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N.
B. La Lectio viene sospesa nel periodo estivo
NOTA
Articoli,
riflessioni e commenti proposti vogliono
solo essere
un contributo
alla riflessione e al dialogo su temi di attualità.
Le posizioni espresse non sempre
rappresentano l’opinione di "TEMPO PERSO" sul tema in questione.
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7 SETTEMBRE 2013
GIORNATA DI DIGIUNO E DI PREGHIERA
PER LA PACE
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Sabato
7 settembre 2013, dalle ore 19 alle ore 23, sul Sagrato della Basilica
Vaticana, il Santo Padre Francesco presiederà una Veglia di preghiera
in occasione della giornata di digiuno e preghiera per la pace da lui
indetta in tutta la Chiesa Cattolica.
Padre Federico Lombardi ha presentato lo schema della preghiera per la pace in Siria che animerà piazza San Pietro
Tutti con il Papa, la preghiera e il digiuno per la pace
Il libretto della veglia di preghiera per la pace con Papa Francesco (pdf)
Il
“popolo” della pace si riunirà questa sera in Piazza San Pietro per
condividere con Papa Francesco la Veglia di preghiera per la crisi in
Siria. Dalle
16.30, i varchi della Piazza saranno aperti all’afflusso di chi vorrà
partecipare, mentre la Veglia inizierà alle 19 e durerà fino alle 23. Nel servizio di Radio Vaticana Alessandro De Carolis spiega i momenti che scandiranno l’evento.
Le parole dell'anima per disarmare i cannoni (mp3)
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Papa Francesco ha indetto per
tutta la Chiesa, sabato 7 settembre, vigilia della ricorrenza della
Natività di Maria, Regina della Pace, una giornata di digiuno e di
preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero.
La
Conferenza Episcopale Italiana ha rilanciato l'appello in tutte le
diocesi, mettendo a disposizione suggerimenti e proposte. Anche Caritas
Italiana accoglie l'iniziativa e fornisce ulteriori spunti per la
riflessione e la preghiera. ⇒ Vai alla sezione
Di seguito le iniziative di alcune diocesi rilanciate dalle rispettive Caritas...
Sabato 7 settembre 2013, Giornata di digiuno e preghiera per la pace: così alcune diocesi
Suggerimenti
e Proposte per la Giornata di Digiuno e Preghiera indetta dal Santo
Padre Francesco per la pace in Siria, nel Medio oriente e nel mondo
intero
Giornata di digiuno e di preghiera
Il
digiuno e la preghiera per la Siria non sono solo cose "per grandi".
Anche i piccoli possono partecipare all'invito del Papa, che si
trasforma così in una straordinaria possibilità di educazione in
famiglia. E' il senso della lettera che monsignor Vincenzo Paglia,
presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha inviato a tutte
le famiglie (LEGGI), offrendo piccoli suggerimenti utili per
vivere questa giornata, sabato 7 settembre, con semplicità e nello
stesso tempo con impegno. I genitori sono incoraggiati a non tenere di
proporre ai figli "un pranzo austero e minimo" e davanti a un piatto di
pasta scondita o di riso in bianco si può parlare di ciò che accade nel
mondo e di come questi fatti non possono lasciare indifferenti nessuno.
Il digiuno è un modo per dimostrare che non siamo indifferenti. Ma
monsignor Paglia è un pastore, e proprio come un buon padre consiglia
di non mostrare solo le cose brutte bensì di far cogliere anche "la
speranza della pace offerta da Gesù risorto che ha riconciliato il
mondo non con gesti violenti e vendicativi ma con il dono di sé"...
Genitori e figli, ecco come partecipare alla giornata per la pace
Vedi anche i nostri precedenti post:
- Il grido di Francesco: "Vogliamo un mondo di pace!" - Drammatico appello del Papa all'Angelus - testo e video
- Da tutto il mondo adesioni all'appello di Papa Francesco per un giorno di digiuno e preghiera per la pace / 1
- Da tutto il mondo adesioni all'appello di Papa Francesco per un giorno di digiuno e preghiera per la pace / 2
- Da tutto il mondo adesioni all'appello di Papa Francesco per un giorno di digiuno e preghiera per la pace / 3
- Da tutto il mondo adesioni all'appello di Papa Francesco per un giorno di digiuno e preghiera per la pace / 4
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“È
alieno dalla ragione pensare che nell’era atomica la guerra possa
essere utilizzata come strumento di giustizia”. Queste le parole di
papa Giovanni nella Pacem in terris, l’enciclica indirizzata per la
prima volta anche a “tutti gli uomini di buona volontà”. Poche
settimane dopo Giovanni XXIII sarebbe morto e solo pochi mesi prima un
suo intervento personale aveva scongiurato che la “guerra fredda” tra
USA e URSS divampasse in conflitto nucleare a motivo delle tensioni
attorno a Cuba. Oggi, a cinquant’anni di distanza, papa Francesco
decide risolutamente di porre in gioco a sua volta tutta
l’autorevolezza acquisita in pochi mesi di pontificato per fermare i
venti di guerra che si addensano pericolosi sulla Siria.
L’appello
per una giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Medio Oriente
e in tutto il mondo, i ripetuti vigorosi richiami per scongiurare la
guerra, la convocazione del corpo diplomatico accreditato in Vaticano
per spiegare le ragioni del dialogo e l’irragionevolezza della
violenza, la lettera inviata al presidente Putin e ai partecipanti al G
20 a San Pietroburgo, i contatti discreti avviati dalla rete
diplomatica vaticana: papa Francesco non sta lasciando nulla di
intentato per fermare la corsa all’irreparabile. Papa Francesco si è
posto come vero “intercessore” - da inter-cedere, “fare un passo tra” -
perché si è messo tra le parti in conflitto, disarmato, senza difendere
interessi propri, per chiedere la pace, offrendo così l’icona
dell’autentica preghiera cristiana che si leva a Dio ma vuole essere al
contempo efficace responsabilità tra gli uomini...
"Come papa Giovanni" di Enzo Bianchi
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La
"chiamata" del Papa a una Giornata di preghiera e digiuno per la Siria,
sabato 7 settembre, sta raccogliendo adesioni in tutto il mondo. Dalle
Filippine all'America Latina, dal Nord Europa al Medio Oriente, sono
ormai decine le organizzazioni, religiose e non, che hanno aderito
all'appuntamento per dire, con le parole del Papa, "Mai più guerra! Mai
più guerra!"...
Preghiera per la Siria, cristiani con musulmani ed ebrei
“Noi
andiamo ad Assisi”, ha dichiarato Flavio Lotti coordinatore della
Tavola della pace. “Sabato 7 settembre ci uniremo alla Veglia di
preghiera convocata da Papa Francesco per scongiurare l’estensione
della guerra in Siria e in Medio Oriente, perché alla guerra non si
aggiunga altra guerra devastando il mondo intero.
Andiamo
ad Assisi portando la grande bandiera della pace con i colori
dell’arcobaleno che ha accompagnato tante marce Perugia-Assisi. Una
bandiera che è il simbolo di tutte quelle donne, quegli uomini e quelle
istituzioni che da lungo tempo cercano con ostinata determinazione di
operare per la pace...
L’arcobaleno deve sventolare prima della tempesta! Il 7 settembre con San Francesco e la bandiera della PerugiAssisi
Più
di un italiano su quattro (28%) è pronto ad aderire sabato 7 settembre
alla giornata di digiuno e di preghiera indetta da papa Francesco per
la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero.
È
quanto emerso da un sondaggio realizzato dall'Istituto Swg in
esclusiva per Agorà Estate, su RaiTre. Ad aderire all'appello di
Bergoglio è oltre la metà dei cattolici praticanti (55%).
DIGIUNO
PER 14 MILIONI DI ITALIANI. I numeri parlano chiaro: 14 milioni gli
italiani sono decisi a seguire l'indicazione del pontefice.
A
questi si aggiungono altri 11 milioni di italiani che non hanno ancora
deciso, ma che sono suggestionati dalla proposta di Francesco e la
stanno prendendo seriamente in considerazione.
Vedi anche i nostri precedenti post:
- Il grido di Francesco: "Vogliamo un mondo di pace!" - Drammatico appello del Papa all'Angelus - testo e video
- Da tutto il mondo adesioni all'appello di Papa Francesco per un giorno di digiuno e preghiera per la pace / 5
In quest'ultimo post anche i link ai post precedenti
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... La giornata di preghiera e di digiuno indetta da Papa Francesco
è diventata così, oltre il suo significato religioso, il punto di
raccolta dell’umanità che dice no alla guerra. Anzi, che vuole dire sì
alla pace. Che vuole farsi costruttrice di pace. Nel mondo globalizzato
la politica sta diventando sempre più impotente, sempre più sottomessa
alle logiche di potenza, siano esse dettate dalla finanza, dai mercati,
dalle forze militari e strategiche, dalle centrali terroristiche. È
arrivato il tempo di invertire la rotta. Di ricostruire la sovranità
degli uomini e delle comunità. Di spezzare la spirale della guerra.
Solo il dialogo, la convivenza, il diritto, la soluzione politica sono
compatibili con la vita e il futuro delle donne e degli uomini. Anche
in Siria si deve imboccare la strada della soluzione politica, non
quella militare.
Ciò non
vuol dire, in alcun modo, tollerare o sottovalutare lo sterminio
compiuto con i gas tossici. È stato un atto di barbarie. Un delitto
contro l’umanità. Pensare alla morte di tanti innocenti è una ferita
che sanguina in ciascuno di noi. Quell’atto va sanzionato, punito. Ma
ripristinando il diritto internazionale, non sommando uno strappo a un
altro strappo. Le Nazioni Unite restano la speranza di un governo
mondiale. Non possono essere ridotte all’inerzia, svuotate, abbandonate
ai margini della politica di potenza.
Può
una giornata di digiuno invertire la rotta? Può avere tanto valore? Il
realismo dice di no. Ma è la speranza che porta a dire di sì. Spes
contra spem, ripeteva Giorgio La Pira. La politica degli uomini è
orientata al cambiamento. E la politica è possibile solo sperando
contro le aspettative realistiche. La verità è che la politica contiene
in sé una trascendenza. Uno sguardo al futuro migliore che si vuole
costruire, ad un domani che non riguarda solo noi stessi, ma i nostri
figli e nipoti. Dobbiamo costruire la pace. E vigilare su di essa.
Ricostruirla quando va in crisi. E mettere in gioco noi stessi, il
nostro essere popolo, e nazione, ed Europa quando la pace è a rischio.
L’appello
del Papa, al quale hanno aderito donne e uomini di tutte le fedi,
credenti e non credenti, sarà oggi un atto di riscossa per fermare le
guerre. Per dare voce ai sentimenti più profondi. Per gridare la pace.
Per cominciare un cambiamento da noi stessi. C’è una dimensione
spirituale del digiuno – preghiera comune di tante religioni – ma c’è
anche una dimensione civile, laica, anch’essa molto forte nelle società
democratiche. È più di una protesta. È un modo per dire: io ci sto, io
voglio contare, io sono disposto a cambiare, io lavorerò per tessere
una rete di solidarietà, di fraternità, di uguaglianza...
"Il realismo della speranza" di Claudio Sardo
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Oggi
è il giorno del silenzio. E del grido di pace. Quel grido di pace che
il Papa spera si alzi da tutto il mondo. Senza manifestazioni
eclatanti, senza roboanti iniziative. Un grido nel silenzio, un grido
che si fa innanzitutto preghiera, perché la pace è un dono di Dio.
Un
giorno di digiuno, dunque di sacrificio e di distacco, perché la pace
dipende anche dal cuore di ciascuno, dal cambiamento di ciascuno,
dall'impegno di ciascuno. È per questo che annunciando la giornata di
preghiera per la Siria e la veglia in piazza San Pietro, Francesco ha
sottolineato che l'invito a costruire la pace è rivolto non soltanto ai
cattolici o ai cristiani, non soltanto ai credenti delle altre
religioni, ma anche a chi non crede...
