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N.
B. La Lectio viene sospesa nel periodo estivo
NOTA
Articoli,
riflessioni e commenti proposti vogliono
solo essere
un contributo
alla riflessione e al dialogo su temi di attualità.
Le posizioni espresse non sempre
rappresentano l’opinione di "TEMPO PERSO" sul tema in questione.
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Alla
parola schiavi si connette immediatamente l’immagine del nero o della
nera. Così facendo compiamo un insulto alla persona di colore che
identifichiamo solo per il colore della pelle, quando identificare non
significhi poi classificare o de-classificare. Schiavo oggi, nella
nostra nazione che vuole essere civile e colta e, magari, in ripresa,
sta assumendo un significato diverso, cui aderisce vivo il disgusto ma
che rimbalza con violenza su di noi e sulle nostre mense: gli schiavi
dei pomodori.
Non può lasciare indifferente una simile discriminazione sociale.
L’Italia
è ricca di colture di pomodori, frutti che si associano subito a piatti
prelibati e gustosi. Non voglio guastare il pranzo a nessuno, neppure a
me stessa quando arriva una buona pizza o un piatto fumante di
maccheroni al sugo di pomodoro, ma sono state mani e gambe di schiavi
che mi hanno servito...
"Quindicimila schiavi (fra l'indifferenza) nel regno dei pomodori" di Cristana Dobner
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Sveglia!
Articolo di Flavio Lotti
Appello
urgente per la pace nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Non c’è più
tempo per l’indifferenza e l’ipocrisia. Agire è difficile. Non farlo
sarà catastrofico.
Sveglia! Quello
che sta succedendo ad un passo dai nostri confini (in Siria, Egitto ma
non solo) è estremamente pericoloso. E richiede la nostra
attenzione urgente perché riguarda molto da vicino la vita nostra e dei
nostri figli.
Chi
più di noi può capire che qui nel Mediterraneo si sta forgiando il
nostro futuro? Chi più di noi deve temere le conseguenze drammatiche
delle stragi quotidiane di vite umane, delle atrocità e dei crimini che
si stanno consumando lungo le sponde di questo mare?
Eppure
la politica tace. E quando parla, nessuno se ne accorge. L’informazione
è distorta, superficiale, frammentata. E anche la coscienza civile
sembra disinteressata e disimpegnata...
Non c’è più tempo per l’indifferenza e l’ipocrisia. Agire è difficile. Non farlo sarà catastrofico.
Savino
Pezzotta, Don Luigi Ciotti, Flavio Lotti, Antonio Papisca, Marco
Mascia, Marco Vinicio Guasticchi, Beppe Giulietti, Ottavia Piccolo, p.
Efrem Tresoldi, Gabriella Stramaccioni
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Sergio Paronetto, Vicepresidente di Pax Christi Italia scrive ad Avvenire ed il direttore Marco Tarquinio risponde
Caro direttore
le
notizie di terribili violenze provenienti dalla Siria, controverse
nella loro dinamica e nella attribuzione, segnalano ancora una volta la
drammatica urgenza di una soluzione politica. Le morti si sommano alle
morti in una spirale devastante. L’amore per la vita e il desiderio di
convivenza fondata sulla riconciliazione ( Mussalaha) spingono a
insistere sulla forza politica della nonviolenza...
Sergio Paronetto - Vicepresidente di Pax Christi Italia
Condivido
l’orrore e la speranza che lei esprime, caro amico. Interamente.
Conosco esperienze straordinarie di negoziati di pace e di
riconciliazione condotti fuori dalle sedi consuete e coronati dal
successo. Ma non conosco un “cessate il fuoco”, uno solo, che negli
ultimi decenni su un fronte ferocemente in movimento si sia realizzato
senza l’ausilio di una forza d’interposizione (tra i belligeranti) e di
controllo (su di essi) promossa dalle Nazioni Unite e accettata (per
amore o per forza) da tutte le parti in causa...
Marco Tarquinio - Direttore di Avvenire
«Siria, la soluzione è non violenta» L’Onu deve averne la forza
Per approfondire la questione siriana:
- Siria. Bombardamenti col gas nervino? «Abito a 500 metri» dal luogo degli attacchi e «non ho sentito niente»
- Perché in Siria ci vuole cautela
- Ora pro Siria
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Appello di Papa Francesco al termine dell'Angelus del 25/8/2013:
Con
grande sofferenza e preoccupazione continuo a seguire la situazione in
Siria. L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il
moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere
anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una
volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi.
Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i
problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo...
video
«In
Siria un conflitto c’è già, si tratta di vedere come spegnere il fuoco
non come alimentarlo. Di fronte a una guerra non si può rispondere con
un’altra guerra. Vuol dire che di una tragedia ne facciamo due».
Don
Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, si dice «triste ed
amareggiato» per la piega che stanno prendendo gli eventi in
Siria.
L’America dice che non si può più restare inermi di fronte ai crimini commessi dal regime di Assad.
«La guerra, ogni guerra è un’avventura senza ritorno. Anzi, come ha detto papa Francesco, è il suicidio dell’umanità.Basta
vedere a quello che è successo in Afghanistan, in Iraq, in Libia: il
rovesciamento del capo del regime non ha portato affatto la pace. È una
storia che si ripete sempre, con amarezza: noi abbiamo sempre cullato i
dittatori, li abbiamo ritenuti nostri amici, li abbiamo armati e poi
abbiamo detto che bisognava fargli la guerra. È successo con Saddam e
poi con Gheddafi. La comunità internazionale ha fatto di tutto con la
sua indifferenza a far precipitare della situazione, l’Italia stessa ha
venduto le armi alla Libia e poi si è detto che bisognava bombardare.
