"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"




 NEWSLETTER n°38 del 2013

Aggiornamento della settimana

- dal 14 al 20 settembre 2013 -

 

                                    Prossima NEWSLETTER prevista per il 27 settembre 2013          


 
 



IL VANGELO DELLA DOMENICA 


LECTIO DIVINA

 a cura di Fr. Egidio Palumbo




OMELIA 

    di P. Gregorio Battaglia
  di P. Aurelio Antista
  di P. Alberto Neglia

 
N. B. La Lectio viene sospesa nel periodo estivo



NOTA

Articoli, riflessioni e commenti proposti vogliono solo essere
un contributo alla riflessione e al dialogo su temi di attualità.

Le posizioni espresse non sempre rappresentano l’opinione di "TEMPO PERSO" sul tema in questione. 







L'intervista a Papa Francesco

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L'intervista a Papa Francesco di padre Antonio Spadaro direttore di Civiltà Cattolica


Cari amici, come avrete saputo su La Civiltà Cattolica è apparsa una mia lunga intervista a papa Francesco...
Intervistare il Santo Padre è stata una esperienza spirituale e umana unica, come potrete immaginare. Ciò che di lui mi colpisce è l’immediatezza del messaggio: davanti a lui si avverte l’autorevolezza della figura e nello stesso tempo non si avverte alcuna “distanza”.
L’intervista si è svolta a fine agosto. Abbiamo dialogato per oltre 6 ore. il Papa ha parlato della sua vita come gesuita, dei suoi modelli di riferimento, della stessa Compagnia di Gesù oggi. Poi risponde sulla sua visione della Chiesa, sul suo modo ideale di riforma, sulla vita religiosa e sulla spiritualità, su come sia possibile oggi vivere la fede e la missione. Ma ha parlato molto anche di sé: di come vede se stesso, di come prega, dei suoi gusti artistici, letterari e musicali. Ne emerge un ritratto a tutto tondo che fornisce importanti chiavi di lettura del suo Pontificato e della sua visione della Chiesa...

   Su La Civiltà Cattolica la mia intervista a Papa Francesco

Per gentile concessione di "Civiltà Cattolica" pubblichiamo il testo integrale dell'intervista del direttore padre Antonio Spadaro a papa Francesco.

È lunedì 19 agosto. Papa Francesco mi ha dato appuntamento alle 10,00 in Santa Marta. Io però eredito da mio padre la necessità di arrivare sempre in anticipo. Le persone che mi accolgono mi fanno accomodare in una saletta. L’attesa dura poco, e dopo un paio di minuti vengo accompagnato a prendere l’ascensore. Nei due minuti ho avuto il tempo di ricordare quando a Lisbona, in una riunione di direttori di alcune riviste della Compagnia di Gesù, era emersa la proposta di pubblicare tutti insieme un’intervista al Papa. Avevo discusso con gli altri direttori, ipotizzando alcune domande che esprimessero gli interessi di tutti. Esco dall’ascensore e vedo il Papa già sulla porta ad attendermi. Anzi, in realtà, ho avuto la piacevole impressione di non aver varcato porte.
Entro nella sua stanza e il Papa mi fa accomodare su una poltrona. Lui si siede su una sedia più alta e rigida a causa dei suoi problemi alla schiena. L’ambiente è semplice, austero. Lo spazio di lavoro della scrivania è piccolo. Sono colpito dalla essenzialità non solamente degli arredi, ma anche delle cose. Ci sono pochi libri, poche carte, pochi oggetti. Tra questi un’icona di San Francesco, una statua di Nostra Signora di Luján, Patrona dell’Argentina, un crocifisso e una statua di san Giuseppe dormiente, molto simile a quella che avevo visto nella sua camera di rettore e superiore provinciale presso il Colegio Máximo di San Miguel. La spiritualità di Bergoglio non è fatta di «energie armonizzate», come le chiamerebbe lui, ma di volti umani: Cristo, san Francesco, san Giuseppe, Maria.
Il Papa mi accoglie col sorriso che ormai ha fatto più volte il giro del mondo e che apre i cuori...

(riportiamo di seguito solo qualche passaggio della lunga intervista)

Ho la domanda pronta, ma decido di non seguire lo schema che mi ero prefisso, e gli chiedo un po’ a bruciapelo: «Chi è Jorge Mario Bergoglio?». Il Papa mi fissa in silenzio. Gli chiedo se è una domanda che è lecito porgli… Lui fa cenno di accettare la domanda e mi dice: «non so quale possa essere la definizione più giusta… Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore».
Il Papa continua a riflettere, compreso, come se non si aspettasse quella domanda, come se fosse costretto a una riflessione ulteriore.
«Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”». E ripete: «io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me».
Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: «Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi».
E aggiunge: «il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando»
...
Papa Benedetto XVI, annunciando la sua rinuncia al Pontificato, ha ritratto il mondo di oggi come soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede che richiedono vigore sia del corpo, sia dell’anima. Chiedo al Papa, anche alla luce di ciò che mi ha appena detto: «Di che cosa la Chiesa ha più bisogno in questo momento storico? Sono necessarie riforme? Quali sono i suoi desideri sulla Chiesa dei prossimi anni? Quale Chiesa “sogna”?». Papa Francesco, cogliendo l’incipit della mia domanda, comincia col dire: «Papa Benedetto ha fatto un atto di santità, di grandezza, di umiltà. È un uomo di Dio», dimostrando un grande affetto e una enorme stima per il suo predecessore. «Io vedo con chiarezza — prosegue — che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».
«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate».
«Come stiamo trattando il popolo di Dio? Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade». «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio».
Raccolgo ciò che il Santo Padre sta dicendo e faccio riferimento al fatto che ci sono cristiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa o comunque in situazioni complesse, cristiani che, in un modo o nell’altro, vivono ferite aperte. Penso a divorziati risposati, coppie omosessuali, altre situazioni difficili. Come fare una pastorale missionaria in questi casi? Su che cosa far leva? Il Papa fa cenno di aver compreso che cosa intendo dire e risponde.
«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta». «Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».
«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». «Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».
«Dico questo anche pensando alla predicazione e ai contenuti della nostra predicazione. Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso. L’omelia è la pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo, perché chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio. Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù».
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«Come conciliare in armonia primato petrino e sinodalità? Quali strade sono praticabili, anche in prospettiva ecumenica?».
«Si deve camminare insieme: la gente, i Vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico, specialmente con i nostri fratelli Ortodossi. Da loro si può imparare di più sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità. Lo sforzo di riflessione comune, guardando a come si governava la Chiesa nei primi secoli, prima della rottura tra Oriente e Occidente, darà frutti a suo tempo. Nelle relazioni ecumeniche questo è importante: non solo conoscersi meglio, ma anche riconoscere ciò che lo Spirito ha seminato negli altri come un dono anche per noi. Voglio proseguire la riflessione su come esercitare il primato petrino, già iniziata nel 2007 dalla Commissione Mista, e che ha portato alla firma del Documento di Ravenna. Bisogna continuare su questa strada». Cerco di capire come il Papa veda il futuro dell’unità della Chiesa. Mi risponde: «dobbiamo camminare uniti nelle differenze: non c’è altra strada per unirci. Questa è la strada di Gesù».
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Allora, chiedo: «Quale deve essere il ruolo della donna nella Chiesa? Come fare per renderlo oggi più visibile?». «È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Temo la soluzione del “machismo in gonnella”, perché in realtà la donna ha una struttura differente dall’uomo. E invece i discorsi che sento sul ruolo della donna sono spesso ispirati proprio da una ideologia machista. Le donne stanno ponendo domande profonde che vanno affrontate. La Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. Maria, una donna, è più importante dei Vescovi. Dico questo perché non bisogna confondere la funzione con la dignità. Bisogna dunque approfondire meglio la figura della donna nella Chiesa. Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. Solo compiendo questo passaggio si potrà riflettere meglio sulla funzione della donna all’interno della Chiesa. Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa».
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Pongo al Papa un’ultima domanda sul suo modo di pregare preferito. «Prego l’Ufficio ogni mattina. Mi piace pregare con i Salmi. Poi, a seguire, celebro la Messa. Prego il Rosario. Ciò che davvero preferisco è l’Adorazione serale, anche quando mi distraggo e penso ad altro o addirittura mi addormento pregando. La sera quindi, tra le sette e le otto, sto davanti al Santissimo per un’ora in adorazione. Ma anche prego mentalmente quando aspetto dal dentista o in altri momenti della giornata». «E la preghiera è per me sempre una preghiera “memoriosa”, piena di memoria, di ricordi, anche memoria della mia storia o di quello che il Signore ha fatto nella sua Chiesa o in una parrocchia particolare. Per me è la memoria di cui sant’Ignazio parla nella Prima Settimana degli Esercizi nell’incontro misericordioso con Cristo Crocifisso. E mi chiedo: “Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo?”. È la memoria di cui Ignazio parla anche nella Contemplatio ad amorem, quando chiede di richiamare alla memoria i benefici ricevuti. Ma soprattutto io so anche che il Signore ha memoria di me. Io posso dimenticarmi di Lui, ma io so che Lui mai, mai si dimentica di me. La memoria fonda radicalmente il cuore di un gesuita: è la memoria della grazia, la memoria di cui si parla nel Deuteronomio, la memoria delle opere di Dio che sono alla base dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. È questa memoria che mi fa figlio e che mi fa essere anche padre».

   La Chiesa, l'uomo, le sue ferite: l'intervista a papa Francesco


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L'intervista a Papa Francesco - Riflessioni e commenti / 1


«Intervista? Macché intervista, è stata un’esperienza di vita spirituale, il Papa non si intervista». 
«Ero andato lì con delle domande, registratore, carta e penna, ma ho subito smesso di prendere appunti. Ascoltavo, io gesuita e direttore di Civiltà Cattolica, il Papa, il primo Papa gesuita, la commozione e l’interesse hanno preso il sopravvento». Inutile fare i complimenti a padre Antonio Spadaro per lo scoop mondiale – dal sito del «New York Times» a twitter, old e new media paralizzati dal suo colloquio con papa Francesco - la sola cosa che gli stia a cuore, nel bailamme delle telefonate, delle mail, dei visitatori che bussano al suo studio romano, è «che cosa il Papa ha detto, il suo messaggio, il suo tono. Se facciamo a pezzetti quel che dice per un titolo qui, un titolo lì, ne disperdiamo le verità». ..
Spadaro si commuove perché il Papa gli dice «Dio sta prima… sempre…Dio è un po’ come il fiore del mandorlo della tua Sicilia… che fiorisce …per primo» e riflette quando papa Francesco rivoluziona, con un sorriso, biblioteche teologiche secolari... 