Il mondo in preghiera per la pace
«Il
primo digiuno è quello di non mangiare gli altri». Un grande teologo e
biblista come il padre gesuita Silvano Fausti arriva subito
all'essenziale. Milioni di persone si preparano ad aderire oggi alla
giornata planetaria di «preghiera e digiuno» per la pace «in Siria, in
Medio Oriente e nel mondo intero» che dalle 19 alle 23 avrà al centro
la veglia in San Pietro e la meditazione del Papa.Bergoglio si è
rivolto anche ai cristiani non cattolici, ai fedeli di altre religioni
e ai non credenti, fioccano le adesioni da tutto il mondo perché «la
pace è un bene che supera ogni barriera, un bene di tutta l'umanità»
come ripeteva ieri il Pontefice attraverso il profilo Twitter
@Pontifex: «Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e
le donne di buona volontà!». Ai responsabili di Sant'Egidio ieri ha
confidato: «Non è una mia idea, me l'ha ispirata il Signore nella
preghiera».
Non
si tratta semplicemente di non mangiare né può esistere una casistica
delle cose da fare. «Il digiuno è sempre simbolico, è una purificazione
- spiega padre Fausti - i nostri cinque sensi ingurgitano tutto, si
tratta di digerire e creare uno spazio di interiorità, di trovare in sé
la propria libertà interiore, di non divorare ma entrare in una
relazione corretta e libera con le cose e con gli altri: ciascuno
decide in coscienza ciò da cui astenersi, le cose che lo rendono
schiavo o con le quali rende schiavi gli altri...»...
Milioni per il digiuno con Francesco
Vedi anche i nostri precedenti post:
- Il grido di Francesco: "Vogliamo un mondo di pace!" - Drammatico appello del Papa all'Angelus - testo e video
- Da tutto il mondo adesioni all'appello di Papa Francesco per un giorno di digiuno e preghiera per la pace / 6
In quest'ultimo post anche i link ai post precedenti
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Una responsabilità comune
di mons. Luigi Bettazzi
Invitando
a pregare per la pace Papa Francesco realizza più che mai la missione
del successore di Pietro, così evidente nei Pontefici del Novecento,
come profeti e missionari di pace. Da san Pio X stroncato dalla prima
guerra mondiale all’appello di Benedetto XV di fronte all’«inutile
strage». Dalle encicliche di Pio XI contro le dittature foriere di
guerre a Pio XII che alla vigilia della seconda guerra mondiale grida
«nulla è perduto con la pace». Da Giovanni XXIII durante la crisi di
Cuba e con la Pacem in terris a Paolo VI con la Populorum progressio
(il nuovo nome della pace è lo sviluppo dei popoli). Da Giovanni Paolo
II con la Sollicitudo rei socialis (pace è solidarietà) e le insistenze
perché non si giungesse alle guerre in Medio oriente, fino a Benedetto
XVI che, nella Caritas in veritate propone la non violenza attiva,
questa missione del Papa diventa sempre più incisiva.
Il
Pontefice ripete oggi un forte appello alla pace, scongiurando di
rinunciare all’intervento armato in Siria, sollecitando le forze
politiche e i Governi perché col dialogo e con i negoziati si ottenga
la fine della violenza che sconvolge quel Paese e minaccia di
estendersi. La passione con cui Papa Francesco vive questo momento
drammatico e lo spinge a cercare tutte le strade per salvare la pace è
testimonianza evangelica, testimonianza che impegna tutta la Chiesa e
ogni fedele a farsene promotore. Lo stesso Gandhi, tradizionale
patrocinatore della non violenza attiva, affermava di averla appresa
pure dal vangelo.
L’appello
di Papa Francesco ha trovato nel mondo un ampio riscontro anche al di
fuori della Chiesa cattolica, perché giunge alla parte più profonda
delle coscienze umane e al realismo delle persone più attente,
richiamando la responsabilità di tutti nel cammino verso la pace.
Questo aspetto viene ancora più confermato dall’invito rivolto a tutta
la Chiesa — e condiviso da molte altre comunità religiose — a una
preghiera collettiva, accompagnata dal digiuno, per invocare da Dio il
dono della pace.
...
+ Luigi Bettazzi, Vescovo emerito di Ivrea
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"La violenza non è mai la via della pace!"
Papa Francesco
veglia per la pace a San Pietro
(07.09.2013)
«Vorrei
chiedere al Signore che ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con
forza: la violenza non è mai la via della pace!»
Davanti
a più di centomila fedeli Papa Francesco, dopo la recita del Santo
Rosario, ha pronunciato la sua omelia. «In ogni violenza e in ogni
guerra facciamo rinascere Caino». La risposta di Dio è la croce. «Nel
silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio
della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace». La Veglia è proseguita con preghiere, canti, straordinari e prolungati momenti di silenzio. In
conclusione il Papa ha salutato tutti con l'oramai consueto «Buona
notte e buon riposo» aggiungendo «Buona domenica per domani» e
«Continuiamo a pregare tutti per la pace».
In 100mila con il papa per la pace
GUARDA IL SERVIZIO DEL TG DI LA7
video
"La pace è possibile per tutti se diciamo il nostro sì"
l'omelia di Papa Francesco
"...Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza
dell’uomo: «Dov’è Abele tuo fratello?». E Caino risponde: «Non lo so.
Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Anche a noi è
rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io
il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere
persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece,
quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da
custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere.
Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre
hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti
fratelli e sorelle. Non si tratta di qualcosa di congiunturale, ma
questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo
rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di
scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro
fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai
nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo
perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata,
abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se
fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore,
morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La
violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte! ...."
omelia integrale
GUARDA IL VIDEO DELL'OMELIA INTEGRALE
video
Musulmani
e cristiani insieme che pregano in piazza San Pietro, ognuno con le
parole della propria religione. Per molti è «il miracolo» nato
dall'appello ecumenico di Papa Francesco alla veglia e il digiuno per
la pace: quattro ore oltre i confini delle fedi, contro la guerra in
Siria. A San Pietro, dal tardo pomeriggio, centomila persone sono
accorse per accogliere l'appello del pontefice. Una cerimonia
silenziosa, con le bandiere ai margini della piazza: da quella siriana
a quella con i colori dell'arcobaleno della pace, passando per quella
cinese e dell'Argentina, il Paese di Bergoglio. ...
Cristiani-musulmani pregano insieme: è «miracolo Papa»
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PERDONO DIALOGO RICONCILIAZIONE...
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Una stupenda serata
romana di fine estate ha fatto da perfetta cornice alla veglia per la
pace di sabato sera in piazza San Pietro, senza dubbio un momento forte
del pontificato di Papa Francesco, anche perché si è svolta in
contemporanea con eventi analoghi in tanti Paesi del mondo. E questo
irradiamento mondiale si sentiva, ampliando l’eco delle preghiere ma
soprattutto dei silenzi.
Sono stati i lunghi momenti di silenzio, infatti, a far sentire la
forza di questo incontro: momenti durante i quali veramente non si
sentiva volare una mosca, anche se gremita era non solo la piazza, ma
anche via della Conciliazione fino al Tevere, da persone che hanno
resistito per tutte le quattro ore della veglia, compattamente.
Soprattutto il tempo dedicato alla muta adorazione del Santissimo è
stato intenso, e si è sentita, anzi quasi toccata la potenza della
preghiera, la forza della richiesta di pace da parte di tanti credenti
riuniti a Roma e nel mondo...
Lucetta Scaraffia: La forza del silenzio
Perché
il papa ha posto al centro della veglia per la pace la più venerata
immagine della Madre di Dio conservata a Roma. Una storia di fede che
risale a Gregorio Magno. Il commento di padre Innocenzo Gargano
Sandro Magister: Francesco e il miracolo dell'icona
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Domenico Quirico è stato liberato
L’inviato de La Stampa, rapito in Siria lo scorso 9 aprile, è in volo verso l’Italia.
Domenico Quirico è stato liberato
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(GIA' ANTICIPATO NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
La
carezza di Emma Bonino è quella che tutti avremmo voluto dare a
Domenico Quirico al suo rientro dopo i 152 giorni della sua durissima
prigionia...
Oggi sulla Stampa, Domenico Quirico racconta in uno straordinario articolo i suoi mesi di prigionia.
Descrive
il rapimento, i suoi carnefici, le torture e i tentativi di fuga, fino
alla liberazione. L’articolo sul quotidiano è molto lungo e qui ne
riportiamo solo alcuni brevi stralci.
La
notte era dolce come il vino: l’8 aprile ad al Qusayr, Siria, per
raccontare un altro capitolo della guerra siriana, dove la Primavera
della rivoluzione sembrava poter durare per sempre e capovolgere il
mondo. E invece sono stati 152 giorni di prigionia, piccole camere buie
dove combattere contro il tempo e la paura e le umiliazioni, la fame,
la mancanza di pietà, due false esecuzioni, due evasioni fallite, il
silenzio; di Dio, della famiglia, degli altri, della vita. Ostaggio in
Siria, tradito dalla rivoluzione che non è più ed è diventata fanatismo
e lavoro di briganti. L’ostaggio piange e qui tutti ridono del suo
dolore, considerato come prova di debolezza. La Siria è il Paese del
Male; dove il Male trionfa, lavora, inturgidisce come gli acini
dell’uva sotto il sole d’Oriente. E dispiega tutti i suoi stati;
l’avidità, l’odio, il fanatismo, l’assenza di ogni misericordia, dove
persino i bambini e i vecchi gioiscono ad essere cattivi. I miei
sequestratori pregavano il loro Dio stando accanto a me, il loro
prigioniero dolente, soddisfatti, senza rimorsi e attenti al rito: cosa
dicevano al loro Dio?...
In
tutta questa esperienza c’è molto Dio. Pierre Piccinin è un credente.
Io sono un credente. La mia è una fede molto semplice, la fede delle
preghiere di quando ero bambino, dei preti che quando andavo a trovare
mia nonna in campagna incrociavo mentre raggiungevano in bicicletta
delle piccole parrocchie con gli scarponi da operaio e la borsa
attaccata alla canna della bici, e portavano estreme unzioni,
benedivano le case, con la fede dei preti di Bernanos, semplice ma
profonda.
La
mia fede è darsi, io non credo che Dio sia un supermercato, non vai al
discount a chiedere la grazia, il perdono, il favore. Questa fede mi ha
aiutato a resistere. È la storia di due cristiani nel mondo di Maometto
e del confronto di due diverse fedi: la mia fede semplice, che è darsi,
è amore, e la loro fede che è rito...
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Domenico è un giornalista che
quando lavora su una notizia ha bisogno di sentirla fino in fondo, di
viverla: occorre calarsi in ogni piega della storia se si vogliono
tradurre e comprendere i fatti. Per lui, raccontare significa
condividere e non solo con la testimonianza dei propri occhi.
Claudio Monici: «Andare là dove la gente soffre È la mia idea di giornalismo»
Domenico Quirico ha raccontato sulla "Stampa" una piccola parte della sua prigionia...
Nelle ultime righe, quasi con pudore, il giornalista scrive: la fede mi
ha aiutato a resistere. La fede semplice, dice, imparata da bambino in
campagna, da poveri preti che in bicicletta portavano i Sacramenti.
Quella fede che Quirico definisce, semplicemente, un "darsi". Soltanto
un darsi: uno spendersi per l’altro, in un desiderio di bene. Ma che
luce viene da questa unica parola, in un reportage dall’inferno. Non
ogni cosa, dunque, quel mare di Male ha inghiottito. Nel buio, la
memoria di un altro sguardo e una antica, ereditata speranza hanno
tenuto. E anche questo dovremmo farlo leggere ai nostri figli; perché
sappiano, perché ricordino, ancora.
Marina Corradi: Il male della (e nella) guerra
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
È morta mentre prestava soccorso a un uomo ferito in una rissa, vittima
degli aggressori che l'hanno investita deliberatamente. È successo ieri
sera nel Bergamasco, a Chiuduno, e la vittima è Eleonora Cantamessa,
una ginecologa. Il medico si era fermato per soccorrere un indiano
ferito nel corso di una rissa fra immigrati...
