"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
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NEWSLETTER n°43 del 2013
Aggiornamento della settimana -
dal 19 al 25 ottobre 2013 -
Prossima NEWSLETTER prevista per il 1° novembre 2013 |
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N. B. La Lectio viene sospesa nel periodo estivo
(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)"Dove
sono i sopravvissuti?". E' questa la domanda che hanno rivolto una
decina di eritrei alle cariche istituzionali presenti ai funerali di
Stato per le oltre 300 vittime del naufragio avvenuto a Lampedusa lo
scorso 3 ottobre...
Tragedia Lampedusa, svolti i funerali di Stato ad Agrigento La cerimonia con il vicepremier Alfano (contestato) e il ministro Kyenge vista dall'isola della strage.
Kalid
ha 24 anni, la pelle bruciata dal sole e un solco profondo sul volto
che gli scende dalla fronte fino a metà della guancia. Ride e gioca con
i suoi amici giocando a pallone nel campo sportivo di Lampedusa, a due
passi dal cimitero delle carrette del mare, dove le barche della morte
sono ammassate. Appena gli diciamo che oggi si svolgevano i funerali
dei suoi compagni di viaggio ad Agrigento l’espressione si incupisce e
i suoi occhi neri si alzano al cielo. «Non lo sapevo. Dove? Qui a
Lampedusa? Quando?».
Poche
ore più tardi qualche decina di migranti si dirigono in fila indiana
verso la Guitgia. Marciano in silenzio, scortati da un paio di
camionette della polizia, per commemorare le vittime degli sbarchi.
Questione di pochi minuti e si rientra al “campo della vergogna” di
Lampedusa, le loro nuove case. Tutti in silenzio, tutti in fila,
seguiti passo passo dalle forze dell’ordine. Si celebra così il ricordo
delle vittime a Lampedusa.
In quelle ore ad Agrigento andava in scena lo strano spettacolo di un funerale senza bare. ...
«Questo
funerale-farsa è il simbolo della mancanza di identità politica e
culturale del nostro paese» mi dice don Mimmo, parroco di Lampedusa. «E
i parenti delle vittime? Sono settimane che girano per la Sicilia alla
ricerca dei loro cari defunti. Non si sa nemmeno chi sia stato tumulato
e dove».
La
“porta sul Mediterraneo”, come viene definita per risuscitare il nostro
orgoglio di “italiani brava gente” nei fatti viene facilmente
dimenticata a Roma. Marianne Kamstral è olandese, da 28 anni vive a
Lampedusa. Fa parte di coloro che hanno ufficialmente richiesto alle
autorità di poter ospitare i migranti sopravvissuti presso le loro
abitazioni. «Pensavamo che fosse un gesto caritatevole per lenire il
dramma di queste persone» ci dice Marianne.
Ma
la prefettura di Agrigento la pensava diversamente. «Ci è stato detto
che non era possibile senza spiegarci il motivo». Lo stesso vale per
coloro che intendono portare derrate e beni di prima necessità al CPSA
di Lampedusa: «Ogni volta che ho provato a portare cibo o vestiti al
“campo” la polizia mi ha fermato, dicendo che non era possibile e che
dovevo andarmene» ci dice Lillo Maggiore. «Ho anche chiesto al comune
che mi venga dato in affido un bambino. E smuoverò mari e monti per
farlo, mi creda». ...
Il funerale-farsa di Agrigento, Lampedusa beffata Lampedusa, i profughi eritrei pregano per le vittime video Ad Agrigento il “non funerale” delle vittime di Lampedusa
«Questo funerale è una presa in giro. Ma come si fa a invitare ufficialmente l’ambasciatore eritreo in Italia, che rappresenta il regime, alle esequie di centinaia di persone morte per scappare dall’orrore di quello stesso regime?». È sconsolato padre Mussie Zerai, sacerdote cattolico eritreo che vive tra Roma e Svizzera, soprannominato da tanti “l’angelo dei profughi”, perché chi sale sui barconi nella speranza di raggiungere l’Europa come prima cosa chiama lui per chiedere aiuti quando i bastimenti rischiano di affondare. Oggi ad Agrigento si terranno i funerali dei 365 profughi che sono morti lo scorso 3 ottobre davanti a Lampedusa, insieme ad altri 20 deceduti davanti ad Agrigento pochi giorni dopo, ma per padre Zerai «sono un insulto alle vittime». Perché i funerali ad Agrigento sono «una presa in giro»?