     Non è stato un colloquio ma una lezione spirituale” 

Ecco, questo sono io: un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi». Nella sua lunga intervista, raccolta dal confratello gesuita padre Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà Cattolica" e pubblicata dalle riviste dei gesuiti nel mondo, il Papa risponde così alla domanda: «Chi è Jorge Mario Bergoglio?». Domanda diretta, e persino impertinente, da fare a un Papa. In questo caso, però, è una domanda singolarmente pertinente, e quasi inevitabile. Tutti sentiamo, infatti, che c’è un legame particolarmente diretto tra il fondo dell’anima di quest’uomo che è diventato Papa e il suo modo di confermarci nella tradizione della fede che abbiamo ricevuto, ancorata sin dall’inizio alla roccia di Pietro. Tutti i commentatori, nella diversità del loro orientamento religioso o laico, ci comunicano questa intuizione di fondo: il papa Francesco, mentre ci istruisce e ci ammonisce sul modo con cui la fede della Chiesa deve toccare il cuore dell’uomo (di ogni uomo, dell’uomo che c’è ora, secolarizzato e vaccinato, e anche dato per perso) fa sempre intravedere il modo in cui questa fede lo tocca nella sua stessa sensibilità. Nel gesto, nella parola, nel tratto, nel lampo improvviso e sorpreso dello sguardo. 

     Il tocco di Dio

Non è forse un caso che la lunga intervista a Papa Francesco, realizzata da Antonio Spadaro e che ha fatto subito il giro del mondo, sia uscita alla vigilia di una data importante nella vita di Jorge Mario Bergoglio. Come il vescovo di Roma ha confidato ai suoi preti, fu proprio nella festa di san Matteo di sessant’anni fa — era il 21 settembre 1953 — che all’improvviso scoprì la propria vocazione. Il diciassettenne si confessò e, come ha raccontato a Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, «mi capitò una cosa strana. Non so cosa fosse esattamente, ma mi cambiò la vita».
È lì la radice del gesuita e del vescovo che poi volle come suo motto episcopale una singolare espressione latina usata dal monaco Beda per descrivere la chiamata dell’apostolo Matteo, quando Gesù «ebbe misericordia di lui e lo scelse» (miserando atque eligendo). Espressione che esprime perfettamente il cuore del Papa, manifestato con chiarezza nell’intervista: la coscienza di essere amato da Dio e l’esigenza di rispondere a questo sguardo.

     Il cuore del Papa

Vedi anche il precedente post:
  • L'intervista a Papa Francesco di padre Antonio Spadaro direttore di Civiltà Cattolica


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Circa sei ore di colloquio, in tre diverse giornate,  per raccontare se stesso. Papa Francesco ha scelto  padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica,  per una serena conversazione con tutti i suoi confratelli gesuiti. L’intervista fiume che  è scaturita dagli incontri del 19, 23 e 29 agosto nello studio privato del Pontefice a Santa Marta — come ha sottolineato l’intervistatore — è infatti stata destinata in primo luogo alle riviste di cultura che la Compagnia di Gesù diffonde nel mondo.  Ne esce un’immagine inedita di Papa Francesco, originale soprattutto perché è lui stesso a dettarne i contorni.

  L'OSSERVATORE ROMANO:  Nel segno della misericordia

Solo un popolo giovane che nutre grandi speranze e non è oppresso dalle incrostazioni della storia, può comprendere il senso e la ricchezza dell’intervista al Papa .  
Un’intervista tipica di un’alta figura che non ha nostalgia del passato, guarda con fiducia alla condizione umana, non riflette i giudizi negativi sulla società contemporanea perlopiù sin qui espressi dal magistero della Chiesa, non ritiene che la fine di un mondo coincida con la fine del mondo.

  Franco Garelli:  La modernità della fede

La novità di papa Francesco l'avevamo negli occhi ma fino a ieri non c'era la parola per dirla, ora l'abbiamo ed è questa: prima il Vangelo e poi la dottrina. Quel primato è affermato con chiarezza nell'intervista alle riviste dei Gesuiti e può essere interpretata come una parola d'ordine mirata a superare vecchi bastioni, perché - dice Bergoglio - è tempo di «aprire nuovi spazi a Dio», partendo dalla certezza che egli è «in ogni vita umana» ...

  Luigi Accattoli:  Il ruolo delle donne, il primato del Vangelo

 «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha piùbisogno oggi è la capacitàdi curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso». È un'intervista storica, quella che Papa Francesco ha concesso a padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica. Sei ore di colloquio, ventinove pagine...

  Gian Guido Vecchi:   Il Papa apre ai divorziati e alle donne che hanno abortito: «Misericordia, non tortura»

... Ecco, la Chiesa che Papa Francesco vuole non è una Chiesa che cambia la sua natura o mette in soffitta i suoi dogmi. È una Chiesa capace di mostrare il volto della misericordia e si concentra nel suo annuncio «sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus...»...

  Andrea Tornielli:  Le gentili picconate di papa Francesco

In un'intervista alla rivista dei gesuiti di Roma, Jorge Mario Bergoglio scioglie l'enigma del suo silenzio sulla rivoluzione antropologica in atto. Che investe il nascere, il morire, il generare, l'intera natura dell'uomo

  Sandro Magister:  Le confessioni del papa venuto da lontano

Fratelli contrordine: la modernità non è il male, la Chiesa e la teologia si devono adeguare ai tempi, la Curia romana non può emanare solo censure dottrinarie, aborto e matrimoni gay non sono argomenti poi così importanti; anzi, su materie come queste la posizione della Chiesa è nota, dunque è inutile starla a ripetere in continuazione. E poi Dio non giudica le persone omosessuali o chi divorzia, le norme canoniche non sono tutto, l’essenziale, per un prete, è comprendere, accogliere, capire la storia delle persone.
Papa Francesco ridefinisce i parametri culturali della Chiesa nell’età moderna, e lo fa in un’intervista che si dovrebbe definire storica se non ci fosse il timore che un simile aggettivo risulti fin troppo abusato per un pontificato che sembra destinato a cambiare tutto, o quasi tutto, nel modo d’essere della Chiesa.

  Francesco Peloso:  Francesco distrugge vent'anni di ideologia della Cei

In una giornata in cui certo non mancavano le notizie – specie quelle brutte che piu’ delle altre qui come in tutto il mondo tendono ad avere la precedenza nel riempire le prime pagine – Papa Francesco e la sua intervista fiume hanno conquistato l’apertura di siti internet e telegiornali scalzando l’indagine sul colpevole della strage di Washingtion, le alluvioni in Colorado e perfino il rapporto ONU, appena uscito, sulle armi chimiche di Assad.
Di fatto, delle 12000 parole pubblicate da “La Civilta’ Cattolica” e simultaneamente da altre 16 testate gesuite in tutto il mondo tra cui la statunitense “America”, sono proprio quelle riferite ai comportamenti sessuali – verso le quali, almeno qui, la Chiesa cattolica era percepita come ermeticamente chiusa - ad essere citate a caratteri cubitali; subito dopo quelle sulle donne e l’importanza del loro “genio” nella Chiesa moderna.

  Stefano Salimbeni:  USA: il Papa in prima pagina




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I NOSTRI TEMPI




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Unicef: dimezzata dal '90 mortalità infantile, ma ogni anno ne muoiono ancora 18mila prima dei cinque anni.


Nel 2012, circa 6,6 milioni di bambini in tutto il mondo - 18.000 ogni giorno - sono morti prima di aver compiuto cinque anni. È quanto dichiara il nuovo rapporto presentato oggi da dall''Unicef, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Banca Mondiale e Dipartimento degli Affari sociali ed Economici delle Nazioni Unite- Divisione Popolazione. Questo numero rappresenta circa la metà del numero di bambini sotto i cinque morti nel 1990, che in quell'anno è stato di oltre 12 milioni. Un nuovo rapporto, dunque, che sottolinea come se l'attuale tendenza del tasso di mortalità infantile continuerà di questo passo, il mondo non raggiungerà l'Obiettivo di Sviluppo del Millennio numero 4 - ridurre il tasso di mortalità dei bambini sotto i 5 anni di due terzi entro il 2015 rispetto ai livelli del 1990. Anzi se il trend attuale proseguirà, l'obiettivo non sarà raggiunto prima del 2028.
Il costo di un'azione troppo lenta. Se la comunità internazionale non agirà immediatamente per velocizzare i progressi, 35 milioni di bambini in più potrebbero morire... 

   Bambini, ne muoiono troppi Sono 18 mila ogni giorno

Dal sito dell'UNICEF:

   Mortalità infantile, nuovi dati: dal 1990 dimezzati i decessi sotto i 5 anni

Il rapporto sull’andamento della mortalità dei bambini di meno cinque anni per il periodo compreso tra il 1990 e il 2012, pubblicato oggi dal Fondo Onu per l’Infanzia (Unicef), ha messo in luce risultati anche molto contrastanti da una regione all’altra del mondo e all’interno dello stesso continente. Globalmente, in 22 anni, si è passati da circa 12 milioni e 600.000 piccole vittime a sei milioni e 600.000 nel 2012. Da una parte ci sono stati paesi virtuosi – tra cui Bangladesh e Nepal in Asia, Etiopia, Liberia, Malawi e Tanzania in Africa – che sono riusciti a ridurre il tasso di due terzi e dall’altra quelli rimasti indietro, per lo più in Africa centrale ed occidentale. La MISNA ha contattato a Dakar Guido Borghese, consulente dell’Unicef per l’ufficio regionale dell’Africa occidentale e centrale...

   LOTTA ALLA MORTALITÀ INFANTILE, SFIDE E SPERANZE



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Paura, pregiudizio e... l'onestà che non "fa notizia"!


Essere inseguiti per strada è una cosa che fa paura un po' a tutti, specie se a usare clacson, lampeggianti e frecce per fare segno di fermarsi sono tre stranieri scuri di pelle, che nel racconto di molti media italiani sono quasi sempre pericolosi e potenziali delinquenti. Non ha fatto eccezione Efisio Leori, 67 anni, ristoratore di Domus de Maria, che rientrava da una visita fatta al fratello e in quella occasione aveva scordato il portafogli sopra il cofano di una macchina.
Ebbene i tre inseguitori, tre pakistani, non avevano alcuna intenzione di picchiare o derubare lo spaventatissimo signor Efisio, anzi volevano restituirgli quello che aveva scordato, compreso dei 200 euro che conteneva, della patente e delle carte di credito. Insomma, una storia che dimostra come il luogo comune dell'"immigrato criminale" sia, appunto, un luogo comune, ma che ci fa anche riflettere sull'atteggiamento dei nostri mezzi di informazione. Sempre pronti, nella maggior parte dei casi, a raccontare la storia dello straniero stupratore, ladro o spacciatore, ma che invece non danno nessun rilievo ad eventi come questi...