Questa non è pace. La guerra non è mai la strada da percorrere,
come afferma la Dottrina sociale della Chiesa e come ha ribadito
qualche giorno fa mons. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede
presso l’Ufficio Onu di Ginevra.
Una
chiave di questo precipitare degli eventi potrebbe essere quella delle
pressioni esercitate da parte delle lobby delle armi. Qualcuno parla
già di accordi economici e militari tra Usa e Arabia Saudita»...
DON SACCO (PAX CHRISTI): «LE VITTIME DI ASSAD SONO UN PRETESTO»
È
unanime la posizione delle comunità cristiane del Medio Oriente contro
i raid che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia con il sostegno della
Turchia e della Lega Araba si appresterebbero a lanciare sulla Siria in
risposta all'uso di armi chimiche da parte dell'esercito del presidente
Assad. Nelle chiese lo si considera senza esitazioni un passo destinato
a creare ulteriori problemi anziché soluzioni per la guerra che da due
anni e mezzo ormai sfigura la Siria...
Medio Oriente, cristiani unanimi: «No ai raid sulla Siria»
Nel
giorno in cui il mondo sta con il fiato sospeso in attesa di capire se
e quando gli Stati Uniti decideranno di intervenire militarmente contro
la Siria, le Chiese cristiane levano la loro voce perché intervengano
le Nazioni Unite, si avvii un’azione investigativa sul posto e
soprattutto si attivino tutti i mezzi politici e negoziali possibili
per trovare una soluzione pacifica che metta finalmente la parola fine
alla guerra siriana e al calvario di un popolo. Papa Francesco dunque
non è solo: dopo il suo accorato appello per la pace in Siria lanciato
domenica scorsa all’Angelus, fanno eco in questi giorni gli organismi e
i responsabili delle Chiese cristiane...
Dalle Chiese cristiane un grido di pace per la Siria martoriata
“Fermate
le armi, per carità di Dio! Usa, Gran Bretagna, Francia e loro alleati,
ascoltate le parole di Papa Francesco. Fermate le armi! Non uccidete il
dialogo!”: è l’accorato appello di Gregorios III, il patriarca
greco-cattolico di rito melchita, la cui sede è Damasco, davanti al
conto alla rovescia per l’attacco alla Siria... Le parole del Papa sono
profetiche, sapienti e sagge: chiama a far tacere le armi, e far
parlare il dialogo. Le armi non sono la soluzione ai problemi della
Siria. Mi chiedo: chi ha portato la Siria nel baratro? Chi ha portato
armi e combattenti stranieri da tutto il mondo nei suoi confini. Stiamo
andando all’inferno. La Siria non è un campo aperto, è la nostra
Patria. Non è criminale introdurre armi distruttive nel nostro
territorio? Non è criminale dare sostegno a bande di radicali islamici
che spargono morte e terrore nel popolo siriano? ... Lanciare un
attacco oggi è da criminali. Questi Paesi occidentali non si rendono
conto del pericolo. Cosa pensano di risolvere con le armi? Cosa...
Credo molto nella forza di riconciliazione dei siriani, è nella loro
natura, fa parte della loro storia millenaria. La nostra salvezza è la
riconciliazione, non le armi. Lasciateci riconciliare.
"La via delle armi uccide il dialogo fra tutti noi siriani"
...
Un’azione militare ci sarà, sarà probabilmente limitata e non risolverà
in tempi brevi una situazione ormai irrisolvibile dal punto di vista
militare. Finirà per aggravare le condizioni della popolazione, perché
ridarà fiato alla guerra. È come se gli Stati Uniti dovessero ormai
«fare qualcosa»: gli inglesi premono, i francesi altrettanto, gli
alleati arabi sunniti pure. E il messaggio mediatico che è stato
veicolato è inequivocabile e impegnativo: i crimini non possono restare
impuniti. La cosa più drammatica è però che a questo punto nessuno –
dicono – appare più disposto a fare un passo indietro: non le potenze
occidentali, non la Russia e l’Iran (in convergenza con la Cina) grandi
protettori di Assad, non il regime stesso di Damasco. I generali
americani suggeriscono il lancio di missili: un’azione breve, limitata
e altamente “chirurgica” al punto da non indurre gli altri “attori” a
reagire più del dovuto. Una sorta di “calcolo della polvere” per
confezionare l’ordigno di un’esplosione pilotata, come quando si
abbatte in un colpo solo un vecchio grattacielo. Ma se il calcolo fosse
sbagliato? Paralizzata e scavalcata l’Onu, resa inutile la verità,
ignorato a lungo il grido di chi soffre in Siria, la situazione pare
inesorabilmente destinata a fare un triste salto verso il buio. Eppure
il tempo per un passo indietro c’è ancora. Prima che un ulteriore
avvitamento della crisi possa creare in una regione martoriata da
guerre e ingiustizie una situazione forse mai vista prima. Il cammino
della pace, stavolta più che mai, comincia con un passo indietro. Chi
sarà disposto a farlo per primo?
