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28 APRILE 2013    -   V Domenica di Pasqua - Anno C -

                                                                                                 

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 


Prima lettura: At 14,21-27      Salmo: 144      Seconda lettura: Ap 21,1-5



VANGELO secondo Giovanni 13,31-35



Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».








V DOMENICA DI PASQUA – C

 

Il comandamento dell'amore reciproco


1. L’itinerario mistagogico del tempo pasquale a partire da questa domenica si sofferma a considerare i frutti della Pasqua.

Il primo frutto è l’amore vicendevole che qualifica la vita dei discepoli del Signore (Gv 13,31.34-35). È un amore che chiede di essere vissuto nella prospettiva pasquale: morire a noi stessi per rinascere a vita nuova. Non è un caso, infatti, che il contesto più immediato della pagina evangelica è la cena pasquale di Gesù (Gv 13,1-2), quella che noi chiamiamo “l’ultima cena”, ma “ultima” non in senso cronologico bensì escatologico e mistico, ovvero la cena che anticipa qui e ora la venuta del Regno di Dio, il giorno della piena fraternità, della piena comunione tra noi e Dio, tra di noi fratelli e sorelle nelle fede e tra noi e tutti i fratelli e le sorelle in umanità.

Ma la pagina evangelica è inserita anche in un contesto più ampio: quello del grande discorso (Gv 13,31-16,33). – qui nei vv. 31.34-35 all’esordio – in cui Gesù trasmette il suo testamento, consegna ai discepoli e a tutti i credenti la sua eredità. Quindi l’amore vicendevole è la consegna ai cristiani dell’eredità di Gesù, eredità che, se accolta e vissuta, anticipa già qui in terra i tempi nuovi e futuri, ovvero la comunione tra noi e Dio e di tutta l’umanità.

Ma in che modo Gesù ci consegna questa preziosa ed impegnativa eredità?

 

2. Innanzitutto ce la consegna come comandamento. Per la nostra sensibilità, nutrita anche da molto sentimentalismo platonico, l’amore non può essere comandato: l’amore o è libero o non è amore.

E invece Gesù, proprio perché conosce bene il cuore e la sensibilità dell’uomo (cf. Gv 2,35), paradossalmente ha il coraggio profetico, in sintonia con tutta la fede biblica, di consegnarci l’amore reciproco sotto la forma esplicita del comandamento. Perché?

Perché qui l’amore di cui si parla è l’amore di Dio – l’agape – che ha le qualità divine della fedeltà, della gratuità, dell’unilateralità, del dono totale di sé, è un amore che non pone condizioni preventive (salmo responsoriale: Sal 145). Un amore di tal genere – e se siamo onesti lo dobbiamo ammettere – non nasce spontaneo in noi, non fiorisce automaticamente dai nostri sentimenti; e per noi cristiani l’amore vicendevole non è un optional, ma la carta di identità del cristiano in quanto discepolo di Cristo («Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri»). Se non viviamo “l’amore gli uni gli altri” non saremo mai discepoli di Cristo. Ecco perché l’amore vicendevole ha bisogno di essere comandato.

E va aggiunto che colui che ce lo comanda non è un tiranno o un despota, ma è Colui che ci ha amati per primo, Colui che per primo ha donato la vita per i suoi amici, Colui che per primo ci ha amati fino alla fine, fino al compimento del dono di sé: è Cristo Gesù e in Lui e attraverso di Lui Dio Padre (Gv 13,1; 15,13; 1Gv 4,19). Infatti dice Gesù: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Quel “come” dice che Lui è la sorgente e il modello dell’amore vicendevole: è Lui che ci dona l’amore ed è Lui che ci insegna, con la sua vita, come amarci gli uni gli altri. Così accade che vivendo il comandamento dell’amore vicendevole incontriamo la Sua Presenza Amante; come a dire che il comandamento diventa una specie di “sacramento” della presenza del Signore che nel momento in cui io cerco di viverlo trovo Lui che mi insegna come amarci gli uni gli altri.

 

3. Infine Gesù ci consegna il comandamento come un comandamento nuovo. È nuovo, non perché è la prima volta che ce ne parla la fede biblica, ma perché Gesù ce lo chiede nuovamente come impegno inderogabile. È nuovo perché Gesù l’ha vissuto in pienezza. È nuovo perché anticipa qui in terra “i cieli nuovi e la terra nuova”, la “Gerusalemme Nuova” che scende da Dio (seconda lettura: Ap 21,1-5).

Sì, una comunità cristiana che senza ipocrisie si impegna a vivere l’amore reciproco “fa scendere in terra” la Gerusalemme Nuova, ovvero fa sperimentare all’umanità la bellezza della fraternità («Ecco, come è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme»: Sal 133,1), diventa segno profetico dei tempi nuovi, diventa segno di benedizione per tutta l’umanità «perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre» (Sal 133,3).

Per questo si evidenzia la reciprocità («gli uni gli altri») di questo amore. Essa coinvolge tutto l’arco delle nostre relazioni: quotidiane, famigliari, sociali ed ecclesiali... Quando una comunità riesce a vivere l’amore reciproco, vuol dire che ha intrapreso un cammino di vera umanizzazione e di vera crescita nella fede. E vuol dire anche che è l’amore reciproco, fondato nel Signore, a rendere credibili gli annunciatori della Parola di Dio e a rendere disinteressata e gratuita l’evangelizzazione («erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto»: prima lettura: At 14,21-27).

Certo, Gesù non ci dice caso per caso come dobbiamo vivere l’amore reciproco. Ci offre solo il comandamento come istanza inderogabile. Poi tocca a ciascuno di noi, alla nostra maturità umana e di fede, discernere volta per volta le situazioni in cui l’istanza dell’amore reciproco va vissuto con fedeltà e e verità. Anche qui traspare l’efficacia profonda del comandamento: fare appello alla nostra responsabilità. Sì, il comandamento dell’amore reciproco non è per persone infantili e irresponsabili, ma per persone adulte, mature e responsabili, in umanità e nella fede.

 

Invochiamo allora la grazia del Signore, affinché le nostre persone e le nostre comunità ecclesiali crescano sempre di più nell’amore reciproco e diventino sempre di più segno profetico credibile in un mondo dove spesso domina – a volte mascherato ipocritamente anche da “pia religiosità” – il virus corrosivo dell’egoismo, dell’autoreferenzialità e dell’eccentricità.

Egidio Palumbo
Barcellona PG (ME)