   Tre pakistani inseguono sardo per ridargli portafogli



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Don Luigi Ciotti: “riparte il futuro” contro la corruzione (video)


Don Luigi Ciotti: perché è importante firmare 
“riparte il futuro” contro la corruzione

   video

Don Luigi Ciotti, promotore con Libera e Gruppo Abele della campagna Riparte il futuro, invita tutti a firmare.
“Contro la corruzione ci sono tre parole che non possiamo solo leggere con gli occhi, le dobbiamo fare nostre – dice don Ciotti – Sono: ‘continuità’, da parte di tutti, non possiamo essere cittadini a intermittenza. La seconda parola è ‘condivisione’. E’ il noi che vince, costruire insieme, camminare insieme. La terza è ‘corresponsabilità’. Il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi [...] Riparte il futuro non è solo qualcosa di sporadico, ma ci accompagnerà e deve accompagnarci in questa grande scommessa: che è possibile cambiare pagina. [...] È un progetto che vuole ridare speranza.”

   FIRMA LA PETIZIONE

Guarda il nostro post precedente:
  • Dichiarazione di don Luigi Ciotti sull'approvazione nuovo 416ter sullo scambio elettorale politico-mafioso


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SCUOLA

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LETTERA DI INIZIO ANNO di Alessandro D’Avenia "C’eri una volta tu"



LETTERA DI INIZIO ANNO
C’eri una volta tu

di Alessandro D'Avenia



Ragazzo che ti abbatti sul banco come una balena spiaggiata, con quegli occhi annebbiati dalla noia e dalla forza ingabbiata in una stanza per cinque ore, che dobbiamo fare tu e io di quest’anno scolastico? Ragazza tutta in fioritura assetata di essere vista, guardata, amata, dal cervello mai in pace, con le orecchie a caccia di qualcosa che possa servirti ad essere felice, che dobbiamo fare tu e io di quest’anno scolastico? Che ne sapete voi due adesso dell’io di domani?
Che ne sapete voi due dell’amore che cercate? Che ne sapete voi due del senso da dare alla vita se state scoprendo adesso che la vita ha un senso, si inarca, si stira, si tende dentro di voi come neanche voi sapete come, ma con tutto il dolore del caso. Ragazzo dalla maschera inespressiva, incapace di raccontare i tuoi sentimenti se non nascondendoli dietro uno strato di spacciata sicurezza, che dobbiamo farne di queste lezioni di italiano?
Ragazza dalla maschera fin troppo espressiva, con quel trucco che dovrebbe segnalare quanto sei bella e segnala quanto hai paura di essere fragile, che dobbiamo farne di Catullo, Virgilio e Dante?
A che mai ci servirà passare centinaia di ore insieme a parlare di bellezza, dolore, amore, futuro, passato, presente, parole, terra, pelle, occhi, cervello, cuore, dita, occhi, orecchie e del che farci con tutte queste cose di cui la vita ci ha dotato senza il nostro permesso?
Come si fa, ragazzo, ragazza, a raggiungerti dove te ne stai rintanato? Come si fa a metterti sotto gli occhi quella bellezza unica e in costruzione che cerchi a tutti i costi di nascondere tanto fa male non esserle all’altezza? Come si fa a spiegarti che tra gli 80 miliardi di esseri umani che hanno calpestato il suolo non ce n’è uno o una come te? Come si fa a farti credere che sei la tua biografia, ma che sei soprattutto la tua autobiografia? Come posso io insegnante mostrarti sulla mappa geografica del desiderio che le terre di tua conquista sono ancora da scoprire? Come posso aiutarti a costruire il mezzo migliore per raggiungerle? Come faccio a sapere se sei fatto o fatta per una nave, per una bicicletta o per andare a piedi?...

   "C’eri una volta tu" di Alessandro D’Avenia 



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"Il primo giorno che vorrei" di Alessandro D'Avenia


Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi dicessero se tornassi studente? Il racconto delle vacanze? No. Quelle dei miei compagni? No. Saprei già tutto. Devi studiare? Sarà difficile? Bisognerà impegnarsi di più? No, no grazie. Lo so. Per questo sto qui, e poi dall’orecchio dei doveri non ci sento. Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga almeno un po’ voglia di cominciarlo, quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento benissimo.
Dimostratemi che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarvi. Ditemi per favore che tutto questo c’entra con la vita di tutti i giorni, che mi aiuterà a capire meglio il mondo e me stesso, che insomma ne vale la pena di stare qua. Dimostratemi, soprattutto con le vostre vite, che lo sforzo che devo fare potrebbe riempire la mia vita come riempie la vostra. Avete dedicato studi, sforzi e sogni per insegnarmi la vostra materia, adesso dimostratemi che è tutto vero, che voi siete i mediatori di qualcosa di desiderabile e indispensabile, che voi possedete e volete regalarmi. Dimostratemi che perdete il sonno per insegnare quelle cose che – dite – valgono i miei sforzi. Voglio guardarli bene i vostri occhi e se non brillano mi annoierò, ve lo dico prima, e farò altro. Non potete mentirmi. Se non ci credete voi, perché dovrei farlo io?
E non mi parlate dei vostri stipendi, del sindacato, della Gelmini, delle vostre beghe familiari e sentimentali, dei vostri fallimenti e delle vostre ossessioni. No. Parlatemi di quanto amate la forza del sole che brucia da 5 miliardi di anni e trasforma il suo idrogeno in luce, vita, energia. Ditemi come accade questo miracolo che durerà almeno altri 5 miliardi di anni. Ditemi perché la luna mi dà sempre la stessa faccia e insegnatemi a interrogarla come il pastore errante di Leopardi. Ditemi come è possibile che la rosa abbia i petali disposti secondo una proporzione divina infallibile e perché il cuore è un muscolo che batte involontariamente e come fa l’occhio a trasformare la luce in immagini. Ci sono così tante cose in questo mondo che non so e che voi potreste spiegarmi, con gli occhi che vi brillano, perché solo lo stupore conosce.
E ditemi il mistero dell’uomo...

   Il primo giorno che vorrei di Alessandro D'Avenia



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FEDE E
SPIRITUALITA'





DA UNA CHIESA TRIONFANTE

AD UNA CHIESA MENDICANTE

A 50 ANNI DAL CONCILIO VATICANO II

HOREB n. 64 - 1/2013


TRACCE DI SPIRITUALITA'
A CURA DEI CARMELITANI

"Sono passati 50 anni dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II ed è importante fare memoria, cioè far presente quell’evento per riviverlo, perché può accadere che, passata la generazione di coloro che vi hanno partecipato o che hanno vissuto da vicino la svolta epocale da esso avviata per la vita della Chiesa, la sua memoria venga meno e si dimentichino gli orientamenti e le prospettive da esso offerti.
Il Vaticano II, infatti, pur essendo in piena continuità con la fede e la vita della Chiesa è stato certamente un evento che ha risposto con le sue scelte ad attese importanti presenti nella comunità cristiana e nel mondo.
Il Vaticano II, dopo duemila anni nel corso dei quali il cristianesimo si era sostanzialmente identificato con la cultura europea, apriva la Chiesa a una piena incarnazione nella vita e nella cultura di tutti i popoli, restituendole un’autentica cattolicità e rendendola veramente universale: piena continuità con il passato, con la fede apostolica trasmessaci attraverso le diverse generazioni, e insieme nuovi decisivi orientamenti nei confronti degli ebrei, dei cristiani non cattolici, dei credenti delle altre religioni, ma anche all’interno della comunità cristiana per quanto concerne la liturgia, la centralità della Scrittura, la collegialità e la sinodalità come forma e stile di governo, il riconoscimento del valore e della centralità della persona umana e della sua coscienza.
Gli orientamenti e le decisioni del Concilio Vaticano II, sebbene accolti abbastanza pacificamente all’interno della comunità ecclesiale, purtroppo non sono stati conosciuti e meditati a sufficienza, in questi cinquant’anni nelle varie comunità cristiane.
La riflessione che proponiamo a più voci, nel presente quaderno, vuole essere l’occasione provvidenziale per riprendere in mano quei documenti e cercare di recepire, nello “spirito del Concilio”, un’immagine di Chiesa a noi frati carmelitani più consona: quella “mendicante”, dove è fondamentale vivere uno stile di vita povero, fraterno, itinerante, accogliente e di condivisione della vita del popolo. Si tratta di riattualizzare il sogno di Papa Giovanni di una Chiesa “che si fa  popolo”: «La Chiesa Cattolica – affermava in una omelia del 13 novembre 1960 – non è un museo di archeologia. Essa è l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato»...  (EDITORIALE)


   Editoriale (pdf)

   Sommario (pdf)


E' possibile richiedere copie-saggio gratuite:
CONVENTO DEL CARMINE
98051 BARCELLONA P.G. (ME)
E-mail: horeb.tracce@alice.it



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  Ecco che cosa...
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  Dio è gioioso...
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  Il perdono è...
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  ESALTAZIONE DELLA CROCE (video)


15.09.1993 - 15.09.2013
XX anniversario del martirio del Beato Pino Puglisi, ucciso dalla mafia.

  Se ognuno fa qualcosa...

"In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto". (Papa Francesco) - Ricordiamo il beato don Pino Puglisi nel XX anniversario del suo martirio, ucciso della mafia.
15 settembre 1993 - 15 settembre 2013

  Siamo tstimoni della speranza!...

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Nel giorno della nascita in terra ed anche in cielo del Beato Pino Puglisi... IL MIRACOLO DI DON "TRE P"



Oggi compierebbe 76 anni padre Pino Puglisi, il sacerdote che faceva il parroco vivendo le parole del Vangelo contro la cultura e la legge dei Graviano, luogotenenti dei Corleonesi nel quartiere di Brancaccio.
Ma il 15 settembre è anche l’anniversario dei 20 anni dal suo assassinio da parte della mafia di Palermo. Lui spiegava: «Venti, sessanta, cento anni... la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo».
Negli anni ruggenti di Cosa nostra, “Tre P” - come si faceva chiamare scherzosamente - non accettava i tradizionali compromessi e sottraeva i piccoli alla scuola della mafia, interessandoli all’oratorio o al doposcuola in vista della scuola media che voleva istituire nel quartiere, a trent’anni dalla sua istituzione nel resto d’Italia.
Secondo Nando Dalla Chiesa, presidente di Libera, don Pino «è appartenuto a una generazione di uomini che ha lottato contro la mafia vivendo il Vangelo. Ricordo che inizialmente molti dicevano con sufficienza: “Figurati se adesso la mafia ha paura delle prediche!”».
La sua testimonianza, a cui seguirà l’anatema di Giovanni Paolo II contro la mafia, è stata importante anche per la Chiesa: «Pochi anni prima», ricorda Dalla Chiesa, «quando Famiglia Cristiana pubblicava le prime inchieste sulla mafia, alcune parrocchie di Palermo revocarono l’abbonamento per protesta».
Don Pino era uno che parlava del Vangelo a tutti e anche ai mafiosi, come quando diceva: «Mi rivolgo ai protagonisti delle inutili intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono a ostacolare chi cerca di educare i vostri figli al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile».
In questa direzione, si spiega la conversione di Giuseppe Carini, che è poi diventato il testimone chiave al processo contro i killer del parroco di Brancaccio. Nel libro “Il miracolo di don Puglisi”, il giornalista Roberto Mistretta ne ha raccolto la storia: «Carini era un ragazzo che se non avesse incontrato don Pino avrebbe fatto una brutta fine»...