Siria, calcolate menzogne
Troppe contraddizioni nella versione Usa sull'uso delle armi
chimiche. Non si vuole aspettare nemmeno i risultati dell'inchiesta
Onu. È falso pensare che un attacco militare aiuterà la conferenza di
pace. Invece essa aiuterà gli islamisti, che vogliono dominare
nell'opposizione...
Fermare l'attacco contro Damasco prima che sia troppo tardi
Vedi anche i nostri precedenti post:
- Sveglia! di Flavio Lotti - Appello urgente per la pace nel Mediterraneo e in Medio Oriente.
- Siria:
fare mussalaha (riconciliazione) - Alla lettera di Pax Christi la
risposta di Avvenire e approfondimenti sulla questione siriana
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Da tempo seguiamo con partecipazione la missione di un amico lontano, padre Paolo Dall'Oglio.
Un grande poeta italiano, Lucio Dalla, ci ha insegnato tanti anni fa
che agli amici lontani è importante scrivere; per loro, ma anche per
noi. Come lui, anche noi abbiamo cercato il modo per scrivere con più
forza, una forza capace di superare la lontananza, che è solo fisica.
Questa forza l'abbiamo trovata nel più semplice dei modi possibili,
facendolo insieme.
Caro Paolo,
siamo
fisicamente lontani dalla terra dove si svolge la tua missione, una
missione umanitaria e di pace nella verità e nella testimonianza, per
impedire che la lotta per la dignità umana, la libertà e la democrazia
contro il regime siriano si sgretoli in lotte fratricide, etniche o
irriguardose dell'uomo.
La tua scelta di coraggio e dedizione è un servizio reso anche a noi, del quale ti ringraziamo, partecipi.
...
Padre Dall'Oglio: l'ultimo video prima del probabile rapimento
video
Guarda i nostri precedenti post:
- Ancora si alternano angoscia e speranza per Padre Paolo Dall'Oglio
- La Chiesa del Calvario di Paolo Dall'Oglio
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In Siria, i confratelli di p. Dall'Oglio pregano per la sua liberazione e per la pace
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“La Siria sta pagando un prezzo altissimo per una partita che serve a stabilire nuovi equilibri mondiali e in Italia la verità non viene detta, viene raccontata un’altra realtà”. E’ quanto afferma Mimmo Srour, siriano,ingegnere, ex assessore della Regione Abruzzo e della Provincia dell’Aquila, ex sindaco di Sant’Eusanio Forconese, comune in provincia de L’Aquila...
Clara Salpietro: Vi racconto cosa sta accadendo in Siria...
E’ stata la maggior commessa
italiana di sistemi militari di tutti gli anni ’90. Ed è proseguita
fino al 2009: destinazione Damasco, Siria. Valore oltre400 miliardi di
lire (229 milioni di dollari).
Giorgio Beretta: Siria: rifornita di sistemi militari dall’Italia che oggi invia armi leggere ai confin
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Cinquant’anni
fa, il 28 agosto 1963 a conclusione di una marcia sui diritti civili a
Washington, Martin Luther King tenne il suo famoso discorso «I have a
dream». Ecco la storia di quelle storiche parole.
«I
have a dream»: «Ho un sogno». Era consapevole, il reverendo Martin
Luther King, di incidere le sue parole nel marmo vivo della Storia? Sì,
lo era. Quel 28 agosto del 1963, al termine di una marcia di protesta
per i diritti civili, quando pronunciò il suo discorso davanti al
Lincoln Memorial di Washington era consapevole di aver parlato con
parole che avrebberolasciato il segno: «Sono felice di unirmi a voi in
questa che passerà alla Storia come la più grande dimostrazione per la
libertà nella storia del nostro Paese» disse Luther King.
One Man. One March. One Speech. One Dream.
Dal
28 agosto 1963 l'espressione «I have a dream» e diventata un'icona
universale. In un discorso di 17 minuti (vedi un estratto video qui
sotto), il reverendo Martin Luther King ha condensato la potenza del
suo messaggio, affidandolo ai posteri. Da quel momento la lotta contro
il razzismo e la segregazione razziale non è stata più la stessa. Ha
trovato nuova forza, radici e soprattutto un simbolo. Il discorso
pronunciato davanti a250.000 persone è stato uno dei più studiati (e
copiati) della storia. Linguisti, filosofi, ghostwriter, teologi,
esperti di comunicazione lo hanno sezionato e analizzato da qualsiasi
prospettiva...
I have a dream, la storia del discorso di Martin Luther King
Ecco un'estratto, sottotitolato in italiano, del celebre discorso.
video
...
Il “sogno” di Martin Luther King e di noi tutti è un mondo privo di
ingiustizie, discriminazioni, di indifferenza, di odio e violenza nei
confronti di chi è più debole e cerca accoglienza e aiuto, dove
l'altro, il diverso, l'oppresso, l'emarginato possano riscattarsi da
una condizione di subalternità e ghettizzazione, in nome della
Nonviolenza e della forza degli ideali, sorretta dalla verità.
L'uguaglianza di diritti e il valore della diversità dei caratteri
umani sono presupposti cardine, imprescindibili contro ogni razzismo
imperante, che ancora attualmente si impone nella nostra società,
sempre più orientata a modelli egoistici di prevaricazione sull'altro,
arroccata sulla violenza, anche tramite la schiacciante indifferenza...
