"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

29 APRILE 2012    -   IV DOMENICA DI PASQUA   - Anno B -

                                                                                                 

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 


Prima lettura: At 4,8-12      Salmo: 117      Seconda lettura: 1Gv 3,1-2



VANGELO secondo Giovanni 10,11-18


In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».








La Bellezza di Cristo Pastore


1. L’itinerario mistagogico di questa domenica di pasqua si sofferma sulla Bellezza/Bontà di Cristo contemplato come Pastore della sua Chiesa e di ogni cristiano (Gv 10,11-18). A Cristo viene attribuita la qualità di Pastore che nell’AT era attribuita solo a Dio; perciò egli dice «Io sono il Pastore Bello/Buono» (Gv 10,11.14), dove l’«Io sono» è espressione che evoca la presenza di Dio, che si fa compagno di viaggio di ogni credente, di ogni uomo (Es 3,14); è come se dicesse: «Io sono con te, il tuo Pastore» (cf. Gs 1,5.9.17).

Inoltre, qui Gesù è qualificato come il Pastore Bello/Buono. L’espressione si potrebbe leggere così: «Io sono il Pastore, quello Bello/Buono», nel senso che Gesù è il Pastore unico e autentico, non ce ne sono altri come lui; la sua Bellezza di Pastore è incomparabile. A noi cristiani, con modalità diverse, a seconda dei carismi e ministeri ricevuti (ad esempio: Gv 21,15-19), egli ci rende partecipi della sua bella pastoralità, ma rimaniamo sempre molto inadeguati, non riusciamo a somigliare completamente a Lui, non a caso l’apostolo Pietro sente il bisogno di scrivere quanto segue: «Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce» (1Pt 5,1-4). Di questa inadeguatezza, che spesso oscura la Bellezza di Cristo il Pastore supremo, bisogna esserne tutti consapevoli, al fine di non coltivare qualche pia e maldestra presunzione…

Ma di quale luce risplende e irradia la Bellezza di Cristo Pastore?

 

2. La pagina del vangelo non ci parla di Cristo Pastore Bello dal punto di vista del ruolo e della funzionalità, ma dal punto di vista della condizione esistenziale: come Pastore, così Gesù vive e agisce nella sua Chiesa e accanto ad ognuno di noi. Per questo qui la figura del Pastore viene contrapposta a quella del mercenario (Gv 10,11-12). Il mercenario svolge l’ufficio di pastore come lavoro dipendente, dal quale ne ricava un guadagno, un salario; e di fronte al pericolo abbandona subito il gregge per mettere in salvo se stesso. Perché? Perché è un semplice dipendente, uno stipendiato.

Non così per Gesù Pastore. Egli di fronte al pericolo non abbandona i credenti, ma espone se stesso, dona la sua vita. Perché? Perché conosce i credenti, cioè ha una relazione di comunione interpersonale, di tipo sponsale, con la sua Chiesa e con i credenti. Ecco la Bellezza divina del Pastore.

 

3. E sottolineando la condizione esistenziale di Cristo Pastore, la pagina evangelica sottolinea pure la condizione esistenziale del gregge, dei credenti: «Ascolteranno la mia voce» (Gv 10,16). I credenti sono coloro che ascoltano la voce del Pastore, assimilano la sua Parola e il suo stile di vita. Perché è a motivo dell’ascolto della voce del Pastore che si fa unità nel gregge, nella Chiesa: «un solo gregge, un solo Pastore». Si faccia attenzione che non è scritto «un solo ovile», ma «un solo gregge», perché molti sono gli “ovili”, ovvero i vari contesti geografici e culturali, ma uno solo è il gregge; l’unico gregge è presente nei vari e molteplici “ovili”. Ciò che costituisce ed edifica l’unità della Chiesa è Cristo Pastore, presente come Risorto nella sua Chiesa, perché è Lui la pietra d’angolo, cioè la pietra che mantiene unite le pietre viventi (prima lettura: At 4,8-12; salmo responsoriale: Sal 118) ed è Lui che ci rigenera come figli di Dio (seconda lettura: 1Gv 3.1-2).

 

Lasciamoci allora guidare da Cristo Pastore, affinché anche nella nostra vita, a volte soggetta a mercificazione e alla logica del mercenario, risplenda un raggio della sua Bellezza, della sua vita donata.


                                                                                        Egidio Palumbo
Barcellona PG (ME)