Prima
il premier Letta ha annunciato in mondovisione che sarebbe stato un
funerale di Stato e poi l’hanno declassato a cerimonia pubblica per
commemorare i defunti. Hanno annunciato la data solo giovedì scorso,
impedendo così a molte famiglie che volevano partecipare di
organizzarsi. Per di più sarà un funerale in assenza delle salme, che
sono già state tumulate, ed è stato invitato ufficialmente anche
l’ambasciatore in Italia del regime eritreo. Allora mi chiedo: a che
cosa serve un funerale così?
E cosa si risponde?
Che
serve a certe persone per mettersi la coscienza a posto e poter dire di
aver fatto qualcosa. Ma sono già stati creati fin troppi problemi...
Lampedusa. «I funerali di Agrigento un insulto alle vittime» Intervista a don Mosè Zerai
video
Al
termine della commemorazione per le vittime del naufragio di Lampedusa,
quando le autorità hanno lasciato il molo di San Leone, un gruppo di
eritrei ha lanciato in acqua corone di fiori e acceso candele sul
lungomare di Agrigento.
Agrigento, corone in mare: il saluto dei connazionali
video --------------------------------------- Due bare distese una accanto all’altra. Una grande e scura, l’altra più piccola e bianca, e un numero inciso sopra: 369. A
piazza Montecitorio la comunità eritrea ha scelto così di ricordare al
governo italiano la strage di Lampedusa. In una manifestazione nata per
contestare la gestione dei funerali della strage del 3 ottobre scorso,
ma anche per chiedere un impegno serio all’Italia sul fronte
dell’immigrazione: dalla revisione della legge Bossi-Fini alla
definizione di una legge sull’asilo. «I profughi: vittime di una
società barbara e innocente», si legge nello striscione che hanno
affisso sotto la piazza del Parlamento. E ancora: «Mediterraneo mare di
morte, Eritrea paese di morte», «Abbasso i mercanti di morte», recitano
gli altri cartelli. Mentre tutti i partecipanti indossano una maglietta
nera con su scritto «l’unico responsabile della tragedia di Lampedusa è
il regime di Afwerky»... Le bare davanti a Montecitorio per la strage di Lampedusa .... Quest’isola di seimila anime
ha ospitato nel Centro di accoglienza per i clandestini migliaia di
migranti – uomini, donne e bambini. Ai diecimila del Centro ora si sono
aggiunti i naufraghi. E i lampedusani li ospitano, è nel loro Dna: chi
bussa alla porta, affamato, riceve cibo; chi, inzuppato dalla pioggia,
chiede riparo o una coperta, li riceve. Dai primi di ottobre, sono
iniziati ad arrivare numerosi anche i morti: cadaveri da navi affondate
galleggiano sul mare e arrivano sulle spiagge; i pescatori li tirano
fuori dall’acqua. E salvano coloro che altrimenti annegherebbero. Nel
far questo, i pescatori di Lampedusa potrebbero commettere un reato, e
non sanno come e quale. Possono portarli a casa loro e tenerli lì fino
a quando non si sono ripresi? O hanno il dovere di notificare la loro
presenza immediatamente? E che succede se il clandestino li implora di
non dire nulla alle autorità? Che succede se il clandestino scappa?
Devono informare le autorità che è fuggito? O devono immediatamente
andare a caccia di lui? Quando avviene che il samaritano è considerato
dallo Stato colpevole di un reato?
L’Europa
ha chiuso le frontiere, non vuole i migranti africani. Vivi o morti,
sono diventati nemici. Ogni Paese della Ue ha le proprie leggi che
bloccano il migrante in Centri di accoglienza, dai quali poi è
trasferito ad altri campi, i Cara (Centri di Accoglienza Richiedenti
Asilo), e infine i Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione), in
attesa di rimpatrio. L’Italia è andata oltre.
...
Noi,
cittadini italiani, dobbiamo confrontarci con il protezionismo miope
della Ue, con le normative e i regolamenti iniqui del nostro
Parlamento; non dobbiamo dimenticare che siamo una nazione di emigranti
in Europa e negli altri continenti.
Non
sono fiera di essere europea e non posso essere fiera di essere
italiana. Sono fiera di essere conterranea della signora di Lampedusa
che trent’anni fa mi disse «voi, come la gente che viene dal mare,
siete ospiti nostri», e del dottor Bartalo, medico condotto di
Lampedusa, che nonostante una ischemia, ha continuato a lavorare giorno
e notte per i suoi pazienti. E sono fiera dei tanti siciliani che – da
sindaci, da amministratori, da impiegati e da civili - si danno da fare
in silenzio per accogliere i migranti nella comunità.