  IL MIRACOLO DI DON "TRE P"

Per saperne di più leggi anche:
  Il prete delle tre “P”, Padre Pino Puglisi

Guarda anche i nostri precedenti post:
  • Don Pino Puglisi: un prete povero che voleva una Chiesa per i poveri
  • Papa Francesco: "Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, ... è lui che ha vinto, con Cristo Risorto! Lodiamo Dio per la sua luminosa testimonianza e facciamo tesoro del suo esempio!"
  • "Pino Puglisi, dono per la Sicilia e per il mondo" di Bartolomeo Sorge - " Il 25 maggio a Palermo" di Maurilio Assenza - I PROGRAMMI IN TV SU DON PUGLISI
(all'interno del post i link ad altri precedenti)


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LE PIETRE D'INCIAMPO DEL VANGELO


"Costui sappiamo 
di dov'è.
Il Cristo invece 
quando verrà,
nessuno saprà di dove sia
"

(Giovanni 7, 27)

  Gianfranco Ravasi:   L'origine del Messia

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RUBRICA 
Un cuore che ascolta - lev shomea' 
"Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male"  (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica di Santino Coppolino

Vangelo: Lc 15,1-32

Tutto il capitolo 15 di Luca è un'unica parabola, divisa in tre scene e con un solo messaggio: la misericordia e la tenerezza del Padre
E' il cuore del Vangelo, "il Vangelo nel Vangelo" come è giustamente chiamato, e rappresenta il culmine del messaggio di Luca, definito da Dante Alighieri: "scriba mansuetudinis Christi". 
L'evangelista tratteggia il volto di un Dio che è Padre e non padrone, ben diverso da quello da cui Adamo è fuggito per paura, ben diverso da quello che anche noi rifiutiamo, come i due figli della terza parabola. Il più giovane fugge via da lui perché si sente oppresso e limitato nella sua libertà, il più grande crede di essere il suo schiavo ("ti servo da tanti anni - lett. ti sono schiavo") e non accetta che il fratello (che non riconosce come tale, definendolo, nel dialogo col Padre: "questo tuo figlio") che ha "divorato" la sua vita vivendo nel peccato, venga graziato, ristabilito nella sua dignità e torni a vivere accanto a lui che è rimasto fedele al Padre. Entrambi non hanno ancora "conosciuto", fatto esperienza personale, che il Padre è solo amore infinito per ogni suo figlio e la parabola esige il passaggio da una religione che ci rende servi ad un rapporto d'amore libero e liberante che fa di noi dei figli amati.

...


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Omelia di don Angelo Casati nella 24ª Domenica del Tempo Ordinario


24ª Domenica del Tempo Ordinario anno C
15 settembre 2013
omelia di don Angelo Casati

Es 32,7-11.13-14 
Sal 50
1 Tim 1,12-17 
Lc 15,1-32

"Con queste tre parabole -le parabole della misericordia- noi tocchiamo il cuore dell'evangelo. Qualche esegeta fa anche notare che questo capitolo -il 15º di Luca- è al centro -è il cuore- della sezione che narra il grande viaggio di Gesù, una sezione che, a sua volta, è al centro, è come il cuore degli Evangeli. Quasi a dire che qui, in queste parabole, tocchi il cuore del vangelo di Luca. Questo dice con quale delicatezza e stupore vorremmo avvicinare questa pagina, come quando ti fai vicino al cuore -o dormi sul cuore- della creatura che tu ami: tocchi il cuore. E vorrei iniziare dal contesto della parabola "disse loro questa parabola": è scritto.
Sono tre ma forse è una parabola sola. Il contesto è quello della mormorazione: "i farisei e gli scribi mormoravano: costui riceve i peccatori e mangia con loro". Tre volte questo verbo "mormorare" nel vangelo di Luca e tre volte per dire la reazione scandalizzata, la disapprovazione di certi circoli religiosi per l'atteggiamento di Gesù verso chi era considerato perduto, verso i peccatori. Essi notavano quasi un feeling tra i peccatori e Gesù: sì era lui a cercarli -"riceve i peccatori e mangia con loro"-, ma anche loro era come se fossero attratti. Lui aveva simpatia per loro, ma anche loro per lui!
Nel brano del vangelo è scritto di loro: "si facevano vicini". E già questo dovrebbe far riflettere! Una chiesa, se vuole essere simile al suo Signore, dovrebbe scandalizzare proprio per questo, per la sua misericordia. Una chiesa che si bea tra i buoni non è ancora la chiesa di Gesù. Se scandalizziamo per la nostra cordialità con chi è lontano, per questo feeling evangelico con chi è perduto, siamo in buona compagnia, siamo nella compagnia di Gesù. Abbiamo conosciuto Dio. Altrimenti passiamo dalla parte dei "mormoratori" o, se volete, del figlio maggiore della parabola, dalla parte di coloro che non capiscono. Non capiscono Dio. Perché -vedete- il cuore vero della parabola -c'è un cuore anche nella parabola!- non è tanto il messaggio sui peccatori, ma il messaggio su Dio: in evidenza, più che la pecora perduta, la dramma perduta, il figlio perduto, in evidenza è il pastore, è la donna di casa, è il padre di quei due figli. In evidenza c'è Dio. E cosa si dice di Lui? Vorrei sottolineare semplicemente alcune cose. La prima: che anche Dio si perde. .."

  omelia di don Angelo nella 24ª Domenica del Tempo Ordinario



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Dio rappresenta la più grande e misteriosa parola del linguaggio umano. In quanto grande si ripercuote in echi infiniti, in quanto misteriosa ci sfugge costantemente tra le mani. Come dire Dio? Come raggiungere con la parola e il concetto qualcuno che abita in un segreto inaccessibile? Come accedere al silenzio in cui egli abita? Appare certamente arduo raggiungerlo attraverso il linguaggio pubblico in cui spesso risuona il "si dice" della chiacchiera quotidiana. Forse queste quasi ovvie considerazioni ci potrebbero condurre a pensare che essere atei sia in fin dei conti la scelta migliore e più agevole, quella più coerente. 

  Vittorio Possenti:   Alla ricerca del nome di Dio

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 CHIESA E SOCIETA'
Interventi ed opinioni


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Commenti e riflessioni sulla lettera di Papa Francesco a Eugenio Scalfari / 3 : Cacciari, Di Segni, Camera


La lettera che Francesco ha inviato a Eugenio Scalfari ha un'importanza enorme. Dopo anni passati a sentirci ripetere che il male oscuro che divora la cristianità è la dittatura del relativismo, oggi la più alta autorità della Chiesa ci viene a dire semplicemente che, anche per i credenti, la verità non è mai assoluta.
Per una cultura abituata ormai a procedere per contrapposizioni, anche molto approssimative, il relativismo è l'esatto opposto della verità assoluta, quindi chi nega quest'ultima automaticamente accetta il relativismo... Il papa è impazzito? Vuole contraddire Ratzinger?
Certo che no. Ha solo cambiato il piano del discorso...
In una lettera sola papa Bergoglio ha riattualizzato tutti i temi più cari del Concilio: il primato della coscienza, il dialogo fraterno col mondo, il riconoscimento della radice ebraica, la missione come servizio, l'opzione preferenziale verso i poveri.
Quattro paginette che stanno facendo il giro del mondo, vengono tradotte in tutte le lingue ma, soprattutto, stanno facendo ringiovanire la Chiesa di mezzo secolo.

  L'assoluto e la relazione di Mirella Camera

Nelle riflessioni su Amore e Verità rivedo le idee del cardinal Martini
di Massimo Cacciari
(Filosofo e politico)
Le riflessioni di papa Francesco mi sembrano riprendere le idee che il cardinale Martini aveva cercato di proporre alla Chiesa tutta, in particolare con «la Cattedra dei non credenti», idee nel cui solco già si muove il «Cortile dei Gentili» diretto dal cardinale Ravasi. La grande novità sta nel fatto che questa «linea» di pensiero e di azione è oggi fatta propria dallo stesso pontefice! Non è possibile qui specificare la complessità di questa «linea». Ma il problema non è riducibile a una dimensione metodologica. Affermare che Dio è Amore; di più: che Dio è Relazione — formule in sé ortodosse — e affermare, più ancora, che la Verità cristiana essendo propria del Dio-Relazione non può essere intesa assolutisticamente, o anche — citazione di sant’Anselmo — che Dio non è dimostrabile col pensiero essendo più grande dello stesso pensiero — tutto ciò solleva questioni di capitale importanza teologica e di capitale importanza per la stessa forma politica della Chiesa anche come figura storica. (fonte: “la Repubblica”)

Una svolta le parole per gli ebrei questo pontificato non smette di stupire
di Riccardo Di Segni
(Rabbino capo di Roma)
Questo pontificato non smette di sorprendere, ma le idee che Francesco esprime non sono certamente eterodosse. Sono presenti nella tradizione cristiana o si sono affermate più recentemente sulla scia del Concilio come dialogo e tolleranza, ma è la forza con cui le esprime e la capacità di trovare ascolto e risonanza che stupisce. Il fatto che l’ebraismo sia radice santa del cristianesimo è fondamentale, ma molte correnti teologiche soprattutto protestanti hanno cercato di sminuirlo.
Opponendosi a queste correnti, Francesco è coerente col magistero di Benedetto. Decisamente notevole è l’espressione di gratitudine agli ebrei per la loro perseveranza nella fede. 
Paradossalmente, dopo secoli di predicazione cristiana contro la «superstizione giudaica» e la vanità dell’attesa messianica, oggi la fedeltà ebraica diventa un modello per i cristiani e per l’umanità, e questa è una svolta non improvvisa ma molto significativa di cui anche gli ebrei dovranno prendere coscienza.  (fonte: “la Repubblica”)

Vedi i nostri precedenti post:
  • Papa Francesco scrive a Repubblica: La verità non è mai assoluta - Eugenio Scalfari: La pecora smarrita
  • Commenti e riflessioni sulla lettera di Papa Francesco a Eugenio Scalfari / 1
  • Commenti e riflessioni sulla lettera di Papa Francesco a Eugenio Scalfari / 2 : Forte - Bianchi - Ravasi - Sciortino


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Commenti e riflessioni sulla lettera di Papa Francesco a Eugenio Scalfari / 4 : Spadaro, Küng, Repole, Biondi


... Innanzitutto ricordiamoci che questa non è la prima comunicazione del Papa con una testata giornalistica. Si tratta di una tappa dentro un cammino che non prevede strategie rigide, appunto, ma un discernimento attento. Camminando si apre il cammino, insomma. E in questo senso credo che il Papa non intenda assestarsi su un solo modo di comunicare. Papa Francesco, in realtà, più che «comunicare» crea «eventi comunicativi», ai quali chi riceve il suo messaggio partecipa attivamente. In questo senso si ha una riconfigurazione del linguaggio che pone accenti differenti e priorità nuove. L’immediatezza del messaggio in Papa Francesco produce un paradosso: la sua autorevolezza ne risulta accresciuta e potenziata proprio perché la distanza viene abolita. Davanti a lui si avverte l’autorevolezza della figura e nello stesso tempo non si avverte alcuna distanza...