Il celebre discorso di Martin Luther King compie 50 anni "I have a dream"
''Non
è il momento per commemorazioni nostalgiche. E non è il momento per
auto celebrarsi. Il lavoro non è ancora finito. Il viaggio non è ancora
stato completato. Possiamo e dobbiamo fare di più'''. Lo afferma Martin
Luther King III, il figlio maggiore di Martin Luther King, intervenendo
dal palco su cui suo padre pronunciò lo storico discorso 'I have a
Dream'. (fonte: Ansa)
Guarda anche i nostri precedenti post:
- 28 agosto 1963 - "I have a dream" di Martin Luther King
- Ricordando Martin Luther King
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Le celebrazioni dell'anniversario della marcia su Washington sono culminate con il discorso di Barack Obama.
... Cinquanta anni dopo l'America ha visto il Sogno, ma non l'ha ancora realizzato del tutto. La marcia continua.
Michele Zurleni: 50 anni dopo, la nuova interpretazione del sogno di King
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(GIA' ANTICIPATO NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
La recente decisione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità
organizzata di mettere in vendita l'azienda Agricola Suvignano, in
provincia di Siena, ha riproposto all'attenzione pubblica la necessità
di salvaguardare il principio del riutilizzo sociale dei beni
confiscati alle mafie.
Questa
vicenda, infatti, ha suscitato la reazione (una eventualità che può
essere ancora scongiurata evitando quella che sarebbe - al di là delle
intenzioni - a tutti gli effetti una sconfitta dello Stato) degli enti
locali e dei rappresentanti del mondo dell'associazionismo, del
sindacato e della cooperazione, confermando la tesi che i beni
confiscati devono essere sempre considerati un'opportunità di coesione
territoriale, di sviluppo di reti relazionali e di lavoro vero per i
giovani.
Grazie
all'uso sociale dei beni confiscati, infatti, pur tra limiti e
difficoltà ancora da superare, sono tante le associazioni e le
cooperative sociali che in questi anni hanno operato per restituire,
concretamente, alla collettività ville, appartamenti e terreni agricoli
sottratti ai patrimoni dei boss.
Valorizzare
queste esperienze, sostenerle nei loro sforzi, significa affermare,
nell'impegno quotidiano, che la legalità conviene. Per queste ragioni
l'uso sociale dei beni immobili confiscati deve restare una priorità
assoluta, risolvendo i problemi che esistono ed evitando pericolose
scorciatoie, come quelle della vendita, che può essere prevista solo in
situazioni eccezionali.
Sono
stati numerosi in questi giorni gli appelli a non procedere alla
vendita della più grande azienda agricola confiscata in Italia e a
riprendere il percorso avviato dal tavolo istituzionale...
BENI CONFISCATI: DIFENDERE UN PATRIMONIO SOCIALE
La più
grande tenuta del Centro Italia confiscata alla mafia 19 anni fa è
stata messa all'asta, ignorando i progetti di riutilizzo sociale
avanzati da enti locali e associazioni. Con il rischio che il bene,
anziché essere restituito ai cittadini, torni alla criminalità
organizzata.
Storia triste di un bene confiscato alla mafia e infine messo all'asta. Dicannove anni fa, la prima confisca.
NON METTETE ALL'ASTA LA TENUTA DEL BOSS
Leggi anche:
- «È UN BENE DELLA COLLETTIVITÀ, NON DEI PRIVATI»
- DON LUIGI CIOTTI SU VENDITA TENUTA DI SUVIGNANO
- CORO DI PROTESTE PER SUVIGNANO: MA IL PROBLEMA NORMATIVO RIMANE
- UN "GOLPE AGOSTANO" LA VENDITA ALL'ASTA DI SUVIGNANO
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DA UNA CHIESA TRIONFANTE
AD UNA CHIESA MENDICANTE
A 50 ANNI DAL CONCILIO VATICANO II
HOREB n. 64 - 1/2013
TRACCE
DI SPIRITUALITA'
A CURA DEI CARMELITANI
"Sono
passati 50 anni dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II ed è
importante fare memoria, cioè far presente quell’evento per riviverlo,
perché può accadere che, passata la generazione di coloro che vi hanno
partecipato o che hanno vissuto da vicino la svolta epocale da esso
avviata per la vita della Chiesa, la sua memoria venga meno e si
dimentichino gli orientamenti e le prospettive da esso offerti.
Il
Vaticano II, infatti, pur essendo in piena continuità con la fede e la
vita della Chiesa è stato certamente un evento che ha risposto con le
sue scelte ad attese importanti presenti nella comunità cristiana e nel
mondo.
Il
Vaticano II, dopo duemila anni nel corso dei quali il cristianesimo si
era sostanzialmente identificato con la cultura europea, apriva la
Chiesa a una piena incarnazione nella vita e nella cultura di tutti i
popoli, restituendole un’autentica cattolicità e rendendola veramente
universale: piena continuità con il passato, con la fede apostolica
trasmessaci attraverso le diverse generazioni, e insieme nuovi decisivi
orientamenti nei confronti degli ebrei, dei cristiani non cattolici,
dei credenti delle altre religioni, ma anche all’interno della comunità
cristiana per quanto concerne la liturgia, la centralità della
Scrittura, la collegialità e la sinodalità come forma e stile di
governo, il riconoscimento del valore e della centralità della persona
umana e della sua coscienza.
Gli
orientamenti e le decisioni del Concilio Vaticano II, sebbene accolti
abbastanza pacificamente all’interno della comunità ecclesiale,
purtroppo non sono stati conosciuti e meditati a sufficienza, in questi
cinquant’anni nelle varie comunità cristiane.