"Eleonora
non poteva non fermarsi: era fatta così, ha sempre fatto di tutto per
gli altri". Mariella Cantamessa, la mamma di Eleonora è stata tra le
prime persone giunte sul luogo della tragedia a Chiuduno. La mamma
della ginecologa, straziata dal dolore, ha voluto evidenziare lo
spirito altruista di Eleonora. "Qui a Trescore aveva fatto nascere
tantissimi bambini - ricordano alcuni residenti -. Il suo ambulatorio
era sempre pieno di mamme, italiane e straniere, senza nessuna differenza".
"Dopo
aver ricevuto le mamme per la visita - aggiunge Mariella Cantamessa -,
il suo ambulatorio spesso rimaneva aperto anche per le ragazze
straniere che visitava gratuitamente e che avevano bisogno di un
consulto. Non ha mai chiuso la porta in faccia a nessuno" (fonte: Avvenire)
Morire da samaritani soccorrendo un ferito
di Francesco Merlo
Il
grande eroismo del piccolo gesto è costato la vita a una di noi, una
dolce signora di Bergamo, che è morta nella guerra a bassa
intensità che ogni giorno si combatte nelle strade d’Italia.
Animali travestiti da uomini, per finire un uomo già finito, hanno
infatti ucciso anche lei che lo stava soccorrendo come appunto
avrebbe fatto ciascuno di noi.
Non
il buon Samaritano della parabola o san Francesco, ma chiunque si fosse
trovato a passare di lì e avesse visto quell’indiano steso per
terra, straziato dalle sprangate, boccheggiante e rantolante.
Eleonora
Cantamessa era una ginecologa di 44 anni, un medico. E dunque non era
mossa soltanto dalla pietà ma anche dalla fedeltà al giuramento di
Ippocrate, dalla competenza, dall’abitudine a soccorrere. Il
medico si mette sempre di traverso davanti alla morte, cerca di
fermarla, di ritardarla, di renderla meno dolorosa. Eleonora
Cantamessa per professione aveva dichiarato morte alla morte.
Ma
quattro bestie a bordo di una Golf sono tornate indietro, non come i
killer freddi che seguono una logica, ma come furie appunto,
travolgendo tutti quelli che, nonostante l’ora, si erano fermati
ad aiutare il ferito, un’auto che passava, qualsiasi ostacolo che
intralciava la loro corsa verso quel corpo da finire. Sono questi
i nuovi mostri che perdono i controlli e picconano i passanti come
a Milano, sparano in pizzeria come a Pozzuoli, penetrano nelle
case come a Perugia e uccidono chiunque si metta di mezzo, si
accaniscono a coltellate come a Bari. È una nuova antropologia
che ha ormai invaso le nostre strade, non più luogo di incontro e
di passaggio ma discarica di frustrazioni, aggressività, malumori,
spietatezza.
Che
si tratti di indiani non ha molta importanza, perché la macelleria non
è un appannaggio né razziale né etnico ma è il prodotto più
visibile dell’imbarbarimento generale che non conosce meticciati e
transnazionalità, melting pot e incroci. Sappiamo già, prima ancora di
sentirli, di cosa stanno straparlando i leghisti che vanno avanti
a meccanismi pavloviani perché sono il rovescio, l’uguale
contrario dei cattivi immigrati, che certo ci sono, perché la sola
democrazia che al mondo funziona perfettamente è la distribuzione
in dosi uguali di stupidità e di ferocia. Ma le strade italiane
sono trincee e percorsi di guerra come in America, come in Inghilterra,
come in Francia, senza il bilancino milligrammato delle
nazionalità: non ci sono razze più stupide e più feroci di
altre ma ci sono uomini più stupidi e più feroci in tutte le razze.
La
foto della dottoressa Cantamessa ci mostra una faccia piena di luce,
predisposta al sorriso. E vale la pena correre il rischio della
retorica e mettere sotto la lente di ingrandimento l’Italia che
la dottoressa rappresenta, la stessa che a Lampedusa, a Ragusa, a
Catania accorre ad aiutare i disperati che sbarcano dalle carrette
del mare.
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ITALIA. La crisi non é per tutti!
Il
10 per cento degli italiani, infatti, possiede il 50 per cento di tutta
la ricchezza privata del Paese. E per loro niente "sacrifici"!
Puntata di "Presa Diretta" trasmessa il 02.09.2013 su Raitre
L’
Italia è il paese dove è più grande la ricchezza privata, più della
Francia, più della Germania. Secondo uno studio di Bankitalia la somma
di case, soldi cash nei conto correnti e soldi investiti in titoli e
azioni assommerebbe alla cifra di 9mila miliardi di euro, quasi cinque
volte il debito pubblico italiano.
Con
questo rapporto tra debito e patrimonio se l’Italia fosse un’azienda
nessuno la darebbe per fallita, ma il punto è che il debito è di tutti
mentre la ricchezza privata è di pochi. Il 10 per cento degli italiani,
infatti, possiede il 50 per cento di tutta la ricchezza privata del
Paese. Eppure in questo momento di drammatica emergenza questa
ricchezza è rimasta intatta e ai ricchi e super ricchi italiani non è
stato chiesto alcun sacrificio.
Non
c’è la patrimoniale e anzi la pressione fiscale sui patrimoni è
diminuita negli ultimi dieci anni dal 9,8 al 5,9 per cento. Con “RICCHI
E POVERI” vi porteremo dentro il mondo dei ricchi e super ricchi
italiani, vi faremo vedere la vita che fanno, le case dove abitano,
dove e come investono i loro soldi e le enormi possibilità che hanno di
investire nel futuro dei loro figli. Mentre continua ad allargarsi la
platea delle italiane e degli italiani che non riescono a vivere
dignitosamente, anche dove meno te lo aspetti.
Pochi
sanno che la città più povera del nord è Torino, capitale di una
Regione che ha un milione di poveri. Vi racconteremo le ragioni del
declino di Torino, la crisi industriale, le tante imprese che chiudono
e la vita e la storia dei 40mila cassa integrati della città. Una cifra
spaventosa che ha ridotto la capacità di consumo dei torinesi di due
milioni di euro al giorno.
RICCHI E POVERI
è un racconto di Alessandro Macina ed Elena Stramentinoli
GUARDA LA PUNTATA COMPLETA
video
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Il bene esiste, ma è spesso nascosto.
Aiutiamo i giovani a scoprirlo!
Alcuni
mezzi di comunicazione, oggi, tendono a dipingere il mondo a tinte
scure, come se fosse irrimediabilmente corrotto. Nell’aria c’è un
sentimento di rassegnazione e di pessimismo diffuso, che spinge i
ragazzi a considerare la vita una specie di giungla in cui trionfano i
più forti.
Molti
giovani sono sfiduciati. Non credono più nella famiglia, nella
politica, nella religione, nell’amore, nell’onestà, nella lealtà, nella
legalità. Alcuni si chiedono: “Perché dovrei comportarmi bene, se tutto
il mondo è malato e cattivo? Chi me lo fa fare? E’ meglio essere furbi
ed adeguarsi ai tempi”.
Questo
tipo di ragionamento rischia di rovinare il futuro delle nuove
generazioni, spesso deluse e disilluse, a volte rinchiuse in un guscio
di oscurità e di disfattismo autolesionista.
Il
bene viene spesso nascosto. Ha poco spazio rispetto alle tonnellate di
carta di giornale e di servizi televisivi dedicati al male: corruzione,
omicidi, pornografia, violenze e brutalità di ogni genere.
Eppure
basterebbe guardarsi intorno per accorgersi che esistono tante
bellissime storie che possono aiutarci a ritrovare fiducia nel domani.
Sono testimonianze di gente comune, che ha saputo illuminare il mondo
con un gesto d’amore, offerto lungo il cammino della vita quotidiana...
Un gesto d'amore può illuminare il mondo
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(GIA' ANTICIPATO NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Sono i giorni del rientro in classe, dei libri intonsi e dei
grembiulini immacolati, del più intenso traffico in città. Per tutti è
l’inizio di un altro anno che servirà a formare e far crescere un pezzo
importante di società, quella del futuro: per questo i problemi
dell’istruzione interessano tutti e non solo studenti e insegnanti.
Questa volta sul banco ci si è messo anche il Governo affrontando un
tema tanto ampio quanto di difficile soluzione, il rilancio della
scuola.
Già dal titolo - "L’istruzione riparte" -
dato al decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri si dichiara
l'intenzione da parte del ministero dell'Istruzione di dare una spinta
per crescere nuovamente. Con l’inizio del nuovo anno scolastico si
segna anche l’avvio di una politica di intervento per cercare di
risolvere - o almeno non peggiorare - le vecchie grane della
formazione, dalla mancanza di risorse alla necessità di un reale
sostegno per insegnanti e famiglie. Un provvedimento che è un primo
passo, ma che necessita di una continuità per portare avanti i buoni
propositi che contiene...
L'ISTRUZIONE È UN LIBRO APERTO (ANCHE USATO)
Per saperne di più:
MIUR: “l’istruzione riparte”, varato pacchetto per scuola, università e ricerca
E'
una novità anche questa: il ministro conclude tra gli applausi degli
studenti l'intervento per l'apertura dell'anno scolastico: "Ragazzi,
siate ribelli e non accettate le cose come sono. Cambiate questo mondo,
è lì che vi aspetta. Da queste aule escono le persone che ci salveranno
dalla crisi e ricostruiranno l'Italia".
E
dopo aver lanciato agli studenti questo monito rivoluzionario, Carrozza
non dimentica di parlare agli insegnanti. Durante un'intervista a Radio
Anch'io ha sottolineato l'importanza per i docenti di seguire "la
rivoluzione digitale" in atto nella società e il loro dovere di stare
al passo con i tempi.
"Io
credo - ha spiegato il Ministro - che gli insegnanti vogliano
aggiornarsi. Il problema è che non ci sono opportunità, già lo
stipendio è molto basso e quindi sembra chiedere troppo. Dovremo quindi
offrire strumenti per l'aggiornamento accessibili a tutti e compatibili
con la vita degli insegnanti". "Secondo me - ha detto Carrozza
concludendo il suo intervento - si andrà verso un aggiornamento
obbligatorio però deve essere fatto nel modo opportuno e adeguato al
sistema scolastico"....
Carrozza agli studenti: "Siate ribelli". Il ministro incita: cambiate il mondo
A scuola la continuità didattica è
un valore, ma in Italia è messa a dura prova. Cominciamo dal balletto
dei supplenti che avviene nei primi mesi in molti istituti. Il gioco al
ribasso condotto dal ministeri dell’Istruzione (dietro il quale si
celavano le direttive del ministero dell’Economia, ovvero la “spending
review”) aveva già portato a drastici tagli con la concessione di poco
più di 11.200 immissioni in ruolo per il 2013. Ma il ministero ha
deciso di spostare duemila cattedre di là da venire, e così ancora una
volta la scuola italiana è vittima della discrepanza tra i posti messi
a concorso e quelli che effettivamente vengono assegnati ai ruoli. E se
genitori e studenti pensano che il problema sia confinato a docenti e
precari e in fondo non li riguarda, si sbagliano di grosso...
INIZIA LA SCUOLA, SPERIAMO CHE SE LA CAVA
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Le prove invalsi, per i licei
la polemica sul bonus università, e poi il rebus dei libri di testo
(digitali o cartacei?) e il problema del gap tecnologico nelle aule.
Dai "bes" - il sostegno ai ragazzi in difficoltà che sta facendo
impazzire le scuole - al caos del dopo concorsone. Fino ad arrivare
alla W dei week-end di chiusura ormai quasi istituzionalizzata e algli
zaini troppo pesanti
Salvo Intravaia: Compito in classe dalla A alla Z: l'alfabeto del nuovo anno scolastico
Mentre
milioni di giovani tornano a scuola, diamo la parola ad alcuni
insegnanti che testimoniano la possibilità di costruire e di
riaccendere il desiderio nei cuori e nelle menti. Misurandosi anzitutto
con domande troppo spesso eluse e che rimangono capitali: cosa vuol
dire insegnare? Come accompagnare i giovani a conoscere la realtà e ad
acquisire gli strumenti per diventare protagonisti della loro vita e
della società?
