Salvami...
Omelia XXXIV Domenica del T.O. anno C
Gesù Cristo Re dell'Universo
di Antonio Savone
Ormai è evidente. Quella fine sulla croce è lì a dire che quell’uomo di Nazaret era soltanto un’impostore. Come può salvare altri chi non è in grado neppure di salvare la sua vita? È lì perché vittima della sua totale impotenza, abbandonato da tutti, persino da Dio. Che Messia è uno che muore impotente su una croce? Come dar torto al malfattore che gli propone un’ultima occasione: manifesti le sue prerogative salvando se stesso e loro due. Salvezza, infatti, nel nostro immaginario comune non è forse preservare la vita fisica?
È proprio qui, su questo terreno, che veniamo messi a confronto con quanto il Signore Gesù è andato dispiegando a noi di domenica in domenica a mano a mano che ci facevamo suoi compagni di viaggio. Lo aveva ripetuto più volte lungo il cammino: la vita è salva non quando finalmente la si riesce a preservare ma quando la si spende per gli altri. Gli viene gridato dai presenti: Salva te stesso! Gesù salverà se stesso non tenendosi a parte ma perdendosi per gli altri.
La forza di questo re che regna dalla croce sta nell’amore che non cerca il proprio interesse e per questo non si impone ma fa dono di sé. Un re che non cerca sudditi ma amici, uomini e donne che gli siano simili nell’impegno di comunicare la vita.
Fatica a comprendere questo quello spaccato di umanità che si aggira attorno alla croce e che vorrebbe un Dio da circo equestre, sempre pronto a stupire il pubblico con effetti speciali. L’idea di re è da sempre unita all’esercizio di un potere. Ma Gesù non cederà mai alla logica dell’evidenza che impedisce la libertà di credere e perciò impedisce una fede gratuita. A nulla è servito, infatti, quando Dio è intervenuto con mano potente: non per questo, infatti, Israele si era convertito. Quanti vitelli d’oro sono stati ancora costruiti dopo il passaggio del Mar Rosso, dopo l’esperienza della manna, dopo i segni grandiosi che la mano di Jahvè aveva dispiegato. Gesù chiede di essere riconosciuto come Signore attraverso un’adesione libera, nell’amore, senza costrizione alcuna o per imposizione.
Di fronte allo spettacolo che si svolge sul Calvario – strana meta per un plausibile cammino di sequela – forse ci riconosciamo nel popolo che sta a vedere, un popolo che non parla e non decide: soltanto guarda Gesù come un oggetto curioso. Quante volte stiamo nella vita secondo un atteggiamento opportunista, quello di chi è pronto a montare sul carro del vincitore di turno.
Forse potremmo riconoscerci tra i capi, coloro cioè che conoscono la teologia e che fanno fatica a riconoscere in un uomo vilipeso il Messia che essi attendevano.
Forse potremmo ancora riconoscerci tra i soldati, che non conoscono la teologia e comprendono solo i rapporti di autorità e gerarchia e perciò vedono nelle affermazioni di quell’uomo sono parole vuote, pretese di un illuso se non addirittura di un pazzo.
Forse ci riconosciamo di più nel primo malfattore le cui parole lasciano trasparire un’idea spesso condivisa: essere giusti non serve a nulla se è vero che anche il profeta di Nazaret, uomo potente in parole ed opere, è ridotto nella sua medesima condizione. Disperata è la condizione umana per tutti, peccatori o giusti poco importa. A che serve operare il bene se si è ripagati con la stessa moneta?
Se fossimo chiamati a scegliere tra Ebron e il Calvario forse sceglieremmo il primo perché fare atto di sottomissione come i capi delle tribù di Israele dinanzi a Davide che esce vittorioso dopo una lunga serie di battaglie, risulta certamente più vantaggioso che aderire ad un re sconfitto e senza seguito alcuno.
L’unico in grado di riconoscere l’identità di questo re è un disgraziato il quale ha saputo rivolgergli le parole giuste. Non ha detto, infatti, come tutti: salva te stesso, ma: salvami, ricordati di me.
Il compagno dell’ultima ora è il primo credente, quello che entra nel regno prima di Pietro, prima di Maria, prima di tutti gli altri. Perché mai? Quell’uomo è capace di affidarsi, è consapevole della distanza che c’è tra lui e la giustizia come di quella che c’è tra lui e il Vangelo. Non presume di sé o delle sue buone azioni: sa di essere un malfattore. Quell’uomo si espone, così com’è.
Mentre la logica della storia avanza per esclusioni e per separazioni, il regno di Dio è esperienza che non esclude nessuno. La pagina odierna è lì a ricordarci Cristo non esclude ma accoglie: sarai con me. Quelle braccia distese e inchiodate sono lì a memoria perenne di una accoglienza che non è per un tempo o per una categoria di persone. È per chiunque ha la forza di esporsi, così com’è, e ripetere: salvami, ricordati di me.