La
riflessione che proponiamo a più voci, nel presente quaderno, vuole
essere l’occasione provvidenziale per riprendere in mano quei documenti
e cercare di recepire, nello “spirito del Concilio”, un’immagine di
Chiesa a noi frati carmelitani più consona: quella “mendicante”, dove è
fondamentale vivere uno stile di vita povero, fraterno, itinerante,
accogliente e di condivisione della vita del popolo. Si tratta di
riattualizzare il sogno di Papa Giovanni di una Chiesa “che si fa
popolo”: «La Chiesa Cattolica – affermava in una omelia del 13
novembre 1960 – non è un museo di archeologia. Essa è l’antica fontana
del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a
quelle del passato»...
(EDITORIALE)
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CONVENTO DEL CARMINE
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Il martirio...
C'è bisogno...
Le vergini stolte...
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Per ricordare Dom Helder Câmara, morto a 90 anni il 27 agosto 1999
Era nato a Fortaleza il 7 febbraio del 1909. Ordinato sacerdote nel
1931, nel 1952 era diventato vescovo ausiliare di Rio de Janeiro. Nel
1964 era stato chiamato a guidare la diocesi di Olinda-Recife.
Ritiratosi nell’aprile del 1985, aveva però continuato a vivere a
Recife. Più volte candidato al premio Nobel per la pace, era stato tra
i fondatori della Conferenza episcopale brasiliana e del Consiglio
episcopale latinoamericano (Celam).
Speranza è credere...
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Era
maestro di retorica alla corte imperiale, era uomo di studi profondi e
di amicizie intense, aveva una donna che amava. Agostino prima della
conversione era, ha detto il Papa in apertura del Capitolo dell’ordine
agostiniano, «un uomo arrivato». Eppure, interiormente insoddisfatto,
cercava; per vie anche sbagliate, da peccatore, continuava a cercare il
volto di Dio. È così attuale la vicenda umana di Agostino, che sembra
storia di oggi. (Tendiamo sempre a pensare che i santi nascano già
santi, dentro a un’aura immateriale e pura. Invece Francesco ha
raccontato di un uomo, che un tempo non era così profondamente diverso
da noi). Che cosa ne suscitò il cambiamento? Dapprima una
insoddisfazione, una tenace inquietudine; come se tutto ciò che
quell’uomo aveva non gli potesse bastare. Poi, anche quando trova Dio,
Agostino non si chiude in se stesso come fosse arrivato; invece è
spinto dall’urgenza di annunciare agli altri il Dio che ha incontrato.
«Sempre in cammino, sempre inquieto», ha detto Francesco: questa, ha
aggiunto, «è la pace dell’inquietudine».
La
pace dell’inquietudine. In questo mese in molti abbiamo riposato,
credendo di poter finalmente trovare in giornate tranquille la pace che
ci sfugge, crediamo, per troppi impegni. Ma qualcuno di noi ha
sperimentato, proprio nel sospirato momento in cui si può stare
tranquilli, l’insorgere di una sottile inquietudine. Come se qualcosa,
anche nella bellezza del mare o delle montagne, mancasse; come se la
pace non si presentasse in quel riposo, e anzi la sua mancanza, nella
quiete e nel silenzio, si facesse più vistosa. Insomma, abbiamo
sperimentato l’inquietudine nella pace; e oggi invece il Papa ci dice
di una pace dell’inquietudine. Sembra, questa pace agostiniana di cui
parla Francesco – in un forte eco di Benedetto XVI, da sempre
innamorato di Agostino – qualcosa di totalmente diverso dalla pace come
la intendiamo noi, quando andiamo in vacanza e ci ripromettiamo:
adesso, non ci sono per nessuno. La nostra pace immaginaria è un
chiudersi; è un atollo di cui difendiamo gelosamente i confini.
La
pace di cui ha parlato il Papa invece è un essere in cammino: giacché
non può smettere di andare, chi cerca il volto di Dio. Né può ignorare
i compagni di strada che gli si affiancano; perché anzi avverte l’ansia
di dire, a quegli sconosciuti, del Dio che ha incontrato. Ci ha
chiesto, il Papa, se siamo fra gli inquieti, o fra quelli che «si sono
accomodati» nella vita cristiana: paghi di ciò che hanno. Una domanda
su cui varrebbe la pena ci soffermassimo, se siamo tra quanti hanno
sperimentato, nella pace dell’estate, una confusa inquietudine. Come se
qualcosa, anche quando all’apparenza non manca niente, cocciutamente
mancasse. Come se fossimo fatti per qualcosa di più grande di ciò che
stringiamo fra le mani...
Cuori inquieti di Marina Corradi
Omelia
durante la Santa Messa in occasione dell'apertura del Capitolo Generale
dell'Ordine Agostiniano, presieduta da Papa Francesco nella Chiesa di
Sant'Agostino
video
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RUBRICA Un cuore che ascolta - lev shomea' "Concedi
al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo
popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica di Santino Coppolino
Vangelo: Lc 13,22-30
"Lottate per entrare dalla porta stretta".
Lottate
-agonizeste- scrive Luca, perchè entrare nel Regno è una lotta contro
la mentalità del mondo, lotta principalmente contro se stessi, contro
il proprio io, gonfiato a dismisura dalla ricerca e dall'accumulo dei
beni e delle ricchezze. Passare per la porta stretta significa lasciare
dietro ogni cosa, idea, progetto che non ci permette di camminare
spediti verso la meta che è la costruzione del Regno di Dio, così come
il popolo ebraico nel deserto per poter sopravvivere doveva viaggiare
leggero, con poche masserizie:solo l'essenziale.