Lampedusa, voi siete ospiti nostri (pdf)
Lampedusa: i giorni della tragedia
video
"Ora che tutti avete visto quelle bare speriamo che davvero qualcosa cambi. Non deludeteci", così il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini rivolgendosi all'Unione Europea all'Europarlamento a Bruxelles. Dopo
l’incontro con Schulz, nel giorno in cui a Bruxelles si riuniscono i
leader dei Ventotto, la Nicolini dice: «Mi aspetto che cambi la
politica di asilo, non può più essere consentito che venga chiesto a
nuoto, è vergognoso di fronte al mondo». Il sindaco di Lampedusa
Nicolini aggiunge: «Una politica che non permette di chiedere asilo
prima di salire su quei barconi - ha proseguito - è ingiusta, anche per
noi. Ci condannano a un destino di frontiera». Il primo cittadino di
Lampedusa ha invocato a più riprese la necessità di cambiare la
politica dell’asilo, a partire dal regolamento di Dublino, di dare la
possibilità a chi fugge dalle guerre e dalle dittature di non morire
attraversando il Mediterraneo, altrimenti «è l’Europa che naufraga con
loro». «Le risposte non sono Frontex o Mare Nostrum - ha evidenziato -.
Queste operazioni limitano i naufragi ma non li evitano. Occorre
cambiare il sistema di richiesta di asilo». Schulz si è impegnato ad
affrontare l’emergenza dell’isola siciliana insieme ai leader europei:
«Solleverò stasera (giovedì, ndr) di fronte ai leader dei Ventotto il
caso di Lampedusa, chiedendo risposte e di intensificare il sostegno» a
Lampedusa.
Immigrazione, il sindaco di Lampedusa all’Ue: «Ora che avete visto quelle bare, non deludeteci»
video
È
arrivata l’ora di una politica migratoria davvero europea: solidale,
pragmatica e strategica». Così Martin Schulz, il presidente
(socialdemocratico) del Parlamento europeo in un’intervista esclusiva
con “l’Espresso” nella quale mette a nudo le falle del sistema di
richiesta d’asilo, il regolamento di Dublino e la mancanza di veri
meccanismi che fronteggino i flussi migratori. «L’Europa è un
continente d’immigrazione», insiste Schulz, «e mettere la testa sotto
la sabbia non l’aiuterà di certo a superare l’emergenza».
Migranti, non criminali
--------------------------------------- Impossibile fare di peggio. Così sono
stati commentati i funerali delle vittime di
Lampedusa,tenutisi in modo scomposto e in gran ritardo lunedì
21 ottobre, in tono minore rispetto ai funerali di stato ipotizzati dal
primo ministro Letta e in assenza dei defunti, seppelliti per ragioni
di sanità pubblica nei giorni precedenti in vari cimiteri della Sicilia.
La presenza del governo eritreo alla cerimonia, un governo che non riconosce il dramma nazionale che spinge un quarto della propria popolazione a emigrare all’estero, ma che è stato prontissimo ad incassare politicamente i dividendi della tragedia, ha aggiunto danno alla beffa, indignazione al dolore già profondissimo delle famiglie. Eppure, sì, è possibile ancora fare di peggio. Lia Quartapelle: Lampedusa occupiamoci di quei corpi senza nome --------------------------------------------------------------- SEGNALATO IN FACEBOOK NELLA NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA"«La morte di Raffaele deve
pesare sulle coscienze di tutti. Non è possibile portare i disabili
gravi a manifestare per chiedere quello che dovrebbe essere un diritto:
l’assistenza domiciliare per i malati. Questa morte ce l’hanno sulla
coscienza il governo precedente e quello attuale, che ci hanno
costretto a fare nove presidi in un anno e mezzo». Sono parole
durissime quelle di Mariangela Lamanna, vicepresidente del Comitato 16
novembre Onlus, dopo la morte di Raffaele Pennacchio, il medico di 55
anni malato di Sla morto dopo due giorni di presidio a Roma per
chiedere più fondi per l’assistenza domiciliare dei disabili gravissimi.
Muore Raffaele Pennacchio, medico malato Sla: presidiava ministero --------------------------------------------------------------- Fate in fretta, non abbiamo tempo.
Raffaele Pennacchio lo aveva detto anche l’altro ieri ai rappresentanti
del Governo che lo avevano ricevuto, insieme ai suoi compagni di
battaglia, per ascoltare le ragioni della protesta. Lo aveva ripetuto
in strada, sotto il ministero dell’Economia, insieme agli amici del
Comitato 16 novembre.
