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Frequentare i luoghi di Dio…

Omelia III Domenica del Tempo Ordinario

di Antonio Savone

Is 8,23-9,3;
1Cor 1,10-13.17;
Mt 4,12-23
Frequentare i luoghi di Dio…

Nazaret e Cafarnao: ecco la geografia di Dio, i luoghi di Dio.
Nazaret e Cafarnao non sono soltanto due luoghi geografici, sono anzitutto due modi di concepire la vita, due stili di comunità cristiana.
A Nazaret Gesù vi resta per un tempo molto lungo. È il tempo in cui Gesù semina il profumo di Dio ma è anche il tempo in cui assimila gli umori dell’uomo: assimila cioè come vive, come muore, come gioisce, come soffre, come si dispera per il pane, come si entusiasma per i figli, come piange di risentimento per le ferite di coloro che gli sono cari e come si scopre improvvisamente capace di compassione e di cura per l’estraneo che non ha mai conosciuto.
Il tempo di Nazaret non va cancellato perché finiremmo per parlare un gergo religioso pure altissimo ma incapace di parlare al cuore dell’uomo. Nazaret dice la contemporaneità di Dio alle avventure e alle fatiche del vivere dell’umanità. Nazaret, tuttavia, rappresenta pure un rischio: Nazaret vorrebbe inglobare il profeta Gesù nelle sue aspettative, nei suoi schemi. Nazaret è la tentazione dell’esclusiva, luogo del compiacimento, dove l’identità è affermata e riconosciuta, una realtà chiusa, talvolta sulla difensiva. Nazaret è il tempo della nostalgia, luogo incapace di riconoscere il nuovo di Dio tanto è vero che non tarderà a scacciare Gesù quando questi avrà la pretesa di scardinare equilibri consolidati.
Cafarnao, dove Gesù discende, dice, invece, la disponibilità a misurarsi con una realtà altra rispetto a quella di un tempo, il riconoscere che qualcosa è mutato e perciò la preoccupazione non può essere quella di ri-editare un passato che non è più ma quella di lasciarsi interpellare dal nuovo che incalza. Discendere a Cafarnao significa accogliere la sfida della complessità, misurarsi con l’alternativa, accettare il confronto. Stare là dove la gente vive, non dove vorremmo che viva.
Non sfugge a nessuno, credo, come non sia facile e per nulla scontato vivere a Cafarnao. Molto più rassicurante ricreare una Nazaret permanente. Di fronte alla complessità, infatti, il rischio è quello di essere disorientati. Con una duplice conseguenza:
- o la rigidità che spesso sfocia in fondamentalismo
- o la non consapevolezza di quello che siamo (perdita dell’identità).
Si può scegliere di abitare a Cafarnao solo nella misura in cui si è più che consapevoli che solo il mondo reale è il luogo della fede.
Non c'è chi non comprenda quali provocazioni portino con sé questi due luoghi:
una Chiesa compiaciuta quando è riconosciuta perché corrisponde alle attese comuni o una Chiesa capace di sintonizzarsi sullo stile di Dio?
Una Chiesa per cristiani o, piuttosto, una Chiesa di cristiani a servizio di ogni uomo?
Scendere a Cafarnao significa poi apprendere la pedagogia dei confini, imparare a stare sulla soglia, che dice la disponibilità a non sentirsi mai arrivati ma sempre disponibili a nuovi passaggi. Imparare a stare sul confine non è l’ultimo ritrovato di una moderna strategia pastorale ma un’arte da apprendere come stile permanente perché la condizione permanente dell’uomo è quella di un essere “confinato”: c’è sempre qualcosa di noi o qualcuno di noi che è di nuovo messo ai margini. Ecco perché apprendere la pedagogia dei confini è operazione mai conclusa: la tentazione, infatti, potrebbe essere quella di creare un nuovo centro. La sfida, invece, è quella di riconoscere i nuovi confini e i nuovi confinati.
Scendere a Cafarnao è frutto di una scelta: Gesù, infatti, sceglie di abitare a Cafarnao e di annunciare che anche là Dio si rende presente: “l’amore di Dio si è avvicinato a voi”. Dio è fedele, non scappa. A gente sperduta e ottenebrata dal male, Gesù annuncia: “Dio non si è mai allontanato da voi, è sempre stato vicino. Per questo è possibile cambiare modo di pensare”.
Per questo scendere a Cafarnao è segno di una conversione: quella di Dio, anzitutto. Anche Dio si converte in prima persona e prima di ogni altro, scegliendo di stare là dove è l’uomo. Foss’anche nel peccato, nelle tenebre, lì Dio sceglie di abitare.
Cosa sceglie la nostra comunità cristiana? Cosa annuncia? Chi annuncia?
Gesù volutamente lascia Nazaret per collocarsi su una linea di confine, luogo in cui ci si concedeva non poche licenze in fatto di ortodossia ma anche luogo di incontro con la diversità rappresentata da altri popoli. Tanto deve aver segnato Gesù una simile scelta che, dopo la risurrezione, è ancora lì che egli fisserà l’appuntamento con i suoi.
Noi purtroppo dobbiamo ancora una volta constatare con un po’ di amarezza che “il volto di tenerezza e di simpatia che guarda al mondo con la passione dell’attenzione e dell’amore ha lasciato il posto, in questi lunghi e tristi anni, alla maschera del cipiglio che ordina e redarguisce.
Il pastorale è diventato bastone, al grembiule del servo è stato sostituito il paludamento del principe e la testimonianza, unica, legittima forma di presenza della chiesa nella società, ha ceduto il passo all’ordinanza” (don Aldo Antonelli).
Coraggio, fratelli e sorelle, adoperiamoci per un volto nuovo di chiesa. Non temiamo di frequentare i luoghi di Dio.
Se a lui non fa problema, perché mai dovrebbe farlo a noi?





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