Giorgio Paolucci: La battaglia dell'educazione
Un detto urdu, diffuso in India
e in Pakistan, ricorda che ognuno ha due padri, il genitore biologico e
il proprio maestro. Mentre le scuole, in questi giorni, riaprono le
loro porte, risulta utile riflettere su tale paternità "didattica". Nei
prossimi nove mesi i docenti italiani, uomini e donne, saranno chiamati
a un lavoro fatto di professionalità e competenze, ma anche a
esercitare con serietà e passione quella paternità e maternità di cui
centinaia di migliaia di ragazzi e di ragazze sono assetati, più di
quanto possa sembrare all’occhio distratto di chi li guarda con
superficialità.
La scuola ha un’anima paterna e materna.
Marco Impagliazzo: Il maestro come un padre Per trasmettere una visione
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DA UNA CHIESA TRIONFANTE
AD UNA CHIESA MENDICANTE
A 50 ANNI DAL CONCILIO VATICANO II
HOREB n. 64 - 1/2013
TRACCE
DI SPIRITUALITA'
A CURA DEI CARMELITANI
"Sono
passati 50 anni dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II ed è
importante fare memoria, cioè far presente quell’evento per riviverlo,
perché può accadere che, passata la generazione di coloro che vi hanno
partecipato o che hanno vissuto da vicino la svolta epocale da esso
avviata per la vita della Chiesa, la sua memoria venga meno e si
dimentichino gli orientamenti e le prospettive da esso offerti.
Il
Vaticano II, infatti, pur essendo in piena continuità con la fede e la
vita della Chiesa è stato certamente un evento che ha risposto con le
sue scelte ad attese importanti presenti nella comunità cristiana e nel
mondo.
Il
Vaticano II, dopo duemila anni nel corso dei quali il cristianesimo si
era sostanzialmente identificato con la cultura europea, apriva la
Chiesa a una piena incarnazione nella vita e nella cultura di tutti i
popoli, restituendole un’autentica cattolicità e rendendola veramente
universale: piena continuità con il passato, con la fede apostolica
trasmessaci attraverso le diverse generazioni, e insieme nuovi decisivi
orientamenti nei confronti degli ebrei, dei cristiani non cattolici,
dei credenti delle altre religioni, ma anche all’interno della comunità
cristiana per quanto concerne la liturgia, la centralità della
Scrittura, la collegialità e la sinodalità come forma e stile di
governo, il riconoscimento del valore e della centralità della persona
umana e della sua coscienza.
Gli
orientamenti e le decisioni del Concilio Vaticano II, sebbene accolti
abbastanza pacificamente all’interno della comunità ecclesiale,
purtroppo non sono stati conosciuti e meditati a sufficienza, in questi
cinquant’anni nelle varie comunità cristiane.
La
riflessione che proponiamo a più voci, nel presente quaderno, vuole
essere l’occasione provvidenziale per riprendere in mano quei documenti
e cercare di recepire, nello “spirito del Concilio”, un’immagine di
Chiesa a noi frati carmelitani più consona: quella “mendicante”, dove è
fondamentale vivere uno stile di vita povero, fraterno, itinerante,
accogliente e di condivisione della vita del popolo. Si tratta di
riattualizzare il sogno di Papa Giovanni di una Chiesa “che si fa
popolo”: «La Chiesa Cattolica – affermava in una omelia del 13
novembre 1960 – non è un museo di archeologia. Essa è l’antica fontana
del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a
quelle del passato»...
(EDITORIALE)
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Nel giorno in cui la liturgia celebra il Santissimo Nome di Maria
proponiamo questo interessante dossier apparso sul periodico di
divulgazione scientifica Airone, firmato da Isabella Vergara.
È
la donna più famosa di tutti i tempi. Su di lei sono stati scritti
oltre 200 mila libri. A quasi duemila anni dalla sua morte, la ragazza
di Nazareth continua ad attirare decine di milioni di fedeli nei
santuari di tutto il mondo. Il network a lei dedicato, Radio Maria,
segna ascolti da record (1 milione 871 mila fedeli al giorno solo in
Italia).
Ma chi era davvero la mamma di Gesù? La parola agli storici...
Il grande mistero della Madonna: tutto su Maria di Nazareth
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MARIA Donna dei nostri giorni
Maria, donna feriale
di Don Tonino Bello
...
Santa Maria, donna feriale, forse tu sola puoi capire che questa nostra
follia di ricondurti entro i confini dell'esperienza terra terra, che
noi pure viviamo, non è il segno di mode dissacratorie.
Se per un attimo osiamo toglierti l'aureola, è perché vogliamo vedere quanto sei bella a capo scoperto.
Se
spegniamo i riflettori puntati su di te, è perché ci sembra di misurare
meglio l'onnipotenza di Dio, che dietro le ombre della tua carne ha
nascosto le sorgenti della luce.
Sappiamo
bene che sei stata destinata a navigazioni di alto mare. Ma se ti
costringiamo a veleggiare sotto costa, non è perché vogliamo ridurti ai
livelli del nostro piccolo cabotaggio. È perché, vedendoti così vicina
alle spiagge del nostro scoraggiamento, ci possa afferrare la coscienza
di essere chiamati pure noi ad avventurarci, come te, negli oceani
della libertà...
Maria, donna feriale di Don Tonino Bello
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Il 12 settembre la Chiesa fa
tradizionalmente memoria del “nome” di Maria, principalmente sulla scia
di un motivo squisitamente biblico e storico-salvifico. Nel racconto
delle Scritture, il “nome” indica la persona e, in diversi casi, la
“missione” che provvidenzialmente Dio affida per il bene del popolo.
Infatti, la persona è inseparabile dalla comunità cui appartiene. Il
“nome” rappresenta perciò come un luogo d’incontro tra l’individuo, la
famiglia che lo ha generato, il popolo cui tale famiglia appartiene.
È già passato un anno dalla
morte di Carlo M. Martini e molti sono quelli che lo ricordano.
Chissà perché, leggendo le parole che il card. Scola gli dedica
osservando il suo ritratto appeso in Arcivescovado (1), mi è venuto in
mente il mito della caverna di Platone.
Salvatore M. Perrella: Il nome di Maria
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LE PIETRE D'INCIAMPO DEL VANGELO
Giudei si misero
a discutere
aspramente
tra loro:« Come può costui darci
la sua carne da mangiare?»".
(Giovanni 6, 52)
Gianfranco Ravasi: Carne da mangiare
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
RUBRICA Un cuore che ascolta - lev shomea' "Concedi
al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo
popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica di Santino Coppolino
Vangelo: Lc 14,25-33
"Chi non solleva la propria croce e viene dietro di me, non può essere mio discepolo".
Non
si può seguire Gesù senza prendere sopra di sé la croce, è
condizione necessaria per potersi dire discepoli. Ma cosa è stata per
Gesù la croce, cosa è per noi?
Mai
la croce nei Vangeli riguarda la sofferenza umana, i momenti
dolorosi che inevitabilmente incontriamo nella vita, come le
malattie, le tragedie, i lutti e la sofferenza, mai per Gesù
la croce assume questo significato, altrimenti non sapremmo
spiegare tutte guarigioni e i miracoli compiuti da lui.
"Sollevare la croce" significa
accettare il disprezzo della gente per chi veniva condannato a
questo infamante supplizio, significa essere considerato la feccia
della società.
In particolare Gesù fa riferimento al momento in cui il condannato, caricato del"patibulum" -l'asse
orizzontale della croce- doveva dirigersi verso il luogo
dell'esecuzione attraversando due ali di folla, per la quale era
un dovere religioso insultare, malmenare, oltraggiare e dileggiare
il condannato a morte.
...
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Spiazzati da un gesto che non si può banalizzare
Spiazzati
un’altra volta, verrebbe da dire dopo aver letto per l’intera settimana
le reazioni degli opinion leader e dei giornali sull’invito al digiuno
di Papa Francesco. C’è chi non capisce il nesso con l’imminente
minaccia di una guerra, come Vittorio Feltri sul Giornale (ma non
capire può anche voler dire che mancano categorie di lettura...) e chi
invece punta sul discorso della dieta, confondendo i piani. E riducendo
al piccolo orizzonte di se stessi.
Curiosa
è poi l’associazione digiuno uguale protesta, quasi che Pannella, con i
bagni mediatici di questi anni abbia dettato la linea, esattamente come
la detta Bruno Vespa quando fa una delle sue trasmissioni dedicate alle
diete che sortiscono l’effetto di non chiarire mai le idee. Ma quella
del Papa è davvero un’altra cosa, che implica innanzitutto un desiderio
di seguirlo per capire più a fondo cosa voglia dire questo momento
storico. Seguirlo nel gesto del digiuno significa cercare un centro,
affidarsi a un’idea di distacco che alla fine incide sulla coscienza di
ciascuno più che sull’adipe, come hanno ironizzato alcuni. Ciò che,
infatti, manca in questo tempo è una coscienza comune rispetto a ciò
che vale veramente.
E
il digiuno apre una domanda proprio a questo: cosa vale, per cui
conviene "rinunciare" a posizioni personali che possono condurre
addirittura a dei conflitti?
Il digiuno ci insegna ciò che vale davvero di Paolo Massobrio
Il messaggio di forza del digiuno
di Enzo Bianchi
La riflessione del Priore della Comunità Monastica di Bose
Il
digiuno è una pratica ascetica comune a tutte le religioni, una prassi
vissuta già da Israele, riproposta da Cristo, accolta dalla tradizione
ecclesiale e che svolge la funzione basilare di farci sapere qual è la
nostra fame, di cosa viviamo, di cosa ci nutriamo.
Con
il digiuno noi impariamo a conoscere e a ordinare i nostri tanti
appetiti attraverso la moderazione dell’appetito fondamentale e vitale:
la fame. Impariamo così a disciplinare le nostre relazioni con gli
altri, con la realtà esterna e con Dio, relazioni sempre tentate di
voracità. Il digiuno è ascesi del bisogno ed educazione del desiderio.
Quando
digiuniamo siamo spinti a discernere la qualità del nostro agire, le
conseguenze dei nostri atti, la violenza che immettiamo nei nostri
rapporti. Per il cristiano, poi, è confessione di fede fatta con il
corpo, pedagogia che porta la totalità della persona all’adorazione di
Dio, memoria immessa nel proprio corpo del non vivere di solo pane, ma
di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Per questo, in ore
particolarmente decisive e critiche, la chiesa esorta i cristiani a
digiunare per «pensare davanti a Dio» le vicende quotidiane, per
purificare le proprie convinzioni e convertirsi, così da scegliere
sempre in favore della vita. (fonte: VATICAN INSIDER)
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Oltre alla preghiera, il digiuno:
sono questi gli elementi della veglia proposta da Papa Francesco il 7
settembre per invocare la pace in Siria e in tutti i luoghi di
conflitto. Non solo i cattolici e nemmeno solo i cristiani, ma gli
appartenenti a tutte le Religioni e gli uomini e le donne di buona
volontà anche se non credenti sono stati invitati dal pontefice a
unirsi a un gesto che ha una valenza simbolica di tipo universale.
Il digiuno è uno dei grandi archetipi universali.
Chiara Santomiero: Il digiuno: distacco dal superfluo, segno politico in senso alto
Domenica scorsa, nel corso
dell’Angelus, papa Francesco ha lanciato un appello universale contro
ogni intervento militare in Siria e ha annunciato per sabato 7
settembre una giornata di digiuno e di preghiera per la pace.
All’iniziativa hanno aderito numerose organizzazioni di matrice
cattolica (da Cl alle Acli, dai Focolarini alla Comunità di
Sant’Egidio, dalla Caritas all’Unitalsi), enti pubblici, uomini
politici laici e cattolici. L’appello al digiuno per la pace ha però
avuto anche una forte eco in altre confessioni religiose, assumendo un
valore ecumenico e interreligioso.
Enrico Casale: E il digiuno diventa interreligioso
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Cristiani a parole o con i fatti?
