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"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
III Domenica di Quaresima - Anno C -
Prima lettura: Gs 5,9-12 Salmo: 33 Seconda lettura: 2Cor 5,17-21
VANGELO secondo Luca 15,1-3.11-32 In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». |
III DOMENICA DI QUARESIMA – C
Il perdono gratuito precede la conversione
1. Dopo aver contemplato il Cristo provato e trasfigurato, la liturgia con il vangelo di questa domenica ci pone davanti alla nostra responsabilità di credenti: o intraprendere un cammino serio di conversione o cadere in uno stato di “morte esistenziale”, di sterilità e aridità (Lc 13,1-9). Dopo aver contemplato Cristo, colui che non si è lasciato sedurre dal male e colui che comunica nella sua umanità la Luce irradiante del Padre, non possiamo rimanere gli stessi di prima. Ma dove ascoltare l’appello alla conversione? 2. Nella pagina del vangelo è pressante l’appello alla conversione: per due volte sentiamo: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3.5). Conversione vuol dire cambiare modo di pensare, di vedere, di relazionarsi; ovvero: cambiare stile di vita. Ma dove ascoltare l’appello alla conversione? Di solito pensiamo che il “luogo” primario dove ascoltarlo è dentro noi stessi, nell’intimo della nostra coscienza. Sì, altrove, Gesù invita a “guardarsi dentro”, a “sentire dentro di sé” (cf. Lc 6,41-42; 12,17-20; 15,17-19). Invece qui, molto opportunamente, Gesù invita a non ascoltare noi stessi, a non sentire “dove ci porta il cuore”, perché noi, quasi istintivamente, siamo portati a giudicare non noi stessi ma gli altri, e spesso lo facciamo esprimendo giudizi risolutivi e inappellabili. Gesù qui invita ad ascoltare l’appello alla conversione che giunge a noi dai fatti che accadono nel mondo (Lc 13,1-5). Già poco prima aveva esortato a discernere nello scorrere cronologico del tempo il “tempo del kairòs”, il “tempo favorevole”, dove si rende presente il volto del Giusto, ovvero la presenza del Signore (Lc 12,54-57). E ancora continua su questo argomento, mostrando che il kairòs («in quello stesso tempo» è scritto all’inizio di Lc 13,1) è presente anche nei fatti drammatici: come quello politico-militare di Pilato che fa uccidere alcuni guerriglieri oppositori dell’occupante romano mentre sacrificavano nel tempio; oppure come quello di carattere più sociale della torre di Siloe che crolla su diciotto persone. Ebbene, di fronte a questi fatti spesso il nostro giudizio è orientato ad evidenziare il peccato e quindi la mancata conversione altrui: “quelli sono guerriglieri, sono terroristi, prima o poi doveva loro accadere”; oppure: “evidentemente quella torre l’hanno costruita male” (sia se i diciotto sono operai o dei passanti). Questi spesso sono i nostri pensieri, questo il nostro discernimento. Invece Gesù invita ad ascoltare la voce di Dio che interpella la nostra conversione proprio dentro questi fatti, altrimenti c’è il dissolvimento della vita, la morte, non fisica, ma esistenziale. Ecco perché la conversione è necessaria: perché “Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” – così in questo tempo di Quaresima la voce della preghiera della Chiesa riecheggia Ez 18,32 (antifona Ora Media). 3. Certo, anche l’esperienza del roveto ardente di Mosè (prima lettura: Es 3,1-8.13-15) – un normale fatto di vita quotidiana – è un’esperienza di conversione. Mosè, che voleva liberare il suo popolo dal Faraone seguendo le logiche del Faraone, dopo molti anni ora comprende, mentre pascolava il gregge dinnanzi al “roveto ardente”, simbolo della presenza amante di Dio per il suo popolo, che egli deve convertirsi ai criteri di Dio: è Dio il Liberatore Amante del suo popolo e Mosè è il suo collaboratore inviato da Lui. E poi vi è un altro “luogo” dove ascoltare l’appello alla conversione: è la S. Scrittura (seconda lettura: 1Cor 10,1-6.10-12), dove gli eventi sono narrati per la nostra conversione («come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono»), perché noi impariamo a stare in piedi e a non cadere a motivo delle nostre presunzioni e dei nostri “crolli” e fallimenti. 4. Ritornando alla pagina evangelica, è interessante notare la parabola che subito dopo narra Gesù (Lc 13,6-9). Essa è finalizzata ad approfondire ancora di più la necessità della conversione: una vita che non cambia modo di essere e di agire in conformità alla Parola di Dio è una vita sterile, arida – come un albero di fichi senza frutti. Questa è la morte esistenziale cui faceva riferimento Gesù in Lc 13,3.5. Ma la parabola continua mostrando ancora più chiaramente
che cosa significa che “Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si
converta e viva”. Che cosa ci spinge alla conversione e che cosa ci fa vivere?
Il perdono gratuito e incondizionato di Dio («Signore, lascialo
ancora quest’anno»). Se Dio, nella sua grande pazienza e larghezza d’animo, non
ci perdona quest’anno e poi ancora un altro anno, e poi ancora un altro… noi
non ci muoviamo a conversione. Il perdono di Dio precede – ecco perché
gratuito e incondizionato – la nostra conversione, e per questo muove a
conversione e ci dona la vita, ci dà sempre una nuova possibilità di riscatto. Riecheggiano
qui le parole dell’Apostolo Paolo che ci parlano della «scandalosa
simultaneità» (E. Bianchi) tra noi peccatori e Dio: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo
ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati
nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti,
quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte
del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante
la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro
Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione» (Rm
5,8-11). Ecco la “scandalosa simultaneità”:
noi odiamo Dio e Lui ci ama e ci perdona; noi perseveriamo nel nostro peccato,
nei nostri fallimenti, e Lui ci riconcilia con sé mediante il Figlio che sulla
Croce prega: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc
23,34). È il perdono, e solo il perdono,
che ridona la vita, che rimette in piedi, che apre un cammino di speranza. Preghiamo, allora, con il salmista (salmo responsoriale: Sal 103), invocando e chiedendo il perdono di Dio per noi e per gli altri: il perdono che ci “salva dalla fossa”, dalla sterilità, dalla morte esistenziale. E nello stesso tempo chiediamo a Lui di donarci il coraggio della conversione e la grazia di saper perdonare i nostri fratelli e le nostre sorelle, perché Lui è il Signore «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore».
Egidio Palumbo |