  Papa Francesco non “comunica”, ma crea “eventi comunicativi”. A proposito della lettera a Eugenio Scalfari

Non esorta al confronto ma lo pratica è questa la forza del messaggio
di Hans Küng
(Teologo)

Il titolo della notizia potrebbe essere “un dialogo a pari dignità”. Papa Francesco esorta non soltanto al dialogo con i non credenti, bensì lo traduce in pratica. In modo modesto e umile, senza esercitare alcun pressing, agendo con piena comprensione per le ragioni degli altri. Come la sua idea di “confraterna vigilanza”.
Molti punti di vista teologici mi sembrano importanti.
Primo: il Papa rappresenta il concetto dell’incarnazione della persona storica di Gesù. E della sua autorità estesa alla Chiesa, che lascia questioni aperte. Secondo: la natura di Gesù come figlio di Dio non deve escludere altri ma invece deve aprire a tutti gli esseri umani la vocazione a sentirsi “figli di Dio”. Terzo: nessuno dispone della Verità assoluta. La Verità della Fede, come ha manifestato in Cristo l’amore di Dio, è essenzialmente una relazione. Quarto: la Verità della Fede, che è simbolo di Luce, fu sempre, più volte, strumentalizzata da cupi superstiziosi contro la Luce della ragione. Ergo, mi sento confermato nella mia Via e Scelta, avendo sempre preso sul serio le ragioni dei non credenti. (fonte: “la Repubblica”)

“Mi pare che il Papa apra un dialogo non solo con i non credenti, ma, in modo ancora più ampio, con il mondo moderno”. Don Roberto Repole, presidente dell’Associazione teologica italiana e docente di Teologia sistematica presso la sezione di Torino della Facoltà teologia dell’Italia settentrionale, commenta la lettera del Papa a Repubblica insistendo sul fatto che “occorre richiamare questo desiderio che il Papa mette nella Chiesa di essere in continuità con quanto fatto dal Concilio Vaticano II, cioè di dialogare con il mondo della modernità, un mondo nel quale c'è anche la possibilità di non essere credenti”

  UN PAPA CHE SA DIALOGARE CON IL MONDO MODERNO

La sua originalità – è stato scritto – è quella di essere un «papa dei lontani», che «desidera testimoniare Gesù Cristo a tutti, non solo ai cattolici militanti». Definizione perfetta di fronte a quella lettera firmata «Francesco», e nient’altro. Usa accenti nuovi, papa Bergoglio, adatti al mondo d’oggi, come indicato dal Concilio Vaticano II, ma senza scostarsi di un passo dalla bimillenaria Tradizione della Chiesa (con la t maiuscola). Concetti semplici, anche se stavolta – per la prima volta dall’inizio del pontificato – il papa scrive da teologo. E colpisce la facilità con cui Francesco spazza via anni di polemiche, quelle dei primi anni Duemila, tra laici e credenti. Ricordate il dibattito sui politici cattolici e l’obbedienza alle direttive della gerarchia?...
Quando si rivolge ai cristiani, Francesco è un papa “esigente”. Spesso fa riferimento alla «missione» affidata al cristiano, riprendendo temi cari alla tradizione gesuita. In Brasile ha parlato di «Chiesa missionaria». Nelle parole di ieri, rivolte ai «lontani», si legge con chiarezza che per questo papa la fede, prima che da una spinta personale alla perfezione, nasce da «una bellezza che attrae». Il papa l’ha ribadito più volte: quando Dio affida una «missione», concede anche la forza per sostenerla. Il linguaggio dell’«abbraccio» parla a tutti, vicini e lontani.

  Francesco, teologo dell’abbraccio

Vedi i nostri precedenti post:
  • Papa Francesco scrive a Repubblica: La verità non è mai assoluta - Eugenio Scalfari: La pecora smarrita
  • Commenti e riflessioni sulla lettera di Papa Francesco a Eugenio Scalfari / 3 : Cacciari, Di Segni, Camera
(nell'ultimo post i link a quelli precedenti)


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"Cercare insieme la verità" di Enzo Bianchi 


"Cercare insieme la verità" 
di Enzo Bianchi
(fondatore e priore di Bose)

Nel dialogo tra quanti cercano di essere coerenti con la propria fede e quanti si sforzano di esserlo con le proprie convinzioni, il bello e anche il difficile vengono adesso. Dopo la lettera aperta di papa Francesco a Eugenio Scalfari sembra predominare l’impressione della novità, della svolta, dell’inedito che prende forma. Ma vale la pena soffermarsi anche sulle conferme e gli approfondimenti, sulle prospettive e gli interrogativi ancora aperti.
Anzitutto, a chi si interrogasse sul perché del dialogo tra cristiani e laici, occorre rispondere che il dialogo è la via umana, condivisa dunque da tutti, “credenti” e “non credenti”, di costruire insieme un senso; è metodo (meth-odos) che diventa sinodo (syn-odos), cammino fatto insieme. E di cercare insieme la verità. Questo atteggiamento, che per i cristiani deriva dal credere che ogni uomo in quanto tale è immagine e somiglianza di Dio, dà forma storica alla mitezza, crea relazioni ispirate a quella mitezza che per Paolo VI “è carattere proprio del dialogo” (Ecclesiam suam). Il dialogo è spazio sostitutivo della violenza elaborato mediante quella facoltà solamente umana che è la parola e di cui, a partire da Socrate, non mancano certo esempi nella tradizione culturale occidentale anche fuori del cristianesimo. Il dialogo dunque va praticato come via di costruzione di un mondo che crede alla forza della parola e rifiuta di affidarsi alla parola della forza. 
Inoltre, il linguaggio esprime una difficoltà fondamentale: distinguere tra “credenti” e “non credenti” lascia molti insoddisfatti, sia perché una delle due categorie è definita solo in negativo rispetto all’altra, sia perché chi non crede in Dio sovente crede comunque nel cammino di umanizzazione e in alcuni principi coerenti con essa. Inoltre, è proprio dei cristiani ripetere ancora oggi le parole registrate nei Vangeli del padre di un ragazzo ammalato che così si rivolse a Gesù: “Io credo, aiuta la mia incredulità!” (Mc 9,24). Fede e incredulità abitano anche il credente che ogni giorno deve rinnovare la sua fede, dissipare – per quanto gli riesce – i dubbi, affidarsi al Signore quando la tenebra sembra dominare...

  Cercare insieme la verità di Enzo Bianchi

Vedi anche i nostri precedenti post:
  • Papa Francesco scrive a Repubblica: La verità non è mai assoluta - Eugenio Scalfari: La pecora smarrita
  • Commenti e riflessioni sulla lettera di Papa Francesco a Eugenio Scalfari / 4 : Spadaro, Küng, Repole, Biondi
(nell'ultimo post i link ai post precedenti)



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"L'«altro» non è una minaccia ma ricchezza e dono" di mons. Bruno Forte



L'«altro» non è una minaccia ma ricchezza e dono
di mons. Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti Vasto

La lettera a chi non crede, scritta da Papa Francesco in risposta alle domande di Eugenio Scalfari, ha suscitato moltissime reazioni, per lo più di stupore e apprezzamento. Un aspetto del dialogo, tuttavia, quello che a me pare in assoluto il più intrigante per tutti, non mi sembra sia stato evidenziato dai più. Si tratta del carattere del tutto "post-moderno" di questo intreccio dialogico. Esso è tutt'altro che un ennesimo processo illuministico alla pretesa della fede. Dio non è stato chiamato a difendersi di fronte agli interrogativi e alle sfide della ragione, com'era nella classica "teodicea" - o giustificazione del divino - di moda dagli albori del Secolo dei Lumi in poi, alla scuola di Leibnitz. Non si è trattato neanche, da parte di Francesco, della classica difesa apologetica della fede, tradizionalmente impegnata sul triplice fronte della causa di Dio, della rivelazione cristiana e della Chiesa. Le visioni dell'uomo, del divino e dell'altro, entrate in gioco, sono del tutto "post-moderne", in certo modo "post-illuministe" e "post-apologetiche", tanto da parte del non credente, quanto da parte del Vescovo di Roma. 
Vediamo perché...
L'altro non è minaccia, ma ricchezza, non pericolo, ma possibile modello e dono. Gesù, ebreo di nascita e per sempre, non potrà non essere contento di questa parola di verità e d'amore del Successore di Pietro. Gli odi, fomentati dall'ideologia moderna, sono tragiche memorie del passato. "È venuto ormai il tempo - scrive Francesco -, e il Vaticano II ne ha inaugurato la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro" con l'altro, con ogni altro.

  L'«altro» non è una minaccia ma ricchezza e dono di Bruno Forte

Vedi anche i nostri precedenti post:
  • Papa Francesco scrive a Repubblica: La verità non è mai assoluta - Eugenio Scalfari: La pecora smarrita
  • Commenti e riflessioni sulla lettera di Papa Francesco a Eugenio Scalfari / 4 : Spadaro, Küng, Repole, Biondi
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Posso dire (senza troppa superbia) che la risposta di papa Francesco a Eugenio Scalfari la sento un po' anche una risposta a me stesso? Quando avevo infatti scritto su questo sito -­ attirandomi non pochi strali per «lesa maestà», ma pazienza - che la nuova enciclica non mi pareva granché, il primo tra i motivi allegati era che «la Lumen Fidei, a parte rari passaggi, appare scritta soltanto per già cristiani. Tutto viene semplicemente affermato, non spiegato né giustificato, come si fa con chi è già convinto di per sé».
Orbene, indirizzando all'ex direttore di «Repubblica» il pontefice sembra proprio voler colmare tale lacuna, precisando fin dall'inizio che invece l'enciclica «è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth"». 