«Enea, alzati e rifatti il letto! (...) Tabità, alzati» (leggi Atti 9,32-43)
Dopo
la conversione di Paolo (cfr Popoli n. 6-7/2013), l’attenzione torna su
Pietro. Questi, fin dall’inizio, subisce con Giovanni un arresto (At
4,1-22). Ne segue un secondo, insieme a tutto il collegio apostolico,
che finisce con una liberazione miracolosa e un ulteriore arresto con
fustigazione. La difesa di Gamaliele ferma le persecuzioni contro gli
apostoli (At 5, 17-42). Quelle successive sono contro Stefano e gli
Ellenisti, perché aprono la fede cristiana a chi non va al Tempio.
Invece
gli apostoli stanno tranquilli, fino a quando arriva Paolo. La sua
predicazione scatena una nuova persecuzione. Allora i fratelli lo
conducono a Cesarea e lo spediscono a casa sua, a Tarso. Finalmente
torna un periodo di pace per la Chiesa. Pietro ora può muoversi. Visita
e incoraggia le nuove comunità, che vanno aumentando e moltiplicandosi.
In questa visita pastorale il suo «palazzo apostolico» sarà la casa di
Simone il conciatore. Qui, a fiuto, lo potranno trovare anche gli
inviati del centurione Cornelio, per «tradurlo» nella casa di un
pagano. La tradizione dice che Pietro rimase circa 12 anni a
Gerusalemme. I suoi precedenti «palazzi» sono stati il Cenacolo, il
tribunale e il carcere, dove tornerà prima di scomparire
definitivamente dalla scena (At 12,1-17). Da allora sarà come Gesù,
Signore suo e dell’universo, che non aveva «sovranità territoriale»
neppure su un sasso dove posare il capo.
L’iconografia
presenta Pietro e Paolo per lo più insieme. Sono i protagonisti degli
Atti. L’intreccio tra le due figure sottolinea la loro unità e
complementarietà. Hanno doni diversi...
Cristiani a parole o con i fatti?
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OREUNDICI
IL QUADERNO DI SETTEMBRE 2013
IL PAPA CHE PARLA DI DIO
L'EDITORIALE di MARIO DE MAIO
Il titolo che abbiamo voluto dare a questo quaderno, senza nessuna
intenzione polemica, vuole riassumere la caratteristica essenziale che
ci pare emergere in questo papa: fa scoprire ad ogni uomo dove è Dio.
Il suo stile fatto di gesti semplici ma profondi, prima delle parole,
fa emergere in ogni uomo di qualunque credo, il “Bene“, il positivo che
ciascuno porta dentro di sè. Etty Hillesum lo chiamava “il pezzetto di
Dio” che c’è dentro di noi, che dobbiamo difendere e far crescere. Come
non credere che lo Spirito Santo, la forza creatrice della vita, come
ci ha insegnato a pensarlo don Carlo Molari, assista e guidi la vita
della Chiesa? Nell’arco di un mese abbiamo assistito a due veri
miracoli: un Papa che ha rinunciato al proprio incarico, con grande
umiltà e consapevolezza, e un gesuita - aggiungo io, “di Dio” -, che ha
preso in mano il timone della barca di Pietro. Adesso dobbiamo
collaborare al terzo miracolo: noi “ cristiani “ dobbiamo impegnarci a
non tradire la passione di papa Bergoglio, che ci invita a creare nel
nostro animo, nei nostri ambiti di lavoro, nelle nostre comunità, una
attenzione speciale al “Bene“, per accoglierlo in tutte le sue infinite
sfumature, per non mortificarlo, per farlo crescere e diffondere con la
nostra creatività...
L'editoriale di Mario De Maio
UN BELLISSIMO ESEMPIO
la semplicità è la sua scelta, la sua verità
di ARTURO PAOLI
Jorge
Mario Bergoglio è certamente un papa molto audace perché in poche
settimane sta rivoluzionando dei secoli di storia, che avevano reso il
Vaticano un’organizzazione molto importante e solenne e di conseguenza
molto distante dalla gente semplice. La trasformazione che sta
praticando altro non è che la continuazione della sua esistenza di
cardinale a Buenos Aires, dove preferiva andare nelle favelas tra la
gente povera, avvicinando quanti cercano faticosamente un cammino per
potergli parlare. Essendo stato addetto al Vaticano per qualche anno e
sapendo come funzionano queste sacre s t a n z e , sono molto felice
nel vedere questo avvicinamento improvviso, questo scendere in mezzo
alla gente, questa semplicità di abiti; tutti dettagli che piacciono
alle persone normali che non amano le persone che abitano un mondo
irraggiungibile e precluso a chi non appartiene ai vip. La lunga
frequentazione che ha avuto nei quartieri poveri di Buenos Aires lo ha
abituato al contatto diretto con le persone e a non stimare l’uomo per
la sua carica, per la sua cultura, per il suo denaro, ma a conoscere la
gente semplice che vive poveramente, che deve lottare per non perdere
il diritto alla vita. Gesù andava dove lo chiamavano e certamente non
frequentava i palazzi reali o del potere, e sono sicuro che anche
quando papa Francesco sarà convocato a incontrare i capi degli Stati
non si preoccuperà di etichette e di abiti ma ci andrà nella sua
semplicità perché realmente non è qualcosa di fittizio, ma è la sua
natura, la sua scelta, la sua verità. Gesù avrebbe dovuto vivere nel
palazzo più sfarzoso della terra essendo il re dei re, ma ha preferito
entrare nelle case povere, dormire come si può e quindi la persona che
lo vuole imitare deve semplificare la sua vita.
Anche le sue parole sono sempre dirette e semplici...
UN BELLISSIMO ESEMPIO di Arturo Paoli
Abbiate il coraggio
di andare
contro corrente.
Abbiate il coraggio
di essere felici.
---------------------------------------
JESUS, settembre 2013
Caro Diogneto - 57
Rubrica di ENZO BIANCHI
COMUNIONE E CONCILIO
Mi
pare doveroso rompere il silenzio che ha accolto la dichiarazione di
mons. Fellay, superiore della Fraternità san Pio X, nel ricordare il
25° dell’ordinazione di quattro vescovi, compiuta da mons. Lefebvre
senza l’autorizzazione papale. Il prelato parla di “gesto eroico” e
ribadisce che “la causa dei gravi errori che stanno demolendo la chiesa
non risiede in una cattiva interpretazione del concilio – in
un’ermeneutica della rottura che si opporrebbe a un’ermeneutica della
riforma nella continuità, come più volte ha dichiarato Benedetto XVI –
ma nei testi stessi del concilio”. È il concilio che viene dunque
rifiutato e condannato in quanto imbevuto di principi modernisti, di
spirito liberale e di un’ecclesiologia che costituisce una rottura e un
misconoscimento della tradizione cattolica. La rottura della comunione
con la sede apostolica petrina è quindi netta ed evidente.
Va
detto che le posizioni teologiche della Fraternità San Pio X sono
ribadite con chiarezza: il vescovo dichiara autorevolmente che i
dialoghi tra le due parti, perseguiti per anni, hanno lasciato le
posizioni come all’inizio della rottura. Così si è giunti a una
situazione singolare e inedita nella storia della chiesa: una piccola
porzione di chiesa si trova in rottura dichiarata con la chiesa e il
suo magistero, ma i vescovi che la presiedono non sono più scomunicati
– avendo Benedetto XVI tolto loro la scomunica – ma non sono neanche in
comunione gerarchica con il papa.
Penso
che papa Francesco non rinnoverà loro la scomunica e lascerà la
Fraternità in questa posizione giuridicamente ambigua, salvo nuove
ordinazioni episcopali illecite: in tal caso gli autori incorrerebbero
automaticamente nella scomunica. Meglio attendere che maturino tempi
nei quali sarà possibile un ritorno alla comunione, attraverso
l’accettazione del concilio Vaticano II come concilio della chiesa
cattolica avente la stessa autorità di tutti altri concili generali.
Anche in questa situazione dolorosa e difficile è cosa buona che il
papa, e tutta la chiesa con lui, attendano con pazienza, senza polemica
e senza opposizioni o disprezzo chi si è allontanato dall’ovile. Di
questa stagione di tentativi per ritrovare la pace ecclesiale e la
comunione ricorderemo comunque la lettera che mons. Augustin Di Noia,
segretario di Ecclesia Dei, ha scritto a mons. Fellay: una lettera di
otto cartelle che traccia una strada per la riconciliazione
contrassegnata da carità e attesa: mai, nell’arbitrato con le parti in
polemica o rottura con la chiesa, è stato scritto un testo così
magnanimo e nello stesso tempo equilibrato, sapiente e ispirato al
vangelo...
COMUNIONE E CONCILIO di Enzo Bianchi
testo integrale della lettera di mons. Augustin Di Noia a mons. Fellay
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CHIESA E SOCIETA'
Interventi ed opinioni
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Pregiatissimo Dottor Scalfari,
è con
viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con
questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica,
mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.
La ringrazio, innanzi tutto, per l’attenzione con cui ha voluto leggere l’Enciclica Lumen fidei.
Essa,
infatti, nell’intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che
l’ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine,
l’ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù
Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un
dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce «un non
credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di
Gesù di Nazareth».
Mi
pare dunque sia senz’altro positivo, non solo per noi singolarmente ma
anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una
realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione
e alla figura di Gesù.
Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.
Esso,
del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del
Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei
Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora
sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio.
La
prima circostanza — come si richiama nelle pagine iniziali
dell’Enciclica — deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità,
si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e
incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse
proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come
il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione.
Così
tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la
cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti
all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha
inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza
preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.
La
seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire
Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è
un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece
un’espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in
proposito un’affermazione a mio avviso molto importante dell’Enciclica:
poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell’amore — vi si
sottolinea — «risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce
nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al
contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi,
è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la
sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la
testimonianza e il dialogo con tutti» (n. 34). È questo lo spirito che
anima le parole che le scrivo...
La verità non è mai assoluta di Papa Francesco
Papa
Francesco ha deciso di rispondere alle domande che gli avevo
indirizzato in due articoli, rispettivamente pubblicati sul nostro
giornale il 7 luglio e il 7 agosto scorsi. Francamente non mi aspettavo
che lo facesse così diffusamente e con spirito così affettuosamente
fraterno. Forse perché la pecora smarrita merita maggiore attenzione e
cura? Lo dico perché negli articoli sopra citati ho precisato al Papa
che io sono un "non credente e non cerco Dio" anche se "sono da molti
anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth,
figlio di Maria e Giuseppe, ebreo della stirpe di David". E più oltre
scrivo che "Dio, secondo me, è un'invenzione consolatoria della mente
degli uomini". Mi permetto di ricordare questa mia posizione di
interlocutore anche perché essa rende ai nostri occhi ancor più
"scandalosamente affascinante" la lettera che Papa Francesco mi ha
inviato, una prova ulteriore della sua capacità e desiderio di superare
gli steccati dialogando con tutti alla ricerca della pace, dell'amore e
della testimonianza.
Ciò
detto, riassumo le domande e le riflessioni che ho fatto e alle quali
il Papa risponde, affinché i lettori abbiano ben chiaro il quadro entro
il quale si svolge questo dialogo.
La pecora smarrita di Eugenio Scalfari
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La lettera di papa Francesco da noi pubblicata ieri ha suscitato in me (ndr. Eugenio Scalfari),
nel nostro direttore Ezio Mauro e in tutti i colleghi una grande
emozione. Penso che la stessa emozione l'abbiano avuta tutti coloro che
l'hanno letta.
Non
parlo di quello che nel nostro linguaggio gergale chiamiamo "scoop".
Gli scoop alimentano le chiacchiere, non il pensiero e qui, leggendo le
parole del Papa, il nostro pensiero è chiamato e stimolato a riflettere
di fronte alla concezione del tutto originale che papa Francesco
esprime sul tema "fede e ragione", uno dei cardini dell'architettura
spirituale, religiosa e teologica della Chiesa. Ma non soltanto della
Chiesa: la cultura moderna dell'Occidente nasce esattamente da quel
tema e papa Francesco lo ricorda nella sua lettera...