Fate in fretta, non abbiamo tempo. E per Raffaele, ormai, di tempo a disposizione non ce n’è davvero più. È morto in un albergo di Roma, qualche ora dopo aver ottenuto l’ennesimo impegno da parte dell’Esecutivo per il rafforzamento dell’assistenza domiciliare a discapito dei posti letto nelle Rsa (residenze sanitarie assistenziali) e l’aumento del Fondo per la non autosufficienza. Riccardo Benotti: Fate in fretta. Non abbiamo tempo ---------------------------------------------------------------
(GIA' ANTICIPATO NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)Molto
più che le parole hanno parlato molto chiaramente i gesti. Durante il
funerale di Lea Garofalo sabato scorso a Milano ci sono stati segni
profondi che hanno segnato l'anima. In quella piazza si è toccato con
mano che anche i segni di morte possono diventare semi di vita nuova.
Un sabato mattina in una piazza di Milano “Oggi
non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla”. Sono le parole di don
Luigi Ciotti, presidente di Libera, che oggi a Milano ha officiato i
funerali civili di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa nel
2009 dall’ex compagno e boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco. Una piazza
Beccaria gremita ha accolto il feretro tra le bandiere colorate che
Libera ha dedicato alla vittima di mafia. “Ai tanti giovani inghiottiti
dalle organizzazioni mafiose – ha aggiunto don Ciotti – dico,
contribuite a cercare la verità. Noi non vi lasceremo soli”. Il prete
antimafia si è poi commosso quando ha ammesso: ”Abbiamo tanto dolore
dentro, perché non ce l’abbiamo fatta a salvarla”. Una commozione che
ha coinvolto tutti i presenti quando la figlia di Lea Garofalo, Denise
Cosco, è intervenuta con un messaggio audio trasmesso dalla località
protetta in cui si trova. “Ringrazio tutti”, ha esordito, prima di
terminare con un commosso “Ciao mamma!”. In piazza anche Marisa
Garofalo, sorella di Lea: “È giusto che Lea abbia un funerale
dignitoso, ringrazio il sindaco Giuliano Pisapia, don Luigi Ciotti e il
sindaco di Petilia Policastro“. “In effetti – ha aggiunto – mia sorella
questa vicinanza non l’ha mai avuta in vita e ciò provoca anche rabbia.
Forse con un decimo di queste attenzioni e di questo affetto oggi
sarebbe ancora in vita”. Nel corso della cerimonia è stato letto un
messaggio che la donna aveva scritto al Presidente Giorgio Napolitano
quattro anni fa, prima del fatale attentato che la raggiunse nonostante
il programma di protezione. Lea non riuscì mai a spedire la lettera al
Capo dello Stato, dove si presentava come “una mamma disperata, allo
stremo delle forze”. “Mi trovo con mia figlia, isolata da tutto e da
tutti”, scriveva al Presidente della Repubblica. “Ho perso ogni
prospettiva di futuro ma sapevo a cosa andavo incontro con la mia
scelta. Non posso cambiare il corso della mia triste storia, ma vorrei
con questa mia richiesta di aiuto che lei rispondesse alla decine di
persone nelle mie stesse condizioni. La prego, ci dia un segnale di
speranza” (fonte: Il fatto quotidiano)
video
...
Davvero una giornata di emozioni e di dignità civile, guidata da questa
“meraviglia di gioventù”, come ha detto dal palco don Ciotti. Con tanti
ragazzi, naturalmente. Se qui si è parlato solo di ragazze, è perché la
loro rivolta civile ha un senso particolare. Il potere più maschilista
e totalitario ha pensato che uccidere e bruciare una donna fosse un
fatto privato, giustificato dalle leggi dell’onore. Le ragazze invece
dicono che è un grande fatto pubblico.
Nelle
loro speranze, la sconfitta della ‘ndrangheta in Lombardia partirà
dalle donne. Destinate a ubbidire e invece ribelli. Destinate a tacere
e invece testimoni collettive. L’antimafia con gli occhi lucidi ha,
ancora una volta, un orgoglio femminile.