  Roberto Beretta:   Quel registro diverso da «Lumen Fidei»

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Si è aperta in Vaticano la Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali sul tema “La rete e la Chiesa”. Philippa Hitchen ha intervistato il presidente del dicastero, mons. Claudio Maria Celli

  RADIO VATICANA:   Plenaria delle Comunicazioni Sociali su "La rete e la Chiesa": intervista con mons. Celli


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 FRANCESCO
 


     Angelus/Regina Cæli - Angelus, 15 settembre 2013

    Discorso - Ai partecipanti al Convegno per i nuovi Vescovi promosso dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali (19 settembre 2013)

    Discorso - Ai partecipanti all'Incontro promosso dalla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici (20 settembre 2013)
   
Udienza - 18 settembre 2013

    Udienza - Lettera al Presidente della Conferenza Episcopale Argentina in occasione della beatificazione di Padre José Gabriel Brochero (14 settembre 2013)


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Sono le cifre record di Francesco sui social network nei primi sei mesi di pontificato

  VATICAN INSIDER:   "60 milioni di persone raggiunte dai tweet del Papa"

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14/09/2013:

  A volte si può vivere...


15/09/2013:

  Cercare la propria felicità...


17/09/2013:

  Ci sono tanti bisognosi...

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19/09/2013:

  Siamo tutti peccatori...


20/09/2013:

  Cristo è sempre...


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«Più di nove milioni e trecentomila followers e, grazie ai ritwittaggi, almeno sessanta milioni di persone raggiunte sugli smartphone e sui tablet dai tweets del Santo Padre»; oltre ai «dieci milioni e duecentossessantamila navigatori che nellevarie lingue visitano ogni mese le nostre pagine del portale www.news.va attraverso Facebook». Sono le cifre record della presenza di Papa Francesco sui social network nei primi sei mesi del pontificato; un successo mediatico che «pochi altri leader a livello mondiale possono vantare» secondo l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del  Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

  Gianluca Biccini:   I media vaticani al tempo di Papa Francesco

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  (GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)


Da 6 mesi il cardinale Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa Francesco ed ha conquistato il cuore di tutti!


Sei mesi fa, la sera del 13 marzo scorso, il vescovo di Roma venuto «dalla fine del mondo» si affacciava dalla loggia centrale di San Pietro e faceva pregare tutta la piazza recitando il Pater, Ave, Gloria, chiedendo - prima di benedire gli uomini e le donne della sua nuova diocesi e del mondo intero - che la gente pregasse per lui.
L'elezione, avvenuta in tempi rapidissimi come quella del suo predecessore, è stata una sorpresa. Così come una sorpresa, un mese prima, era stato l'annuncio della rinuncia da parte di Benedetto XVI. Due sono gli elementi che balzano agli occhi e che aiutano a spiegare l'attenzione e la simpatia suscitata, anche in ambienti lontani, da Francesco. Un'attenzione e una simpatia che non accennano a diminuire, nonostante le previsioni sulla fine della «luna di miele» mediatica avanzate da chi sembra talvolta rimpiangere i tempi recenti della Chiesa «sotto attacco».
Il primo è la sua testimonianza personale del messaggio evangelico: piccoli e grandi gesti, le piccole o grandi scelte quotidianamente compiute, la sua capacità di incontrare tutti e di parlare a tutti, il suo essere semplicemente se stesso, lo hanno reso non soltanto credibile, ma innanzitutto vicino. Il Papa viene percepito da tantissime persone in tutto il mondo come «uno di noi». Basta guardare agli abbracci con i malati, i sofferenti, i bambini. Basta guardare al tempo che trascorre tra la gente prima e dopo le udienze del mercoledì, per percepire questa vicinanza del vescovo di Roma che non ha paura della tenerezza. Per il resto, i cambiamenti operati sono sotto gli occhi di tutti, in sintonia con l'inedito nome che il Papa gesuita ha scelto di assumere, quello del Poverello di Assisi.
Il secondo elemento è il magistero rappresentato dalle omelie quotidiane della messa a Santa Marta. Brevi commenti sulle Letture del giorno, divenute un appuntamento atteso. Una «catechetica in briciole» (titolo di un libro di Albino Luciani) al tempo stesso profonda e capace di raggiungere il cuore delle persone. Questo magistero, derubricato da taluni come «fervorini», sta accompagnando di giorno in giorno tanti credenti più delle grandi encicliche o dei grandi dibattiti culturali.

  I primi sei mesi del Papa della misericordia

Sono passati sei mesi dall’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio alla Cattedra di Pietro, avvenuta il 13 marzo scorso. Un periodo breve eppure intensissimo tanto che, per sentire comune, sembra che Papa Francesco sia con noi da un tempo molto più lungo e sia ormai una figura familiare. E’ questa un’opinione condivisa anche da Gianni Valente, collega dell’agenzia “Fides” legato a Jorge Mario Bergoglio da una lunga amicizia. 
La cosa che balza agli occhi è che in questi sei mesi sentiamo Papa Francesco quasi come uno di casa; è diventato familiare per tanti di noi, per milioni di persone in questo breve periodo. Io penso che, al di là dei momenti eclatanti, importanti - anche pubblici - che scandiscono giorno per giorno questo Pontificato, l’asse di tutto, la sorgente di tutto siano le omelie di Santa Marta. Il punto di incontro tra questo Pastore e la moltitudine dei fedeli, anche di chi non crede, è proprio l’orizzonte della quotidianità, questo flusso continuo di vita e di stupore che, in qualche modo, ha la sua immagine più nitida nell’avere la possibilità giorno per giorno di ascoltare la sua parola, quella di un pastore che legge il Vangelo e lo commenta per tutti. ...
D. - Tu conosci il pastore Jorge Mario Bergoglio da molti anni. Cosa ti colpisce nell’uomo in questo passaggio tra prima e dopo il 13 marzo scorso?
R. - Sicuramente lo sguardo che ha sulle cose è rimasto lo stesso. Però, come ha detto anche il mio amico "padre Pepe", l’ho trovato ringiovanito. Questo sicuramente è evidente, c’è in lui un’energia, una forza che è proprio quella che fa parte dello stupore che provoca in tutti noi. Ed è evidente soprattutto che questa energia non è frutto di uno sforzo o di un entusiasmo per il ruolo che ha ricevuto, ma è quasi il frutto che sgorga da una pace, dalla pace del cuore. Questa è la cosa che comunica subito. È proprio evidente che il suo cuore è abbracciato ed è portato in braccio dalla tenerezza di Gesù, e lui al mondo non vuole dire altro che questo.

    Sei mesi con Papa Francesco. Gianni Valente: sta portando al mondo la tenerezza di Dio

Sei mesi fa veniva eletto Papa Francesco. Sei mesi intensi, segnati da decisioni forti, prima tra tutte lo spostamento della residenza pontificia dal Palazzo apostolico a Santa Marta, da dove quotidianamente ci giungono i commenti del Papa sulla Messa del giorno. E poi il progetto di Riforma della Curia Romana e – sulla scia di Benedetto XVI – l’opera di trasparenza finanziaria delle attività economiche vaticane. Ma quali sono le principali novità di questo pontificato? Sergio Centofanti lo ha chiesto al direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi

  il commento di Padre Lombardi

Dalla sua elezione niente è stato più come prima. I media si contendono le sue immagini, gli ascolti si impennano. Parole semplici, contatto continuo con i fedeli e la gente ha di nuovo fiducia: il sondaggio Demopolis

  Sei mesi con papa Francesco Una Chiesa aperta al mondo

  il sondaggio il Papa e gli Italiani dell'Istituto Demopolis L'effetto Francesco

  il fotoracconto I 6 mesi di Papa Francesco




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Papa Francesco - Angelus del 15 settembre 2013  (video e testo) 


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nella Liturgia di oggi si legge il capitolo 15 del Vangelo di Luca, che contiene le tre parabole della misericordia: quella della pecora smarrita, quella della moneta perduta, e poi la più lunga di tutte le parabole, tipica di san Luca, quella del padre e dei due figli, il figlio “prodigo” e il figlio, che si crede “giusto”, che si crede santo. Tutte e tre queste parabole parlano della gioia di Dio. Dio è gioioso. Interessante questo: Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! E’ la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!
Gesù è tutto misericordia, Gesù è tutto amore: è Dio fatto uomo. Ognuno di noi, ognuno di noi, è quella pecora smarrita, quella moneta perduta; ognuno di noi è quel figlio che ha sciupato la propria libertà seguendo idoli falsi, miraggi di felicità, e ha perso tutto. Ma Dio non ci dimentica, il Padre non ci abbandona mai. E’ un padre paziente, ci aspetta sempre! Rispetta la nostra libertà, ma rimane sempre fedele. E quando ritorniamo a Lui, ci accoglie come figli, nella sua casa, perché non smette mai, neppure per un momento, di aspettarci, con amore. E il suo cuore è in festa per ogni figlio che ritorna. E’ in festa perché è gioia. Dio ha questa gioia, quando uno di noi peccatore va da Lui e chiede il suo perdono.
Il pericolo qual è? E’ che noi presumiamo di essere giusti, e giudichiamo gli altri. Giudichiamo anche Dio, perché pensiamo che dovrebbe castigare i peccatori, condannarli a morte, invece di perdonare. Allora sì che rischiamo di rimanere fuori dalla casa del Padre! Come quel fratello maggiore della parabola, che invece di essere contento perché suo fratello è tornato, si arrabbia con il padre che lo ha accolto e fa festa. Se nel nostro cuore non c’è la misericordia, la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio, anche se osserviamo tutti i precetti, perché è l’amore che salva, non la sola pratica dei precetti. E’ l’amore per Dio e per il prossimo che dà compimento a tutti i comandamenti. E questo è l’amore di Dio, la sua gioia: perdonare. Ci aspetta sempre! Forse qualcuno nel suo cuore ha qualcosa di pesante: “Ma, ho fatto questo, ho fatto quello …”. Lui ti aspetta! Lui è padre: sempre ci aspetta!...

  il testo integrale dell'Angelus

  video


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LA RIFORMA 
PARTE DA SANTA MARTA

La Riforma. E’ la grande attesa che tutti abbiamo nei confronti dell’azione di papa Francesco. Infatti, pur nell’accoglienza positiva dello stile e della comunicazione del nuovo vescovo di Roma, l’incertezza e la prudenza sembrano caratterizzare le opinioni, al riguardo, di diversi commentatori e dell’intellighenzia.