Scalfari e la lettera di papa Francesco: "Il coraggio che apre alla cultura moderna"
Eugenio
Scalfari scrive a papa Francesco. E papa Francesco risponde scrivendo
quasi una seconda "enciclica" impostata sul valore del "dialogo e del
rispetto reciproco", ma che contiene - tra l'altro - una semplice
frase, "Dio perdona chi segue la propria coscienza", che se letta con
attenzione potrebbe far cadere i troppi muri che ancora dividono
credenti e non credenti. Una frase non "casuale", mirabile sintesi di
tutte quelle verità evangeliche plasmate dagli insegnamenti di Cristo e
che nessuno potrà leggere con indifferenza e sufficienza.
Quasi
un miracolo, non solo semantico, ma profondamente pastorale perchè si
tratta di una frase che non divide, ma include, unisce, cementa, nel
pieno rispetto del cristianesimo essendo uscita dalla mente e dalla
penna del Papa regnante e indirizzata, in primo luogo al fondatore del
quotidiano La Repubblica Scalfari, ma a tutti, al di là di scelte
religiose, orientamenti politici, ceti sociali e nazionalità.
Potenzialmente concepita per ogni persona e che evoca la celebre frase,
"...a tutti gli uomini di buona volonta'...", con cui nel 1963 Giovanni
XXIII, il papa del Concilio Vaticano II che aprì la Chiesa al
rinnovamento e al dialogo col mondo contemporaneo, presentò l'enciclica
Pacem in terris, delineando la pace come indispensabile crocevia di
sviluppo, di crescita e di progresso civile fatto con amore e rispetto
dell'uomo e del creato.
Nel suo genere, una novità storica, imprevista e sorprendente destinata a scuotere l'opinione pubblica...
Il Papa ai non credenti:"È tempo di dialogo"
Papa
Bergoglio "tocca il nucleo profondo del Cristianesimo". Non dà speranza
"a buon mercato", ma la collega alla ricerca del bene e della
giustizia. Il commento del teologo Vito Mancuso alla lettera
che il Pontefice ha indirizzato a Eugenio Scalfari dalle pagine di
Repubblica
video
Sono
quasi mille gli interventi arrivati sul sito di Repubblica per
commentare la lettera che papa Francesco ha scritto in risposta
alle domande di Eugenio Scalfari. Osservazioni accompagnate
dalla firma o soltanto da uno pseudonimo, che sono state poi
votate e hanno aperto in alcuni casi vivaci confronti. Tanto che
un lettore che si definisce «ex-praticante, forse ancora un po’
credente», ha azzardato: «Caro papa, perché non intervieni anche
tu in questo blog?». Tra critiche ed elogi, riflessioni personali,
pungolature e nuovi interrogativi, ecco alcune delle frasi che
hanno infiammato il dibattito sul web.
Repubblica.it: quei mille commenti al dialogo tra Bergoglio e Scalfari (pdf)
Vedi il nostro precedente post:
- Papa Francesco scrive a Repubblica: La verità non è mai assoluta - Eugenio Scalfari: La pecora smarrita
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La lettera di papa Francesco a Eugenio Scalfari, in risposta alle
domande che il fondatore di Repubblica gli aveva posto in due
differenti editoriali a luglio e agosto sulle pagine del quotidiano,
rilancia quell’apertura della Chiesa al mondo, che era stata la grande
novità del concilio Vaticano II. Ma, al tempo stesso, rilancia anche
l’interesse che il mondo mostra oggi nei confronti della Chiesa, grazie
a papa Bergoglio.
Fin
dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha invitato la Chiesa a non
chiudersi in se stessa, nei propri recinti, ma a uscire verso le
periferie geografiche ed esistenziali. “La malattia tipica della
Chiesa”, ha detto in più occasioni, “è l’autoreferenzialità, il
guardare a se stessi, ripiegati su se stessi”. Anche se questa apertura
comporta qualche rischio, dice il Papa, “preferisco mille volte di più
una Chiesa incidentata che ammalata di autoreferenzialità”.
Il
dialogo a distanza tra papa Francesco ed Eugenio Scalfari, “doveroso e
prezioso” sulla scia del Concilio, ricorda i dialoghi con i non
credenti che il cardinale Carlo Maria Martini – di cui abbiamo appena
ricordato l’anniversario della sua morte - avviò con la “Cattedra dei
non credenti”. Per dialogare, scriveva Martini, “occorre avere simpatia
per l’altro, avvicinarlo con fiducia. Un dialogo sulle cose importanti
della vita è oggi necessario per la sopravvivenza e lo sviluppo delle
culture, soprattutto in Europa”...
DON SCIORTINO: CREDENTI E NON CREDENTI PER IL BENE COMUNE
La grande lezione dell’umiltà che fa incontrare laici e fedeli
di Bruno Forte
(Arcivescovo di Chieti e teologo)
Il
credente è in un certo senso un ateo che ogni giorno si sforza di
cominciare a credere. Se non fosse così, la fede non sarebbe un
rapporto di amore, e perciò di lotta, che si rinnova ogni giorno nella
preghiera, nel servizio a Dio e agli altri. Ricordo quando dissi parole
come queste durante gli esercizi che predicavo a Giovanni Paolo II e lo
vedo ancora accennare più volte di sì con la testa. La lettera di Papa
Francesco a Eugenio Scalfari dà voce a questa convinzione...
Cristiani esperti in umanità
di Enzo Bianchi
(Priore di Bose)
Un
dato raro e prezioso caratterizza la risposta di papa Francesco alle
questioni sollevate da Scalfari: il papa non si è limitato ad affermare
che il dialogo è “espressione intima e indispensabile” nell’esistenza
del credente, ma lo ha intavolato concretamente, avviandosi a
percorrere “un tratto di cammino insieme”. Ci è stata cioè risposta nel
merito, frutto di un ascolto attento dell’interlocutore e di uno sforzo
per la comprensione del suo linguaggio e delle sue ragioni.
Solidamente
radicato nel messaggio evangelico e tenendo il concilio Vaticano II
come bussola, papa Francesco non ha esitato a ritrovare nella più
autentica tradizione della chiesa il rimando decisivo alla voce della
coscienza, insita in ogni essere umano, la testimonianza dell’attesa
cristiana, l’essenzialità della predicazione di Gesù di Nazareth che
svela a tutti e a ciascuno la comune figliolanza rispetto al Padre.
Cristiani esperti in umanità
Lettera del Papa a Scalfari "manifesto" del Cortile dei Gentili
di Gianfranco Ravasi
(Cardinale e presidente del Pontificio Consiglio della Cultura)
La
lettera di Papa Francesco si sofferma in particolare sull'importanza
del dialogo tra credenti e non credenti. Un tema su cui è
particolarmente impegnato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente
del Pontificio Consiglio della Cultura e promotore del "Cortile dei
Gentili". Al microfono di Radio Vaticana, il cardinale Ravasi confida i
sentimenti cui i quali ha accolto questa lettera del Papa.
l'intervista al card. Ravasi di Fabio Colagrande (audio mp3)
Vedi i nostri precedenti post:
- Papa Francesco scrive a Repubblica: La verità non è mai assoluta - Eugenio Scalfari: La pecora smarrita
- Commenti e riflessioni sulla lettera di Papa Francesco a Eugenio Scalfari / 1
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Il Papa che chiama al
telefono è anche il Papa che risponde alle lettere. A mezzo stampa,
quando a mezzo stampa gli vengono recapitate. Lo fa senza rinunciare
al suo stile, che è di dolcezza e insieme di chiarezza. Magari
incastonando in uno scritto che, di per sé, non ha connotazione
ufficiale una limpida professio fidei . «La fede cristiana crede
questo: che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per
aprire a tutti la via dell’amore», si legge infatti nella lunga lettera
– pubblicata ieri in prima pagina da «Repubblica» – che papa Francesco
ha voluto inviare a Eugenio Scalfari.
Un gesto per molti versi sorprendente, ma che nella sostanza ribadisce
il carattere di ascolto, di apertura e di dialogo che è stato da
subito caratteristico del pontificato di Bergoglio.
Alessandro Zaccuri: Credenti e no, sulla stessa strada
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Angelus/Regina Cæli - Angelus, 8 settembre 2013
Omelia - 7 settembre 2013: Veglia di preghiera per la pace
Discorso - Parole del Santo Padre durante la visita al "Centro Astalli" di Roma per il servizio ai rifugiati (10 settembre 2013)
Discorso - Ai partecipanti al Pellegrinaggio internazionale dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (13 settembre 2013)
Udienza - 11 settembre 2013
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SEGNALATI IN FACEBOOK NELLA
NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA" 06/09/2013:
07/09/2013:
09/09/2013:
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10/09/2013:
12/09/2013:
13/09/2013:
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(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel
Vangelo di oggi Gesù insiste sulle condizioni per essere suoi
discepoli: non anteporre nulla all’amore per Lui, portare la propria
croce e seguirlo. Molta gente infatti si avvicinava a Gesù, voleva
entrare tra i suoi seguaci; e questo accadeva specialmente dopo qualche
segno prodigioso, che lo accreditava come il Messia, il Re d’Israele.
Ma Gesù non vuole illudere nessuno. Lui sa bene che cosa lo attende a
Gerusalemme, qual è la via che il Padre gli chiede di percorrere: è la
via della croce, del sacrificio di se stesso per il perdono dei nostri
peccati. Seguire Gesù non significa partecipare a un corteo
trionfale! Significa condividere il suo amore misericordioso, entrare
nella sua grande opera di misericordia per ogni uomo e per tutti gli
uomini.L’opera di Gesù è proprio un’opera di misericordia, di perdono,
di amore! E’ tanto misericordioso Gesù! E questo perdono universale,
questa misericordia, passa attraverso la croce. Gesù non vuole compiere
questa opera da solo: vuole coinvolgere anche noi nella missione che il
Padre gli ha affidato...
in
questo momento in cui stiamo fortemente pregando per la pace, questa
Parola del Signore ci tocca sul vivo, e in sostanza ci dice: c’è una
guerra più profonda che dobbiamo combattere, tutti! E’ la decisione
forte e coraggiosa di rinunciare al male e alle sue seduzioni e di
scegliere il bene, pronti a pagare di persona: ecco il seguire Cristo,
ecco il prendere la propria croce! Questa guerra profonda contro il
male! A che serve fare guerre, tante guerre, se tu non sei capace
di fare questa guerra profonda contro il male? Non serve a
niente! Non
va… Questo comporta, tra l’altro, questa guerra contro il male comporta
dire no all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve; dire no
alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione delle
armi e al loro commercio illegale. Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre
rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là - perché
dappertutto ci sono guerre - è davvero una guerra per problemi o è una
guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale?
Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo
altri interessi se non quelli della pace e del bene comune...
il testo integrale dell'Angelus
video
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S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
9 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
Cristo, fondamento della speranza
La
virtù della speranza – forse meno conosciuta di quella della fede e
della carità – non va mai confusa con l’ottimismo umano, che è un
atteggiamento più umorale. Per un cristiano, la speranza è Gesù in
persona, è la sua forza di liberare e rifare nuova ogni vita. Lo ha
affermato questa mattina Papa Francesco all’omelia della Messa
presieduta presso Casa Santa Marta.
La
speranza è “un dono” di Gesù, la speranza è Gesù stesso, ha il suo
“nome”. Speranza non è quella di chi di solito guarda al “bicchiere
mezzo pieno”: quello è semplicemente “ottimismo”, e “l’ottimismo è un
atteggiamento umano che dipende da tante cose”. L’omelia mattutina di
Papa Francesco si impernia all’inizio su questa distinzione. Lo spunto
viene dalla Lettera nella quale Paolo scrive ai Colossesi “Cristo in
voi, speranza della gloria”. Eppure, obietta il Papa, “la speranza è
una virtù di ‘seconda classe’”, la “virtù umile” se paragonata alle più
citate fede e carità. Per questo può accadere che sia confusa con un
sereno buon umore:
“Ma
la speranza è un’altra cosa, non è ottimismo. La speranza è un dono, è
un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà: ‘Mai delude’. La
speranza mai delude, perché? Perché è un dono che ci ha dato lo Spirito
Santo. Ma Paolo ci dice che la speranza ha un nome. La speranza è Gesù.
