"Tempo Perso -
Alla ricerca di
senso nel quotidiano"
13 MAGGIO
2012 - VI DOMENICA DI PASQUA - Anno B -
Prima lettura: At 10,25-27.34-35.44-48 Salmo: 97 Seconda lettura: 1Gv 4,7-10
VANGELO secondo Giovanni 15,9-17 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». |
Amici del Signore e non servi di un padrone
1. L’itinerario mistagogico di questa domenica di Pasqua si sofferma ancora a meditare sulla relazione di comunione interpersonale tra Cristo Risorto (la Vite vera e fedele) e noi suo popolo, sua Chiesa (i tralci), e sulle relazioni dei cristiani tra loro (i tralci) all’interno del popolo di Dio, qualificando queste relazioni come relazioni di amore e di amicizia (Gv 15,9-17). Ma di quale amore e di quale amicizia si tratta? 2. L’amore di cui qui si parla non è un vacuo sentimento, condizionato dal mio sentire e dalla mia condizione psicologica, spesso “ad intermittenza” – oggi “mi sento”, domani “non mi sento” –, ma di un amore stabile, che rimane («rimanete nel mio amore»), di un amore fedele, eterno, preveniente, gratuito e incondizionato. Certo, questa è la relazione di amore tra il Padre, il Figlio e – sta implicito nella parola “amore” – lo Spirito: «Come il Padre ha amato me … come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore». Sì, è l’amore di comunione interpersonale profonda che vivono le Persone della Trinità. Ebbene, di questo amore il Figlio Risorto, gratuitamente, ci fa dono, ci rende tutti partecipi attraverso la sua relazione di amore con noi: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore… Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore». Questo amore deve essere posto al centro della nostra vita, perché è la radice, la fonte e il dinamismo di tutte le nostre relazioni: con Dio e con gli altri. Infatti, è da questo amore (seconda lettura: 1Gv 4,7-10) – che poi è lo stesso Dio, quel Dio che fa il primo passo e che ci perdona gratuitamente («vittima di espiazione») per mezzo del Figlio suo – che noi siamo stati generati come figli di Dio. Ed è grazie alla presenza dinamica di questo amore che noi conosciamo Dio, ovvero siamo resi capaci di fare un’autentica esperienza di Dio. Amare Dio con amore fedele, gratuito, incondizionato, senza pretese meritocratiche, senza scambio di “favori” o di “grazie”, è veramente impegnativo, perché destruttura e smonta ogni nostra visione “pagano-religiosa” del Dio della Bibbia: perciò il Risorto ci comanda di essere stabili nell’amore e di vivere i comandamenti che Lui stesso ha vissuto per primo, e poi ci esorta a vivere la vita cristiana nella prospettiva non della “tristezza” ma della “gioia piena” (Gv 15,11), ovvero con la consapevolezza di essere stati generati da Cristo come uomini nuovi che imparano ad abitare con sapienza e passione questo mondo così complesso e complicato (Gv 16,21-22). 3. L’amore di Dio per noi, per mezzo di Cristo Gesù, inoltre, è anche la radice, la fonte e il dinamismo delle relazioni tra noi e con gli altri. E anche qui il Risorto ci consegna un comandamento impegnativo, che ripete per due volte, all’inizio e alla fine: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12) - «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17). Si tratta dello stesso amore fedele, gratuito, incondizionato che ora siamo chiamati a vivere nelle nostre relazioni all’interno della Chiesa, all’interno delle nostre comunità, oltre che nella nostra famiglia, “chiesa domestica”, e nelle relazioni con i nostri fratelli e sorelle in umanità. E anche qui, il centro e la fonte dell’amore vicendevole, dell’amore fraterno rimane sempre il Cristo Pasquale, ovvero: l’Amico che ha donato la sua vita per gli amici, cioè per tutti noi e per tutti i fratelli e le sorelle in umanità; l’Amico che ci ha fatto conoscere, cioè sperimentare, tutto quanto ha udito dal Padre suo e Padre nostro; l’Amico che noi non abbiamo scelto ma che Lui ha scelto noi (Gv 15,13-16). Ed è fondamentale che Gesù ci chiami amici e non servi: indica un tratto dello stile di vita che non solo ha caratterizzato la sua esistenza umana, che non solo caratterizza la sua presenza di Risorto in mezzo a noi, ma che caratterizza anche l’esistenza dei discepoli, della sua Chiesa, delle nostre comunità ecclesiali, come ha caratterizzato, pur in mezzo a mille difficoltà, la vita delle prime comunità cristiane (prima lettura: At 10,25-27.34-35.44-48). Ad ogni cristiano deve poter essere data la grazia di sperimentare la vera amicizia nella vita della sua comunità, affinché possa cantare con il salmista il canto nuovo del Signore che rivela la sua giustizia a tutti i popoli, nessuno escluso (salmo responsoriale: Sal 98). Certo, è impegnativo vivere l’amore vicendevole e l’amicizia, così come li chiede Gesù: sono valori che destrutturano e smontano ogni nostro modo di vivere le relazioni, nella Chiesa e nel mondo, all’insegna della logica mondana “servo-padrone” o dell’istinto possessivo di tipo patriarcale/matriarcale. Perciò l’amore vicendevole ci è comandato dal Risorto, cioè proprio da colui che ci è Amico: egli lo fa per il nostro bene, per la nostra salvezza. Infatti il comandamento ci permette di uscire fuori dalle nostre logiche mondane e dai nostri istinti possessivi, perché non ci trasmette un codice di norme, ma la narrazione viva di una relazione di amore e di amicizia, fedele e autentica, senza camuffamenti, ipocrisie e finzioni. Il comandamento ci è consegnato perché noi viviamo in pienezza. Preghiamo, allora, affinché nella nostra vita personale e nella nostra Chiesa si ritorni a mettere al centro l’Amore e l’Amicizia, affinché impariamo a vivere le nostre relazioni nella logica sapiente della fedeltà e della gratuità.
Egidio Palumbo |