Le due riforme
Eppure, nell’azione di rinnovamento papa Francesco si può fare forte sia di quanto è emerso dalle Congregazioni generali dei cardinali, preparatorie al Conclave, in cui la Curia romana è stata sottoposta a valutazioni fortemente critiche, sia di un’elezione che sembra essere stata quasi plebiscitaria.
La prudenza nasce dal fatto che non ci sono state fino ad ora dichiarazioni programmatiche e, soprattutto, dalle prevedibili resistenze della Curia. Come si sa ogni istituzione tende a resistere al cambiamento. Non a caso Accattoli, sul Corriere della sera, già il 30 marzo, osservava: “Bergoglio dà per scontato che ‘bisogna riformare’.Ma sa che l’argomento è tabù ai piani alti della Chiesa. E dunque non ne parla. Finché non dirà nulla possiamo immaginare che qualche riforma potrà farla”.
La riforma di cui sempre ha bisogno la Chiesa, in modo particolare oggi, è duplice: da un lato, un profondo adeguamento delle strutture, sia del suo governo centrale, sia delle forme di partecipazione che si esprimono attraverso la sinodalità e la collegialità; dall’altro, una riforma interiore che riguarda molto gli uomini di curia, ma anche vescovi, presbiteri, religiosi e noi semplici fedeli. Il Concilio Vaticano II ce lo ricorda in due documenti: Lumen Gentium (n.8) e Unitatis redintegratio (n. 6).

Una scelta di priorità
Tra i due poli dell’azione di riforma, papa Francesco sembra avere scelto di iniziare immediatamente dalla riforma interiore, lasciando ad un’azione più partecipata e collegiale (il Gruppo di lavoro degli otto cardinali che si riunirà nei giorni 1-3 ottobre, l’incontro collegiale con i cardinali Capi dicastero del 10 settembre, …) il cambiamento delle strutture, operazione complessa che ha bisogno di attente valutazioni e perciò di tempo.
I segnali di questa scelta sono numerosi, disseminati in vari discorsi e nelle omelie. Via via che i giorni passano e i discorsi si accostano l’uno all’altro, sono sempre più evidenti la scelta e il disegno programmatico di questa riforma spirituale. A questo proposito una particolare attenzione merita il “fenomeno” di santa Marta. Francesco interviene quotidianamente sul tema della riforma interiore, affidando, con energia e con una forte compromissione personale, le sue sollecitazioni ad un’omiletica fresca, zampillante da un costante riferimento alla Parola di Dio, che parla al cuore dei grandi e dei piccoli.

Il “fenomeno” santa Marta
Dalla celebrazione eucaristica del 22 marzo per i giardinieri e i netturbini del Vaticano, a nove giorni dalla sua elezione, le omelie che papa Francesco tiene durante la messa alle 7 del mattino, nella cappella della Domus Sanctae Marthae, quasi ogni giorno fanno notizia su giornali e telegiornali.
Queste brevi “meditazioni quotidiane”(sotto questa categoria le raccoglie il sito ufficiale della Santa Sede), fino ad oggi non sono state diffuse integralmente e per conoscerne il contenuto ci si deve affidare a due diverse sintesi, pur con ampie citazioni originali, una del Giornale radio di Radio Vaticana e una de L’Osservatore romano.
Da diverse parti ci si è interrogati sul loro valore al punto che la sala stampa vaticana, il 29 maggio, ha emesso una nota di precisazione che richiama due elementi. In primo luogo, è espressa volontà del papa che il testo mantenga il carattere d’intervento pronunciato a braccio senza che vi sia la trascrizione e una revisione successiva; in secondo luogo si ricorda il diverso livello d’impegno dei pronunciamenti del papa secondo le circostanze e il carattere di ufficialità delle cerimonie. Sta però, di fatto, che l’attenzione con la quale la stampa e i fedeli accolgono questi interventi induce alla constatazione che il loro valore pastorale e forse anche magisteriale, va al di là delle precisazioni e del valore “giuridico” che gli si può attribuire...

  LA RIFORMA PARTE DA SANTA MARTA di Franco Ferrari


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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - La politica è una delle più alte forme della carità - le virtù di chi governa: amore al popolo e umiltà - responsabilità di tutti (video e testo)



S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
16 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: 
non si governa senza umiltà e rispetto


Un buon cristiano partecipa attivamente alla vita politica e prega perché i politici amino il loro popolo e lo servano con umiltà. È la riflessione proposta da Papa Francesco questa mattina, lunedì 16 settembre, durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta.
Commentando il brano del vangelo di Luca (7, 1-10) dove è narrata la guarigione, a opera di Gesù, del servo del centurione a Cafarnao, il Pontefice ha sottolineato “due atteggiamenti del governante”. Egli deve innanzitutto “amare il suo popolo. Gli anziani ebrei dicono a Gesù: egli merita quello che chiede perché ama il nostro popolo. Un governante che non ama non può governare. Al massimo può mettere un po’ d’ordine ma non può governare”...
Per Papa Francesco il governante deve essere anche umile come il centurione del Vangelo, che avrebbe potuto vantarsi del suo potere se avesse chiesto Gesù di andare da lui, ma “era un uomo umile e ha detto al Signore: non disturbarti, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto. E con umiltà: di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Queste sono le due virtù di un governante, così come ci fa pensare la parola di Dio: amore al popolo e umiltà”.
Dunque “ogni uomo e ogni donna che assume responsabilità di governo deve porsi queste due domande: io amo il mio popolo per servirlo meglio? E sono umile da sentire le opinioni degli altri per scegliere la migliore strada?”. Se costoro – ha sottolineato il Pontefice – “non si fanno queste domande, il loro governo non sarà buono”.
Anche i governati però devono fare le loro scelte da compiere. Cosa dunque bisogna fare? Dopo aver notato che noi “come popolo abbiamo tanti governanti”, il Papa ha ricordato una frase di san Paolo tratta dalla prima lettera a Timoteo (2, 1-8): “Raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”.
Questo significa – ha puntualizzato Papa Francesco – che “nessuno di noi può dire: ma io non c’entro, sono loro che governano. No, io sono responsabile del loro governo e devo fare del mio meglio perché loro governino bene, partecipando alla politica come posso. La politica, dice la dottrina sociale della Chiesa, è una delle più alte forme della carità, perché è servire il bene comune. E io non posso lavarmene le mani: ciascuno di noi deve fare qualcosa. Ma ormai abbiamo l’abitudine di pensare che dei governanti si deve solo chiacchierare, parlare male di loro e delle cose che non vanno bene”...
Qual è allora “la cosa migliore che noi possiamo offrire” ai governanti? “È lapreghiera” ha risposto il Pontefice, spiegando: “È quello che Paolo dice: preghiera per il re e per tutti quelli che hanno potere”. Ma “si dirà: quello è una cattiva persona, deve andare all’inferno. No, prega per lui, prega per lei, perché possa governare bene, perché ami il suo popolo, perché sia umile. Un cristiano che non prega per i governanti non è un buon cristiano. Bisogna pregare. E questo – ha precisato – non lo dico io. Lo dice san Paolo. I governanti siano umili e amino il loro popolo. Questa è la condizione. Noi, i governati, diamo il meglio. Soprattutto la preghiera”...

  Preghiamo per i politici perché ci governino bene

  video


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L'incontro di Papa Francesco con il clero romano alla Basilica di San Giovanni in Laterano


Papa Francesco incontra il clero romano nella Basilica di San Giovanni in Laterano

Lo sguardo misericordioso di Gesù sostiene il sacerdote nella fatica quotidiana della sua missione. Così è, da sessant’anni, per Jorge Mario Bergoglio. Divenuto vescovo di Roma sei mesi fa, stamani 16 settembre ha compiuto un passo decisivo per entrare nel cuore della sua diocesi. Nella basilica di San Giovanni al Laterano, cattedrale di Roma, Papa Francesco ha dialogato a lungo con il suo clero.
«Mi sento prete» ha confidato. E ripercorrendo anche le sue esperienze personali a Buenos Aires, ha rivelato di non avere mai avuto la tentazione di sentirsi più importante da quando è Papa. Al clero romano ha chiesto in particolare di pregare per lui. Soprattutto il 21 settembre, festa di san Matteo. Perché proprio quel giorno, sessant’anni fa, ha scoperto la vocazione al sacerdozio.
Nella prima parte dell’incontro — introdotto dal Veni creator Spiritus e da un passo del vangelo di Giovanni — il Papa ha parlato anzitutto della buona fatica del sacerdote per la missione in mezzo al popolo. Essere prete, ha assicurato, significa lavorare molto, perché la gente ha oggi più che mai tante esigenze. E la sensazione della fatica, ha aggiunto, comprende per il sacerdote anche domande forti su stesso, sulla bontà della propria vocazione e sulle rinunce che essa comporta, prima fra tutte la paternità biologica. Ma è una fatica che il sacerdote vive e supera con tutto il suo essere. Tra i vari esempi biblici a cui si è riferito, il vescovo di Roma ha indicato soprattutto Maria che, come diceva Giovanni Paolo ii, aveva una «peculiare fatica del cuore». Del resto, la preghiera e la vicinanza agli altri, a partire dal proprio vescovo, sono per il prete un antidoto efficace nei momenti di maggiore fatica...

  Con il sostegno della misericordia

"Cos'è la fatica per un sacerdote?"

  video

L’incontro è durato circa due ore, il testo non è integrale e la parte in neretto è quella presente nel video...

  “Cos’è la fatica per un sacerdote?”. L’incontro di Papa Francesco con il clero romano – 16 settembre 2013

Durante il programma “Nel cuore dei giorni” Marco Burini e Nicola Ferrante si soffermano sulle parole che Papa Francesco ha pronunciato durante l’incontro con il clero romano che si è svolto il 16 settembre nella Basilica di San Giovanni in Laterano.
"Le parole di Papa Francesco durante l'incontro con i preti romani"

  video

I sacerdoti della diocesi di Roma hanno accolto con grande emozione e commozione le parole di Papa Francesco, che li ha esortati a svolgere il loro ministero con coraggiosa creatività. Queste alcune testimonianze raccolte da Amedeo Lomonaco per Radio Vaticana.

  I sacerdoti romani: toccati nel cuore dalle parole del Papa

L'incontro di Papa Francesco con il clero romano alla Basilica di San Giovanni in Laterano, dal racconto di uno dei partecipanti: padre Lucio Zappatore, della parrocchia Santa Maria Regina Mundi di Roma, ospite di Amerigo Vecchiarelli e Michele Sciancalepore a TV2000.

  video



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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Chiesa: vedova in cammino alla ricerca dello Sposo - responsabilità di tutti (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
17 giugno 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: 
la Chiesa piange per i suoi figli e prega


Come una mamma che ci ama, ci difende, ci dà la forza per andare avanti nella lotta contro il male. È questa l’immagine della Chiesa tratteggiata da Papa Francesco oggi, martedì 17 settembre, durante la messa celebrata di prima mattina a Santa Marta.

