QUELLI DELLA VIA
  Il portale di chi è alla ricerca di Verità 

 



L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è agitarci

Omelia XXXIII Domenica del T.O. anno C

di Antonio Savone


L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è agitarci.
A dircelo non è chissà quale neurologo di fiducia ma lo stesso Gesù il quale, a chi esaltava compiaciuto la bellezza e la ricchezza del tempio di Gerusalemme, dichiara che di tutto quello che stavano ammirando non sarebbe rimasto pietra su pietra. E non c’è da agitarsi di fronte all’annuncio della distruzione di una struttura religiosa che per Israele rappresentava ciò che costituiva l’identità del suo essere il popolo che Dio aveva scelto? Non c’è da agitarsi di fronte ad eventi (terremoti, carestie, guerre) che segnano inesorabilmente il corso della storia? Non c’è da agitarsi di fronte a relazioni (persino quelle familiari) che invece di essere aperte al riconoscimento e all’accoglienza diventano grembo di sfiducia e di tradimento?
No, sembra dire Gesù, non c’è da agitarsi.
È venuto il tempo, infatti, in cui Dio non abita più in un tempio fatto da mani d’uomo ma nel cuore e nella storia di ognuno di noi. Possono cadere tutte le strutture pure preposte ad essere segno di Dio in un certo tempo e in un certo luogo ma l’amicizia e il legame di Dio con l’umanità non viene meno. Il crollo di un tempio, di un mondo o di determinate relazioni segna, infatti, l’inizio di un mondo nuovo all’interno del quale per i cultori del nome di Dio sorgerà il sole di giustizia (Ml 3,20). Dunque: non state sulla difensiva, ci ammonisce il Signore Gesù.  Si sa: lo stare sulla difensiva è l’atteggiamento che ci assale tutte le volte in cui sentiamo che qualcosa di noi non è al sicuro. Ma la domanda è d’obbligo: che cosa di noi non è al sicuro? E come mai non lo è? Solo per dei probabili attacchi esterni?
Non c’è da agitarsi, ripete Gesù. Neppure un capello del vostro capo perirà: bella l’immagine di un Dio che custodisce persino i nostri capelli.
Segno della presenza di Dio e del legame inscindibile di Dio con la storia dell’umanità non più un tempio ma uomini e donne che hanno a cuore la giustizia, che hanno a cuore non solo la cerchia ristretta dei propri cari ma l’altro, chiunque esso sia, il mondo, la storia, la terra. E siamo così sollecitati a seguire il Signore fuori da tutti quegli ambiti rassicurativi – anche sacri – che via via ci siamo creati per riconoscerne la presenza là dove lui ha scelto di abitare e non dove noi abbiamo stabilito che egli senz’altro vi dimori.
Cultori del nome di Dio si diventa non quando il rapporto con lui è ostentato attraverso le espressioni di una religione e di un culto ma quando si ha a cuore il nome e la sorte di ogni uomo sulla terra, nuovo tabernacolo di Dio, anche a costo di subire persecuzioni, come di lì a poco accadrà a Gesù stesso per aver rivendicato che Dio è onorato nel prendersi a cuore la sorte dell’uomo.
Ma così è la fine, obietta l’uomo religioso che abita in noi. Se non resta neppure un luogo fisico, una struttura religiosa che ne sarà di noi cristiani? Non vi terrorizzate, non traballate preda del panico e dell’agitazione.
Arriveranno guerre, ci saranno carestie… Avvenimenti che non hanno una data puntuale perché ricorrenti in ogni epoca storica. Attenti, ci ammonisce Gesù, a lasciarvi sballottare da quella retorica da fine del mondo, perché mentre cresce l’agitazione e l’angoscia, aumenta anche la rassegnazione e il disinteresse. Il rischio, infatti, è che col pretesto della fine, si viva una vita disimpegnata, vuota, senza storia. Ed è proprio l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.
Non vi sembra che anche nella comunità cristiana si sia introdotto questo terribile vezzo di stare di fronte al mondo raccontandone la dissoluzione? L’Occidente, si dice, ormai è sull’orlo del declino; questa nostra vecchia Europa conosce ogni giorno di più i segni di un disfacimento che ha radici remote. Sembra di essere talmente sul baratro che due sono gli atteggiamenti che ne conseguono: o quello dell’agitarsi, appunto, o quello del deresponsabilizzarsi (della serie, se siamo all’inizio della fine non val neppure la pena incominciare).
Davanti a noi, ribadisce Gesù, non l’inizio della fine ma una nuova nascita che passa anche attraverso la fine di certe strutture e di certe realtà attraverso le quali pure Dio si è reso presente al suo popolo. Questo è tempo della fede operosa. È tempo per prendere distanza da una religione che paga delle sue liturgie non riesce più a vibrare per i drammi e le domande vere del proprio popolo.
È necessario che ciascuno di noi sia trovato intento alle opere della vita e dell’evangelo, capaci cioè di cura per tutto ciò che la vita ha affidato a noi, dalla famiglia alla comunità, dall’amicizia al lavoro, alla terra. Bando dunque tanto all’agitazione e all’angoscia come alla paralisi e alla dispersione. Di fronte agli eventi, quali che siano, lieti o infausti, il credente prova a scrutare, a partire dalla parola evangelica e dalla testimonianza di tanti altri discepoli, il modo in cui il Signore si rende presente a questo nostro mondo in questo nostro tempo. Non converte nessuno assumere come ruolo quello di fare da cronisti del mondo contemporaneo come spettacolo della fine del mondo. Rivestire questo compito testimonia la paura non la fede. Chiamati, invece, a scrutare le albe incipienti, i germogli di una nuova possibilità ancora offerta da quel Dio che insonnemente veglia su questa nostra umanità e che, nonostante noi, spera ancora in qualcosa di buono anche da noi. A ricordarcelo, domenica prossima, il compagno dell’ultima ora, il buon ladrone.




 Sei interessato a ricevere la nostra newsletter  ma non sei iscritto ?

 
Iscriversi è facile e gratuito.  

               ISCRIZIONE ALLA NEWSLETTER

 riceverai la newsletter di "TEMPO  PERSO", ogni settimana, direttamente nella casella di posta elettronica.