla nostra vita e che ci libera dai falsi amori, Lui è la “roccia” sulla quale possiamo costruire, senza denuncia di “abusivismo”, la casa della nostra esistenza.

                                                                                        Egidio Palumbo
Barcellona PG (ME)