E la Porta stretta è Gesù.
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21ª Domenica del Tempo Ordinario anno C 25 agosto 2013
omelia di don Angelo Casati
Is 66, 18-21
Sal 116
Eb 12, 5-7.11-13
Lc 13, 22-30
E, ancora una volta, Gesù non entra nelle nostre domande sbagliate: è una porta troppo stretta. Gesù non entra.
Un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?".
A
Gesù questi discorsi fatti sulla pelle degli altri, sulla salvezza
degli altri, non interessano. Non gli interessa questo dibattere sugli
altri. Sugli altri, perché la nostra salvezza è data per scontata.
Infatti la risposta di Gesù è: "Sforzatevi voi, lottate voi, fate gara ad entrare per la porta stretta".
E
qui nasce un enigma, un enigma da interpretare: la porta stretta. Che
cos'è la porta stretta? In che senso è stretta? Provoca un
restringimento la porta della salvezza?...
omelia di don Angelo nella 21ª Domenica del Tempo Ordinario
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Il volume "Credo la vita eterna"
(a cura di G. Vigini, San Paolo, Milano, pagg. 188), da cui è tratto
questo stralcio pubblicato dal quotidiano «Il Sole 24Ore», contiene le
riflessioni che il cardinale Carlo Maria Martini (scomparso il 31
agosto dello scorso anno) fece attorno al tema della paura della morte
e del suo superamento.
Dal risorto verrà l'aiuto
di Carlo Maria Martini
Che
cosa potevano aspettarsi gli apostoli dal Risorto? Non avevano la
coscienza a posto: erano fuggiti, l'avevano abbandonato, si erano
lasciati prendere dalla paura, qualcuno lo aveva tradito, quasi nessuno
era sotto la croce. Forse immaginavano che, se Gesù fosse apparso, li
avrebbe rimproverati e criticati. Invece il Risorto, presentandosi a
loro, non giudica il comportamento che hanno avuto, non critica, non
condanna, non rinfaccia i ricordi dolorosi della loro debolezza, ma
conforta e consola. Le uniche parole di rimprovero rivolte sia ai
discepoli di Emmaus (Lc 24,25), sia agli apostoli (Mc 16,14), non si
riferiscono al fatto che lo hanno abbandonato e che, dopo tante
promesse, tante parole altisonanti (moriremo, con te, verremo con te),
si sono dimostrati inaffidabili; si riferiscono piuttosto alla loro
poca fede. Avrebbero dovuto credere alle Scritture, alle sue parole e
alla Testimonianza di chi lo aveva visto risorto. Gesù, che vuole il
bene di questi poveri apostoli tramortiti, smarriti, confusi, umiliati,
interiormente sconvolti dalla certezza di essere così deboli, non tiene
conto della loro fragilità, ma li consola e li rilancia.
Soffermiamoci su alcuni esempi di discepoli consolati...
Dal risorto verrà l'aiuto di Carlo Maria Martini
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Questa
notte don Enrico Chiavacci - maestro, libero, liberante ed esigente,
capace d'interpellare le radici della Coscienza - è entrato nella
VITA!
(P. Giovanni Ladiana su Fb)
Don
Enrico Chiavacci, (morto questa notte) è stato per molti, e per Pax
Christi in particolare, un padre teologico-culturale, un maestro in
etica sociale.
Ha accompagnato, in questi anni, con le sue riflessioni il cammino di
approfondimento etico e teologico che conduce a una ferma denuncia
della guerra, della corsa agli armamenti e di una finanza che diventa
idolatria.
Lo affidiamo con gratitudine alle braccia del Padre nella luce della Risurrezione di Cristo.
Ha offerto, con generosità e competenza, la sua disponibilità in
incontri pubblici, convegni, congressi e approfondimenti, sia al
movimento che alla rivista Mosaico di pace e al centro Studi economico
sociali per la pace di Pax Christi. Siamo profondamente grati a lui e
al Padre per questo prezioso dono che è stata la sua vita e il suo
pensiero.
Ricordiamo, tra gli innumerevoli suoi interventi, la collaborazione per
un dossier di Mosaico di pace su “finanza ed etica” nel quale, tra
l’altro, scriveva: “…ritengo che ogni forma di speculazione o di gioco
in borsa sia complicità o inavvertita cooperazione con l’idolatria, col
male assoluto in radicale opposizione con l’annuncio evangelico…” (il
dossier con l’articolo di mons. Enrico Chiavacci, “Non potete servire
due padroni”, è interamente online nel sito di Mosaico di pace alla
sezione
archivio/2004/dossier,http://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/3181.html).
A noi ora è affidata la preghiera e il dovere morale di dar seguito
all'impegno e alla passione che don Enrico ha sempre manifestato per la
giustizia e la pace.
Pax Christi Italia
Firenze 26 agosto 2013
Il sindaco Gianni Gianassi ha inviato un telegramma alla parrocchia di
San Silvestro a Ruffignano, a Firenze, esprimendo le più sentite
condoglianze dell’amministrazione comunale di Sesto Fiorentino per la
scomparsa di don Enrico Chiavacci.