Non possiamo dire: 'Io ho speranza nella vita, ho speranza in Dio', no:
se tu non dici: 'Ho speranza in Gesù, in Gesù Cristo, Persona viva, che
adesso viene nell’Eucaristia, che è presente nella sua Parola', quella
non è speranza. E’ buon umore, ottimismo…”.
Dal
Vangelo, Papa Francesco prende poi il secondo spunto del giorno.
L’episodio è quello in cui Gesù guarisce di sabato la mano paralizzata
di un uomo, suscitando la riprovazione di scribi e farisei. Col suo
miracolo, osserva il Papa, Gesù libera la mano dalla malattia e
dimostra “ai rigidi” che la loro “non è la strada della libertà”.
“Libertà e speranza vanno insieme: dove non c’è speranza non può
esserci libertà”,
afferma Papa Francesco. Che soggiunge: “Gesù libera dalla malattia, dal
rigore e dalla mano paralizzata quest’uomo, rifà la vita di questi due,
la fa di nuovo”..
Il Papa: la speranza cristiana non è ottimismo, è molto di più, è Gesù
video
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S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
10 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
no ai cristiani senza il vero Cristo
I
cristiani sono chiamati ad annunciare Gesù senza timore, senza vergogna
e senza trionfalismo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa
di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo l’accento sul
rischio di diventare cristiani senza Risurrezione e ha ribadito che
Cristo è sempre il centro e la speranza della nostra vita.
Gesù
è il Vincitore, Colui che ha vinto sulla morte e sul peccato. Papa
Francesco ha svolto la sua omelia prendendo spunto dalle parole su Gesù
nella Lettera di San Paolo ai Colossesi. A tutti noi, ha detto il Papa,
San Paolo consiglia di camminare con Gesù “perché Lui ha vinto,
camminare in Lui radicati e costruiti su di Lui, su questa vittoria,
saldi nella fede”.
“Ci
sono tanti cristiani senza Risurrezione, cristiani senza il Cristo
Risorto: accompagnano Gesù fino alla tomba, piangono, gli vogliono
tanto bene, ma fino a lì. Pensando a questo atteggiamento dei cristiani
senza il Cristo Risorto, io ne ho trovati tre, ma ce ne sono tanti:
itimorosi, i cristiani timorosi; i vergognosi, quelli che hanno
vergogna; e i trionfalistici. Questi tre non si sono incontrati col
Cristo Risorto!”...
“La
nostra fede, la fede nel Risorto: quello vince il mondo! Andiamo verso
di Lui e lasciamoci, come questi malati, toccare da Lui, dalla sua
forza, perché Lui è con le ossa e con la carne, non è un’idea
spirituale che va… Lui è vivo. E’ proprio Risorto. E così ha vinto il
mondo. Che il Signore ci dia la grazia di capire e vivere queste cose”.
Il Papa: no ad atteggiamenti trionfalistici nella Chiesa, annunciare Gesù senza timore e vergogna
video
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A poco più di due mesi dalla visita a Lampedusa, Papa Francesco torna
in mezzo ai rifugiati e ai profughi per testimoniare la solidarietà
della Chiesa e dare voce alla loro speranza.
Il
papa è arrivato nel primo pomeriggio in visita al Centro Astalli, che è
un servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia nel cuore di Roma, e
si e' intrattenuto per circa un'ora e mezza. Bergoglio
è giunto senza scorta con la sua consueta focus blu, a bordo della
quale c'era il capo della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani. Papa
Francesco oggi non ha rinunciato solo alla scorta ma anche al
"seguito". Il suo percorso è stato identico a quello che ogni giorno
compiono gli immigrati, profughi e rifugiati, che entrano al centro
Astalli per ricevere ospitalità e accoglienza. Francesco è
stato accolto dal cardinale vicario, Agostino Vallini e dal direttore
del centro padre Giovanni La Manna. Erano un centinaio le persone
assiepate lungo le transenne che delimitano l'area: quando il pontefice
(preceduto di poco dal sindaco Marino) è arrivato in tanti lo hanno
chiamato per ricevere un saluto o un gesto. Il pontefice si è
soffermato con alcune persone, parlando e stringendo mani. All'ingresso
della mensa si è intrattenuto con alcuni rifugiati, in gran parte
africani ed ha poi fatto un gesto di saluto verso la folla dei fedeli
che lo hanno applaudito ed acclamato a gran voce. Entrando nel Centro
Astalli il primo gesto di Papa Francesco è stato di avvicinarsi a una
donna incinta dando la benedizione a lei e al bimbo che portava in
grembo. Il Papa è subito stato circondato dalla folla dei rifugiati da
cui si è lasciato abbracciare e ha avuto parole di speranza e di
conforto per ciascuno di loro. L'incontro di Francesco è stato
strettamente privato, giornalisti, fotografi e telecamere non sono
state ammesse all'interno della struttura. Sceso nei locali
che ogni giorno accolgono oltre 400 persone di diverse parti del mondo,
il Papa si è poi intrattenuto con un gruppo di 20 rifugiati, fra cui
una giovane donna del Congo, una coppia con figlio del Camerun, un
giovane calciatore della Somalia, un giornalista perseguitato in
Pakistan e due ragazzi appena giunti dall'Afghanistan.
video
Poi
ha pregato nella cappellina del centro e salutato i medici e i pazienti
dell’ambulatorio. Qualcuno gli ha offerto il mate, la bevanda tipica
argentina, che ha bevuto con piacere. Nella vicina Chiesa del Gesù ha
ascoltato le parole di padre Giovanni La Manna, presidente del
Centro Astalli, che lo ha ringraziato perché “la sua testimonianza e il
suo essere qui con noi ci ricorda l’importanza di essere disponibili
con quanti nella vita hanno già pagato un prezzo altissimo, dovendo
lasciare tutto e affrontando una fuga che troppe volte li espone alla
morte”. Papa Francesco, ha confidato poi padre La Manna, gli ha
telefonato due volte per organizzare personalmente la visita, già
concordata prima di Lampedusa.
Due testimonianze da Siria e Sudan. Quindi la parola è passata a
due testimoni, due storie particolarmente toccanti. Carol,
fuggita dalla Siria un anno fa, insegnante: “I giovani e i bambini per
tanti anni sono stati la mia ragione di vita – ha detto -. Ho sempre
pensato che l’insegnamento e l’educazione fossero una via per la pace.
Ma ogni strada di pace e libertà nel mio Paese sembra essere cancellata
per sempre. I nostri ragazzi sono stati tutti arruolati o uccisi in una
guerra per noi senza senso. Ce li stanno ammazzando tutti. Siamo un
Paese senza futuro”. Carol ha concluso con un appello accorato:
“Abbiamo
bisogno che la comunità internazionale faccia in modo che il popolo
siriano smetta di soffrire per una guerra che non vuole e non
capisce”.Adam,
33 anni, rifugiato sudanese, ha raccontato di quando in guerra ha perso
le sorelle di 4 e 6 anni, morte tra le fiamme, e di quando, costretto
ad arruolarsi, si è trovato il nemico di fronte: “Era mio fratello
maggiore. Ho lanciato per terra il fucile e ho cominciato a correre, a
scappare. La mia fuga è finita in Italia”. Ha poi continuato: "Il
viaggio che noi affrontiamo per chiedere asilo in Europa è un crimine
contro l’umanità.
Eravamo in 170 sulla barca che dalla Libia ci ha portato in Italia.
Ognuno di noi ha pagato 1200 $ per affrontare il mare. Molti di noi
hanno pagato il biglietto per incontrare la morte. Santità la sua voce
è forte. Tutti l’ascoltano. Ci aiuti. Faccia fermare questo
massacro. Chiedere asilo non può essere un tragico modo di perdere
la vita".
Al termine papa Francesco ha tenuto il suo discorso di cui riportiamo alcuni passaggi:
Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio!
Saluto prima di tutto voi rifugiati e rifugiate. Abbiamo ascoltato Adam
e Carol: grazie per le vostre testimonianze forti, sofferte. Ognuno di
voi, cari amici, porta una storia di vita che ci parla di drammi di
guerre, di conflitti, spesso legati alle politiche internazionali.
Ma ognuno di voi porta soprattutto una ricchezza umana e
religiosa, una ricchezza da accogliere, non da temere. Molti di voi
siete musulmani, di altre religioni; venite da vari Paesi, da
situazioni diverse.Non
dobbiamo avere paura delle differenze! La fraternità ci fa scoprire che
sono una ricchezza, un dono per tutti! Viviamo la fraternità! ...
Grazie allora a quanti, come questo Centro e altri servizi, ecclesiali,
pubblici e privati, si danno da fare per accogliere queste persone con
un progetto... a voi, operatori, volontari, benefattori, che non donate
solo qualcosa o del tempo, ma che cercate di entrare in relazione con i
richiedenti asilo e i rifugiati riconoscendoli comepersone,
impegnandovi a trovare risposte concrete ai loro
bisogni. Tenere sempre viva la speranza! Aiutare a recuperare
la fiducia!
Mostrare che con l’accoglienza e la fraternità si può aprire una
finestra sul futuro - più che una finestra, una porta, e ancora di più
-, si può avere ancora un futuro! ...
Servire, accompagnare, difendere: tre parole che sono il programma di lavoro per i Gesuiti e i loro collaboratori. ...
Per tutta la Chiesa è importante che l’accoglienza del povero e la
promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli
“specialisti”, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della
formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di
tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali. In
particolare - e questo è importante e lo dico dal cuore - vorrei
invitare anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con
responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere
con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case,
nei conventi vuoti. Carissimi religiosi e religiose, i conventi
vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare
i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo
che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con più coraggio
e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi
vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio,
responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo
chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò
che la Provvidenza ci ha donato per servire. Superare la tentazione
della mondanità spirituale per essere vicini alle persone semplici e
soprattutto agli ultimi. Abbiamo bisogno di comunità solidali che vivano l’amore in modo concreto! ...
il testo integrale del discorso del S. Padre al centro Astalli
Quindi, dopo aver pronunciato il suo discorso, si è
raccolto nella cappella del centro Astalli a pregare. Prima di lasciare
la struttura, ha salutato i medici e visitato l'ambulatorio, dove gli
sono stati offerti alcuni dolci e il mate, la tradizionale bevanda
argentina. Il Papa ha anche incontrato 250 volontari impegnati nei
centri di accoglienza e poi ha concluso la visita, con un gesto
significativo, accompagnando alcuni copti egiziani a porre dei fiori
sulla tomba di Pedro Arrupe, il fondatore del centro Astalli, nella
Chiesa del Gesù, prima di far rientro in Vaticano.
Nella conferenza stampa finale un
resoconto dettagliato della visita di Papa Francesco al Centro Astalli,
nella Sala Assunta, con padre Federico Lombardi e padre Giovanni La
Manna.
video
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S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
12 giugno 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco: "Nascondi la tua vita con Cristo in Dio"
“L’umanità
sofferente” di Gesù e la “dolcezza” di Maria. Sono i due “poli” cui
deve guardare il cristiano per riuscire a vivere ciò che il Vangelo
chiede. Papa Francesco lo ha affermato all’omelia di questa mattina
presieduta in Messa in Casa Santa Marta.