Commentando il brano del vangelo di Luca che narra la risurrezione del figlio della vedova di Nain (7, 11-17), il Pontefice ha descritto Gesù che, vedendo la donna davanti al cadavere del suo unico figlio morto, «fu preso da grande compassione». E ha definito il sentimento di Cristo come «la capacità di patire con noi, di essere vicino alle nostre sofferenze e farle sue». Del resto egli sapeva bene «cosa significasse una donna vedova in quel tempo», quando le madri rimaste sole a crescere i propri figli dovevano affidarsi all’aiuto e alla carità di altri. Per questo i precetti di allora vi insistono tanto: «Aiutare gli orfani e le vedove, perché in quel tempo erano i più soli, i più abbandonati».

Il pensiero del vescovo di Roma è poi andato ad altre figure di vedove di cui si parla nella Bibbia. Verso di loro il Signore mostra una particolare «cura, uno speciale amore», al punto che esse finiscono con il costituire «un’icona della Chiesa, perché — ha spiegato — anche la Chiesa è in un certo senso vedova: il suo sposo se n’è andato e lei cammina nella storia sperando di ritrovarlo, di incontrarsi con lui. Allora lei sarà la sposa definitiva». Ma, ha avvertito, «in questo frattempo la Chiesa è sola», e il Signore non è per lei visibile: dunque, «ha una certa dimensione di vedovanza».
La prima conseguenza di questa vedovanza è che la Chiesa diventa «coraggiosa», a somiglianza di una madre «che difende i figli», proprio come la vedova del Vangelo «che andava dal giudice corrotto per difendere i figli e alla fine ha vinto». Perché, ha sottolineato il Papa, «la nostra madre Chiesa ha quel coraggio di una donna che sa che i figli sono suoi e deve difenderli e portarli all’incontro con il suo sposo».
Dal coraggio deriva poi un secondo elemento, la forza, come testimoniano altre vedove descritte nelle Scritture...

  Come una mamma che difende i suoi figli

  video


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Papa Francesco: UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro Mercoledì, 18 settembre 2013 - testo e video


Piazza San Pietro
Mercoledì, 18 settembre 2013

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi ritorno ancora sull’immagine della Chiesa come madre. A me piace tanto questa immagine della Chiesa come madre. Per questo ho voluto ritornarvi, perché questa immagine mi sembra che ci dica non solo come è la Chiesa, ma anche quale volto dovrebbe avere sempre di più la Chiesa, questa nostra madre Chiesa. 
Vorrei sottolineare tre cose, sempre guardando alle nostre mamme, a tutto quello che fanno, che vivono, che soffrono per i propri figli, continuando quello che ho detto mercoledì scorso. Io mi domando: che cosa fa una mamma? ...
Ecco, questi erano i pensieri che volevo dirvi oggi: vediamo nella Chiesa una buona mamma che ci indica la strada da percorrere nella vita, che sa essere sempre paziente, misericordiosa, comprensiva, e che sa metterci nelle mani di Dio.

Al termine il Santo Padre lancia un appello:

Ogni anno, il 21 settembre, le Nazioni Unite celebrano la «Giornata Internazionale della Pace», ed il Consiglio Ecumenico delle Chiese si appella ai suoi membri affinché in tale giorno preghino per la pace. Invito i cattolici di tutto il mondo ad unirsi agli altri cristiani per continuare ad implorare da Dio il dono della pace nei luoghi più tormentati del nostro pianeta. Possa la pace, dono di Gesù, abitare sempre nei nostri cuori e sostenere i propositi e le azioni dei responsabili delle Nazioni e di tutti gli uomini di buona volontà. Impegniamoci tutti a incoraggiare gli sforzi per una soluzione diplomatica e politica dei focolai di guerra che ancora preoccupano. Il mio pensiero va specialmente alla cara popolazione siriana, la cui tragedia umana può essere risolta solo con il dialogo e la trattativa, nel rispetto della giustizia e della dignità di ogni persona, specialmente i più deboli e indifesi.

  il testo integrale

  video


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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - L'idolatria del denaro che corrompe - ricchezza, vanità, orgoglio - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
20 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: 
contro l'idolatria del danaro

Il denaro ammala il pensiero e la fede e ci fa andare per un’altra strada. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi sottolineato che, dall’idolatria del denaro, nascono mali come la vanità e l’orgoglio che ci rendono “maniaci di questioni oziose”.

“Non si può servire Dio e il denaro”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dalle parole di San Paolo sul rapporto “fra la strada di Gesù Cristo e il denaro”. C’è qualcosa “nell’atteggiamento di amore verso il denaro – ha osservato – che ci allontana da Dio”. Ci sono “tante malattie, tanti peccati, ma Gesù – ha detto – su questo sottolinea tanto”: “l’avidità del denaro, infatti, è la radice di tutti i mali”. Presi da “questo desiderio”, ha constatato il Papa, “alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti”. E con amarezza ha aggiunto: “E’ tanto il potere del denaro, che ti fa deviare dalla fede, pure”, addirittura “ti toglie la fede: la indebolisce e tu la perdi!”:
“Ma il denaro anche ammala il pensiero, anche ammala la fede e la fa andare per un’altra strada. Queste parole oziose, discussioni inutili… E va più avanti… Da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, i conflitti di uomini corrotti nella mente e privi della verità, che considerano la religione come fonte di guadagno. ‘Io sono cattolico, io vado a Messa, perché quello mi dà un certo status. Sono guardato bene… Ma sotto faccio i miei affari, no? Sono un cultore del denaro’. E qui dice una parola, che la troviamo tanto, tanto frequentemente sui giornali: ‘Uomini corrotti nella mente’. Il denaro corrompe! Non c’è via di uscita”.
Se scegli “la via del denaro”, ha aggiunto, “alla fine sarai un corrotto”. Il denaro, ha detto ancora, “ha questa seduzione di farti scivolare lentamente nella tua perdizione”. Ecco perché, ha avvertito, “Gesù è tanto forte” su questo argomento:
“‘Non puoi servire Dio e il denaro’. Non si può: o l’uno o l’altro! E questo non è comunismo, eh! Questo è Vangelo puro! Queste sono le parole di Gesù! Cosa succede col denaro? Il denaro ti offre un certo benessere all’inizio. Ma. va bene... Poi ti senti un po’ importante e viene la vanità. Lo abbiamo letto nel Salmo che viene questa vanità. Questa vanità che non serve, ma tu ti senti una persona importante: quella è la vanità. E dalla vanità alla superbia, all’orgoglio. Sono tre scalini: la ricchezza, la vanità e l’orgoglio”...

  Il Papa: no all’idolatria del denaro, non si può andare a Messa e poi farsi i propri affari

 
video



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Il testo del card. Bergoglio sui presbiteri secondo il documento di Aparecida

  Jorge Mario Bergoglio:  IL MESSAGGIO DI APARECIDA AI PRESBITERI (pdf)


Mi infastidisce il fatto che Papa Francesco venga spesso definito un "grande comunicatore", con riferimento agli ampi spazi che ottiene sui media grandi e piccoli. Mi infastidisce perché, lavorando nel campo, so quanto di costruito ci sia nella comunicazione mediatica, dove poco è spontaneo, nulla genuino. Gli uomini pubblici, le aziende e le organizzazioni sanno quanto essa è importante, e proprio per questo si circondano di portavoce, uffici stampa ed esperti vari, investendo denaro, competenze e tempo per "costruire" la propria immagine e farla conoscere insieme - a volte, ma non sempre - alle proprie idee.
Papa Francesco ha a che fare con tutto questo?

  Paola Springhetti:  È Francesco, non Obama o Montalbano

In questi giorni mi sembra di vivere uno sdoppiamento della realtà. Da un lato ascolto le parole del Papa, dall'altra vedo una volontà generalizzata di seguirlo a parole, ma non coi fatti.
La profezia ha bisogno di tempo per diventare carne è vero, ma la crisi economica, sociale e morale in cui ci troviamo immersi ci chiede di "rianimare il paziente". Altrimenti muore. E ne saremmo noi i responsabili.

  Francesca Lozito:  Le parole del Papa e i fatti nostri

Le telefonate di Francesco dimostrano i cambiamenti che Jorge Mario Bergoglio ha portato nel modo di comunicare. Un'analisi di monsignor Roberto Busti, vescovo di Mantova e già responsabile della comunicazione sociale dell'arcidiocesi di Milano, portavoce del cardinale Carlo Maria Martini.

  Roberto Busti:  TELEFONATE, INCONTRI: RICORDA IL CARDINALE MARTINI


«Beati pauperes», beati i poveri. È il titolo dell'enciclica che secondo molte fonti giornalistiche ed ecclesiastiche il Papa starebbe scrivendo. Anzi, secondo alcuni avrebbe già scritto, nelle settimane d'agosto trascorse a Santa Marta quando mezza Curia era in vacanza.
Ma lunedì scorso, nel dialogo a porte chiuse con il clero di Roma, Francesco ha fatto capire che la «Beati pauperes» non è affatto in cantiere.

  Andrea Tornielli:  «Beati pauperes», l'enciclica che (finora) non c'è

Ormai ne vediamo tutti i giorni: titoli distorti se il Papa scrive a Scalfari; giornalisti che vedono "aperture" in ogni campo della morale se il Papa concede un'intervista al direttore di Civiltà Cattolica. Ma fin qui uno si può trattenere: lettere private e interviste, di per sè, non sono atti di magistero.
Però oggi Papa Francesco ha fatto un discorso epocale ai medici cattolici (leggilo qui), degno di figurare accanto a quello famosissimo di Pio XII alle ostetriche nel 1951 e i titoli parlano solo del "pensiero" mattutino a Santa Marta su "i soldi corrompono", dove il Papa ha semplicemente ribadito la dottrina tradizionale già presente nella lettera di Paolo a Timoteo che si leggeva nella Messa!

  CANTUALE ANTONIANUM:  La stampa laica e il sistematico boicottaggio del magistero di Papa Francesco. Ma la Rete dà accesso alla verità

E grazie, papa Francesco , per il tuo motto incentrato sullamisericordia e sull’amore .Sta a tutti sentire il tuo respiro paterno di un pastore che “sa dell’odore delle pecore “ e che incoraggia anche grazie alle tue scelte già attuate in tutti i settori , anche in quelli ritenuti per troppo tempo dei “tabù”.
Con papa Francesco il Vangelo cammina. Davvero

  Mario Pavan:  Papa Francesco testimone e guida paterna



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   AVVISI: 

  1) La newsletter è settimanale;

 

  2) Il servizio di "Lectio" a cura di fr. Egidio Palumbo alla pagina:

      http://digilander.libero.it/tempo_perso_2/la_lectio_del_Vangelo_della_domenica.htm

 

  3) Il  servizio omelia di P. Gregorio on-line (mp3) alla pagina

            http://digilander.libero.it/tempodipace/l_omelia_di_p_Gregorio.htm