“Con lui se ne va una figura di spicco del mondo cattolico del
dopoguerra - ha scritto Gianassi - teologo morale di chiara fama, si
ricorda la sua riflessione appassionata, aperta al futuro e priva di
ogni dogmatismo, sui grandi temi della morale, anche in stretto
rapporto con le questioni più urgenti posti dall'agire politico in anni
di profonda divisione del mondo in blocchi contrapposti, così come il
costante impegno, speso senza risparmio di energie e sempre in prima
linea, contro la guerra ed ogni forma di violenza e prevaricazione
dell'uomo sull'uomo in nome di fini disumani. Con la scomparsa di don
Chiavacci - ha concluso il sindaco - scompare una voce libera, critica
ed indipendente di cui sentiremo la mancanza”.
Tuonava contro il "dio profitto" e non si tirava mai indietro quando
c'erano da affrontare temi controversi come l'omosessualità secondo la
morale cristiana. Il teologo don Enrico Chiavaci si è spento il 25
agosto nella parrocchia di san Silvestro a Ruffignano (Firenze), della
quale è stato parroco a partire dal 1961. Nato a Siena nel 1926 e
ordinato presbitero nel 1950 è stato docente di teologia morale presso
la facoltà teologica dell'Italia centrale. Alla metà degli anni '80 la
pubblicazione della sua opera "Teologia morale e vita economica
(Cittadella, Assisi 1986) offrì un notevole contributo all'elaborazione
ed alla diffusione di una cultura della pace, della solidarietà, della
liberazione, dei diritti umani...
Addio al teologo dell'amore cristiano
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Un ricordo del giornalista e teologo sull' uomo, prete, pastore e teologo fiorentino
Gianni Gennari: In morte di Don Chiavacci, fedele e libero insieme
Ho appreso ieri del ritorno al
Padre di Enrico Chiavacci, maestro della teologia morale italiana. Da
giovane, la lettura del suo "Invito alla teologia morale" (Queriniana)
mi ha mostrato una visione appassionante, non angusta e opprimente,
della riflessione etica. Equilibrato, ma sempre in ricerca, lo
considero un autentico educatore delle coscienze. Riprendo qui le
pagine finali del suo libro...
Christian Albini: Enrico Chiavacci, educatore delle coscienze
«Ci ritroviamo attorno
all’altare per dare l’estremo saluto e accompagnare con la preghiera
all’incontro con il Signore un nostro fratello presbitero, che con il
suo pensiero e con la sua presenza pastorale ha segnato in modo
significativo la vita della nostra Chiesa locale». Così il cardinale
Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, ha introdotto ieri, a San
Silvestro a Ruffignano, l’omelia in occasione del funerale di don
Enrico Chiavacci, lasciando, come sempre fa dal suo ingresso in
diocesi, «il ricordo della persona a chi gli è stato particolarmente
vicino»: nel caso specifico al preside della Facoltà teologica
dell’Italia centrale, don Stefano Tarocchi.
Andrea Fagioli: Don Enrico Chiavacci contro l'idolatria della finanza
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Se
nella nostra società “l’uomo è diventato un’appendice del rumore” (Max
Picard), si fa sempre più urgente l’esigenza che ciascuno ritrovi la
propria umanità attraverso la riscoperta del silenzio e l’apprendimento
dell’antichissima arte di “ascoltare il silenzio”. Impresa certo non
semplice, se già Eraclito definiva i propri simili come “incapaci di
ascoltare e di parlare”: da allora forse abbiamo l’impressione di aver
compiuto passi in avanti nella capacità di parlare, ma certo quanto ad
ascolto sembriamo tornati indietro di secoli. Abbiamo bisogno di una
pedagogia dell’ascolto che può prendere le mosse solo dal silenzio. Sì,
“ascoltare il silenzio” può sembrare un ossimoro, invece è la chiave
che apre il mondo dell’ascolto autentico e della comprensione di ciò
che si sente.
La
tradizione spirituale non solo cristiana ha sempre riconosciuto
l’essenzialità del silenzio per una vita interiore autentica. “La
preghiera – ha detto il Savonarola, che pur di discorsi appassionati
ben si intendeva – ha per padre il silenzio e per madre la
solitudine”. Solo il silenzio, infatti, rende possibile l’ascolto, cioè
l’accoglienza in sé non soltanto della parola pronunciata, ma anche
della presenza di colui che parla. Il silenzio è linguaggio di amore,
di profondità, di presenza all'altro. Del
resto, nell'esperienza amorosa il silenzio è spesso
linguaggio molto più eloquente, intenso e comunicativo delle parole.
Purtroppo oggi il silenzio è raro, è forse la realtà maggiormente
assente nelle nostre giornate: siamo bombardati da messaggi sonori e
visivi, i rumori ci derubano della nostra interiorità e le parole
stesse vengono immiserite dal loro essere urlate, ridotte a slogan o
invettive. Ora, “quando diminuisce il prestigio del linguaggio aumenta
quello del silenzio” (Susan Sontag). Dobbiamo confessarlo: abbiamo
bisogno del silenzio!...
La profezia del silenzio
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Angelus/Regina Cæli - Angelus, 25 agosto 2013
Omelia - 28
agosto 2013: Santa Messa per l'inizio del Capitolo Generale
dell'Ordine di Sant'Agostino (Basilica di Sant'Agostino in Campo
Marzio, Roma)
Discorso - Al pellegrinaggio dei giovani della Diocesi di Piacenza-Bobbio (28 agosto 2013)
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SEGNALATI IN FACEBOOK NELLA
NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA" 25 agosto 2013:
27/08/2013:
29/08/2013:
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30/08/2013:
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Con grande sofferenza e preoccupazione continuo a seguire la situazione in Siria.