Il
Vangelo è esigente, chiede “cose forti” a
un cristiano: capacità di perdonare, magnanimità, amore per i nemici…
C’è un solo modo per riuscire a metterle in pratica: “contemplare la
Passione, l’umanità di Gesù” e imitare il comportamento di sua Madre. E
proprio alla Madonna, di cui oggi la Chiesa ne ricorda il “Santo Nome”,
Papa Francesco ha dedicato il primo pensiero dell’omelia. Una volta, ha
detto, la festa odierna era detta del “dolce Nome di Maria”. Poi, la
definizione è cambiata, “ma nella preghiera – ha osservato – è rimasta
questa dolcezza del suo nome”: “Ne
abbiamo bisogno, di dolcezza, oggi, dalla Madonna, per capire queste
cose che Gesù ci chiede, no? Perché questo è un elenco non facile da
vivere. Amate i nemici, fate il bene, prestate senza sperare nulla… A
chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra, a chi ti strappa il
mantello non rifiutare anche la tunica … Ma, sono cose forti, no? Ma
tutto questo, a suo modo, è stato vissuto dalla Madonna: è la grazia
della mansuetudine, la grazia della mitezza”. Anche
S. Paolo, nella Lettera ai Colossesi della liturgia del giorno, invita
i cristiani a rivestirsi di “sentimenti di tenerezza, di bontà, di
umiltà, di mansuetudine”, di sopportazione e perdono reciproco. E qui,
ha commentato Papa Francesco, “la nostra domanda viene subito: ma, come
posso fare questo? Come mi preparo per far questo? Cosa devo studiare
per fare questo?”. La risposta, ha affermato il Papa, “è chiara”: “Noi,
con il nostro sforzo, non possiamo farlo. Noi non possiamo fare questo.
Soltanto una grazia può farlo in noi”. E questa grazia, ha soggiunto,
passa per una strada precisa: “Pensare
a Gesù soltanto. Se il nostro cuore, se la nostra mente è con Gesù, il
trionfatore, quello che ha vinto la morte, il peccato, il demonio,
tutto, possiamo fare questo che ci chiede lo stesso Gesù e che ci
chiede l’Apostolo Paolo: la mitezza, l’umiltà, la bontà, la tenerezza,
la mansuetudine, la magnanimità. Se non guardiamo Gesù, se non siamo
con Gesù non possiamo fare questo. E’ una grazia: è la grazia che viene
dalla contemplazione di Gesù”. In
particolare, ha proseguito Papa Francesco, c’è un aspetto particolare
della vita di Gesù cui deve rivolgersi la contemplazione del cristiano:
la sua Passione, la sua “umanità sofferente”. “E’ così – ha ripetuto
con insistenza – dalla contemplazione di Gesù, della nostra vita
nascosta con Gesù in Dio, possiamo portare avanti questi atteggiamenti,
queste virtù che il Signore ci chiede. Non c’è un’altra strada”...
Il Papa a Santa Marta: per amare il nemico contempla la Passione di Gesù e la dolcezza di Maria
video
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4 Ottobre 2013 Papa Francesco ad Assisi Sarà un momento che scuoterà la storia, sarà un incontro storico
Il
colore della spiritualità francescana che vorrei far brillare è quello
dell’incontro. Mancano infatti pochi giorni alla visita ad Assisi del
pontefice argentino venuto dalla “fine del mondo”. Il primo dopo 800
anni a prendere con audacia e coraggio il nome di Francesco, dopo 264
papi dalla storia della Chiesa e dopo 121 dalla nascita del Poverello
d’Assisi.
I
media di tutto il mondo sono sintonizzati, pronti a registrare il
minimo movimento, quasi come sismografi, perché sarà un momento che
scuoterà la storia, sarà un incontro storico.
Ma
non è solo un incontro destinato agli archivi e a essere ricordato per
sempre ma si tratta anche di un incontro povero. Il poverello d’Assisi
incontra il poverello di Buenos Aires: due uomini che hanno messo al
centro del loro cammino la bussola dell’essenzialità. Non è pauperismo,
il papa ha usato anche il tablet e lo ha usato per inviare una
preghiera a Francesco d’Assisi: era il 2 maggio alle 11.40 “Oh
Francesco d’Assisi, intercedi per la pace dei nostri cuori”.
Sarà
un incontro anche fraterno. Forse non sapremo mai cosa si diranno i due
protagonisti di questo momento nella cripta. Mi viene in mente
un’affermazione del Cardinal John Henry Newman“Coradcorloquitur” il
cuore parla al cuore. Sarà un momento così intimo che amo codificarlo
solamente con l’immagine del cuore. Forse Papa Francesco gli confiderà
le sue preoccupazioni, gli porterà i suoi poveri, gli dirà le
difficoltà che incontra, gli dirà forse “vorrei la chiesa come l’hai
immaginata tu, come l’hai vissuta tu, come l’hai comunicata tu”. E il
Santo di Assisigli parlerà nell’intimo del suo cuore attraverso
quell’emozione che solo i Santi e gli uomini di buona volontà sanno
sperimentare. Inizierebbe con“Oh Signor Papa”, così San Francesco lo
chiamava e lo chiamerebbe. “E’ la chiesa degli ultimi che mi interessa,
è la chiesa della fratenità che mi affascina, è la chiesa che chiama
tutti e tutto Fratello e Sorella, come l’ho immaginata nel Cantico
delle Creature”...
Si incontrano... può bastare per una vita intera
C'è
una stanza nel vescovado di Assisi sconosciuta ai più ma è lì che la
storia di Francesco ha subìto un punto di svolta radicale: è la stanza
cosiddetta della "spoliazione" nella quale il santo si spogliò delle
vesti davanti al vescovo dell'epoca rinunciando non solo ad ogni bene
dell'attonito padre Pietro di Bernardone, ma ad ogni lusinga mondana
nel segno della povertà evangelica. Per la prima volta questa sala sarà
visitata da un pontefice, Papa Francesco, che sarà nella città del
santo a cui ha voluto ispirare il suo pontificato scegliendone il nome,
il prossimo 4 ottobre. Del senso di questa visita e dei segni
innovativi che la caratterizzeranno parla ad Aleteia il vescovo di
Assisi, mons. Domenico Sorrentino.
Sui passi di Francesco: la visita del Papa ad Assisi
"Nelle
prime ore del pontificato di papa Francesco - ha detto monsignor
Sorrentino - gli ho mandato una lettera a nome di tutta la diocesi e
gli ho ricordato che come vescovo di Assisi abito nel luogo dove
Francesco otto secoli fa, davanti agli occhi allibiti del padre Pietro
di Bernardone si spogliò di tutto per rendersi uomo libero per Dio e
per i fratelli. E gli ho mandato questa meditazione pensando che il
papa non avesse nemmeno la possibilità di considerare, tra le tante
cose che riceve". "Poi ci ho parlato e gli ho ricordato questa cosa e
mi sono accorto - ha detto ancora mons. Sorrentino - che questo
dettaglio lo aveva molto toccato. Mi permisi di dire - ha riferito il
vescovo - 'padre allora e' l'occasione buona, tra le tante cose che
farà in quella giornata, di venire almeno a dire quel Padre Nostro che
Francesco disse 800 anni fa'". "Il Santo Padre mi ha detto - ha
continuato mons. Sorrentino - spiazzandomi davvero: 'Il Padre Nostro?
Ma io voglio venire a parlare di come la Chiesa si deve spogliare, cioè
di come deve ripetere in qualche modo il gesto di Francesco e i valori
che questo gesto implica'".
PAPA FRANCESCO AD ASSISI: 'Voglio spiegare come la Chiesa si vuole spogliare'
La mappa del viaggio
il PROGRAMMA (pdf)
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S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
13 giugno 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
se parli male del fratello lo uccidi
Le
chiacchiere uccidono come e più delle armi. Su questo concetto Papa
Francesco è tornato a parlare questa mattina, venerdì 13 settembre,
nella messa celebrata nella cappella di Santa Marta. Commentando le
letture del giorno, tratte dalla lettera a Timoteo (1,1-2.12-14) e dal
Vangelo di Luca (6,39-42), il Pontefice ha posto in evidenza come il
Signore – dopo aver proposto, nei giorni scorsi atteggiamenti quali la
mitezza, l'umiltà e la magnanimità – «oggi ci parla del contrario»,
ovvero di un «atteggiamento odioso verso il prossimo», quello che si ha
quando si diventa «giudici del fratello».
Papa
Francesco ha ricordato l'episodio evangelico nel quale il Gesù
rimprovera colui che pretende di togliere la pagliuzza dall'occhio
dell'altro senza vedere la trave che è nel suo. Questo comportamento,
il sentirsi perfetti e quindi in grado di giudicare i difetti degli
altri, è contrario alla mansuetudine, all'umiltà di cui parla il
Signore, «a quella luce che è tanto bella e che è nel perdonare». Gesù,
ha evidenziato il Santo Padre, usa «una parola forte: ipocrita». E ha
sottolineato: «Quelli che vivono giudicando il prossimo, parlando male del prossimo sono ipocriti.Perché
non hanno la forza, il coraggio di guardare ai propri difetti. Il
Signore non dice su questo tante parole. Poi, più avanti dirà: colui
che ha nel suo cuore l'odio contro il fratello è un omicida. Lo dirà.
Anche l'apostolo Giovanni lo dice molto chiaramente nella sua prima
lettera: chi odia il fratello cammina nelle tenebre. Chi giudica suo
fratello è un omicida». Dunque, ha aggiunto, «ogni volta che
giudichiamo i nostri fratelli nel nostro cuore, o peggio quando ne
parliamo con gli altri, siamo cristiani omicidi». E questo «non lo dico
io, ma lo dice il Signore», ha precisato aggiungendo che «su questo
punto non c'è posto per le sfumature: se parli male del fratello uccidi
il fratello. E ogni volta che facciamo questo imitiamo il gesto di
Caino, il primo omicida».
Ricordando
quanto in questi giorni si parli delle guerre che nel mondo provocano
vittime, soprattutto tra i bambini e costringono molti a fuggire in
cerca di un rifugio, Papa Francesco si è chiesto come sia possibile
pensare di avere «il diritto di uccidere» parlando male degli altri, di
scatenare «questa guerra quotidiana delle chiacchiere». Infatti,
ha detto, «le maldicenze vanno sempre nella direzione della
criminalità. Non ci sono maldicenze innocenti. E questo è Vangelo
puro». Dunque «in questo tempo che chiediamo tanto la pace è necessario
forse un gesto di conversione». E ai “no” contro ogni tipo di arma
diciamo «no anche a questa arma» che è la maldicenza perché
«è mortale». Citando l'apostolo Giacomo il Papa ha ricordato che la
lingua «è per lodare Dio». Ma, ha aggiunto, «quando usiamo la lingua
per parlare male del fratello e della sorella la usiamo per uccidere
Dio» perché l'immagine di Dio è nel nostro fratello, nella nostra
sorella; distruggiamo «quella immagine di Dio»...
Dalle chiacchiere malevole all'amore verso il prossimo
video
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Sei mesi fa veniva eletto Papa
Francesco. Sei mesi intensi, segnati da decisioni forti, prima tra
tutte lo spostamento della residenza pontificia dal Palazzo apostolico
a Santa Marta, da dove quotidianamente ci giungono i commenti del Papa
sulla Messa del giorno. E poi il progetto di Riforma della Curia Romana
e – sulla scia di Benedetto XVI – l’opera di trasparenza finanziaria
delle attività economiche vaticane. Ma quali sono le principali novità
di questo pontificato? Sergio Centofanti lo ha chiesto al
direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi
RADIO VATICANA: Sei mesi fa l'elezione di Papa Francesco, il commento di padre Lombardi
Sono passati sei mesi
dall’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio alla Cattedra di
Pietro, avvenuta il 13 marzo scorso. Un periodo breve eppure
intensissimo tanto che, per sentire comune, sembra che Papa Francesco
sia con noi da un tempo molto più lungo e sia ormai una figura
familiare. E’ questa un’opinione condivisa anche da Gianni
Valente, collega dell’agenzia “Fides” legato a Jorge Mario Bergoglio da
una lunga amicizia. Alessandro Gisotti lo ha intervistato
RADIO VATICANA: Sei mesi con Papa Francesco. Gianni Valente: sta portando al mondo la tenerezza di Dio
Dalla sua elezione niente è
stato più come prima. I media si contendono le sue immagini, gli
ascolti si impennano. Parole semplici, contatto continuo con i fedeli e
la gente ha di nuovo fiducia: il sondaggio Demopolis
REPUBBLICA: La rivoluzione di Francesco
Francesco, incontrando don Dario
Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, ha spiegato: «Dica ai
giornalisti che le mie telefonate non sono una notizia. E meno male che
non sanno le altre»
Antonio Sanfrancesco: E il Papa rivela: «Non sanno tutte quelle che ho fatto»
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