L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il
moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere
anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una
volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi.
Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo...
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Papa Francesco ha chiamato il
68.enne spagnolo, padre Fernando Vérgez Alzaga, alla carica di nuovo
segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del
Vaticano.
Un ritratto dell’arcivescovo
Parolin, nuovo segretario di Stato (vedi post precedente) Una scelta
che sarebbe rivelatrice dei sentieri che intende percorrere il
pontificato di Bergoglio
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
il
Vangelo di oggi ci invita a riflettere sul tema della salvezza. Gesù
sta salendo dalla Galilea verso la città di Gerusalemme e lungo il
cammino un tale – racconta l’evangelista Luca – gli si avvicina e gli
chiede: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (13,23). Gesù non
risponde direttamente alla domanda: non è importante sapere quanti si
salvano, ma è importante piuttosto sapere qual è il cammino della
salvezza. Ed ecco allora che alla domanda Gesù risponde dicendo:
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno
di entrare, ma non ci riusciranno» (v. 24). Che cosa vuol dire Gesù?
Qual è la porta per la quale dobbiamo entrare? E perché Gesù parla di
una porta stretta?
L’immagine
della porta ritorna varie volte nel Vangelo e richiama quella della
casa, del focolare domestico, dove troviamo sicurezza, amore, calore.
Gesù ci dice che c’è una porta che ci fa entrare nella famiglia di Dio,
nel calore della casa di Dio, della comunione con Lui. Questa porta è
Gesù stesso (cfr Gv 10,9). Lui è la porta. Lui è il passaggio per la
salvezza. Lui ci conduce al Padre. E la porta che è Gesù non è mai
chiusa, questa porta non è mai chiusa, è aperta sempre e a tutti, senza
distinzione, senza esclusioni, senza privilegi. Perché, sapete, Gesù
non esclude nessuno...
il testo integrale dell'Angelus
video
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Pronto sono Bergoglio. Il Papa.
Chi? Il Papa? Impossibile! Ed invece sì!
Può
un Papa ridurre la sua missione ad un fatto normale? Una telefonata?
Per abbracciare una signora violentata: non sei sola. Ma non ha da
pensare al mondo intero? Non vi è un incendio in Siria? E quanta
povertà non abita la nostra terra? Papa Bergoglio prende il cellulare
in mano. Digita un numero. Chiama persone sconosciute. Lui, il sommo
Pontefice, collocato per missione sulla vetta del mondo! È che da
lontano, come succede ai governanti di questo mondo, non si vedono le
persone. Si pensa al popolo. Si cerca il consenso delle masse. Si
accarezzano nei loro desideri. Lo scopo non sono le persone, è un
interesse: il voto, l’essere rieletti.
Il
Papa è eletto per sempre. Sa che deve rispondere unicamente a Dio che è
Padre di tutti e che conosce anche il numero dei capelli del nostro
capo. Dio ci incontra personalmente. Ci chiama per nome. Papa Francesco
vorrebbe realizzare un incontro impossibile: con tutti. I potenti, le
autorità abitano nei palazzi. Le guardie del corpo, il pericolo reale
per la loro vita, li separano dalla gente qualunque...
Non
può, per ovvie ragioni aprire i portoni del Vaticano, può però
telefonare. Anche senza intermediari. Un cellulare permette connessioni
dirette. E se il mondo è troppo grande, abitatissimo, oltre sei
miliardi di persone per connettersi con ogni persona, può almeno
decidere di pigiare velocemente dei numeri che danno il via ad una
relazione mediata ma vibrante.
Non
è la soluzione. La telefonata ad Alejandra, che gli ha scritto una
mail, non chiude la ferita della violenza. Le restituisce
considerazione, stima da tutta la Chiesa che il Papa rappresenta. Le
ridona una relazione rispettosa ed affettuosa spezzata dall’oltraggio.
Questa, come le altre telefonate, ad esempio alla madre
dell’imprenditore Ferri assassinato a Pesaro, ad un giovane di Padova,
è un gesto di attenzione. E l’attenzione è ascolto, è amore che
accarezza con lo sguardo il volto degli altri. Altri che non sono un
esso, un lei, una funzione, un compito, una macchina da lavoro ma una
persona.
Così
Francesco traccia una linea, indica una strada da percorrere alla
Chiesa e a chi guida e governa. La comunità ecclesiale è tale perché è
vicina alla gente. È fatta di persone in carne ed ossa. Sta dispersa
sul territorio. La Chiesa è tra le case, là dove vi è il bisogno. Là
dove vi è da celebrare le esequie di una giovane mamma; là dove vi è da
festeggiare un fiocco rosa, i fiori d’arancio. Nella prossimità mostra
il volto del Padre, che conosce ciascuno per nome...
Una carezza per telefono La creatività dell'amore
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newsletter è settimanale;
2) Il
servizio di "Lectio" a cura di fr. Egidio Palumbo alla pagina:
http://digilander.libero.it/tempo_perso_2/la_lectio_del_Vangelo_della_domenica.htm
3)
Il servizio omelia di P.
Gregorio on-line (mp3) alla pagina
http://digilander.libero.it/tempodipace/l_omelia_di_p_Gregorio.htm
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