Funerali di Lea Garofalo, la lotta alla ’ndrangheta ha il volto e la forza delle donne Ai funerali di Lea Garofalo parla, dal luogo segreto nel quale è sottoposta a sorveglianza speciale, anche la
figlia: "Per me è un giorno triste, ma la forza me l'hai data tu,
se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di
ringraziarti. Ciao"
"Ciao mamma. Grazie". (video)
E'
stata un'esperienza immensa, credetemi. I funerali di Lea Garofalo
resteranno uno dei fatti più importanti, esemplari, una delle più
grandi svolte nella storia della lotta alla mafia, e non solo al nord.
Chi non ha vissuto la temperie vera, le sofferenze e i coraggi di
questa lotta può non capirlo. Ma è così: come i lenzuoli bianchi a
Palermo nel '92 ("e che ci fanno i lenzuoli alla mafia? Il
solletico..."), come la fiaccolata muta del 3 settembre dell'83 per
ricordare il prefetto dalla Chiesa ("e che ci fanno le processioni alla
mafia? Sai che paura..."), come l'intitolazione di via dello Stadio a
Pippo Fava a Catania il 5 gennaio dell'85 ("e che ci fa alla mafia una
targa di cartone messa da quattro carusi?").
Bisognerebbe
ripassarla tutta la storia di Lea per capire piazza Beccaria. Le sue
paure, il suo colloquio drammatico con don Ciotti ("se mi capita
qualcosa lei non deve mai lasciare sola mia figlia"), la sua scomparsa,
la denuncia di Denise, la sua vita di ragazza braccata e clandestina...
FATTI CHE SONO SIMBOLI E SIMBOLI CHE OLTREPASSANO I FATTI. pdf --------------------------------------- La mafia è una struttura
di peccato, incompatibile col Vangelo. La posizione della Chiesa
siciliana nei confronti dell’organizzazione criminale Cosa nostra, ma
anche della sub-cultura mafiosa, è ormai assodata, confortata da
documenti ufficiali, interventi, omelie. Il sigillo è giunto con il
riconoscimento del martirio di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia in
odio alla fede. Ma quanta acqua è dovuta passare sotto i ponti, acqua
insanguinata da omicidi di servitori dello Stato e gente comune,
politici e magistrati, perfino di tre sacerdoti tra il 1916 e il 1920,
fatti fuori per avere messo i bastoni tra le ruote degli interessi
economici dei boss.
Un lungo percorso di decifrazione e assunzione di consapevolezza, che il teologo monsignor Cataldo Naro, scomparso nel 2006, in un suo saggio divideva in tre fasi: del silenzio, della parola, del grido (dopo l’intervento di Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993). Ma si sarebbe potuto fare uno scatto in avanti prima? Alessandra Turrisi: Antimafia, il cammino della Chiesa Don Ciotti e Giuliano Pisapia presentano le celebrazioni per Lea Garofalo
Giuliano Pisapia (video) Don Luigi Ciotti (video) Durante la celebrazione letto un testo che la donna scrisse , ma non spedì, a Napolitano: «La prego, mi aiuti»
CORRIERE DELLA SERA: Lea Garofalo, piazza gremita e bandiere gialle Funerali civili per il simbolo antimafia
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LA VITA CRISTIANA COME CAMMINO
HOREB n. 65 - 2/2013TRACCE
DI SPIRITUALITA'
A CURA DEI CARMELITANI È sempre
bello partecipare della gioia di un bambino che, dopo aver gattonato
per settimane, finalmente, tenuto per mano dai genitori, riesce a stare
in piedi e a muovere i primi passi. Gli brillano gli occhi e grida di
gioia, poi, quando scopre che può camminare da solo, da quel momento si
sente libero di esplorare le cose che lo circondano. Questo l'incipit dell'Editoriale di Horeb, Quaderni di riflessione e formazione per quanti desiderano coltivare una spiritualità che assuma e valorizzi il quotidiano.
Editoriale (pdf)
Sommario (pdf) E' possibile richiedere
copie-saggio gratuite:
CONVENTO DEL CARMINE
98051 BARCELLONA P.G. (ME)
E-mail: horeb.tracce@alice.it
Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto
I MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ - 2013 Dal 16 Ottobre al 4 Dicembre Sala del Convento dalle h. 20.00 alle h. 21.00 IL SANGUE DEI MARTIRI SEME DI NUOVI CRISTIANI --------------------------------------------------------------- SEGNALATI IN FACEBOOK NELLA NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA"Troppo spesso... La preghiera è il respiro della fede... Se si spegne la fede... Oggi ricorre la Giornata Mondiale Missionaria... Possediamo davvero... La comunità di Gesù... Vivere nell'attesa del ritorno... Nessuna cella è così isolata... La parola di Dio è come un fuoco... La giustizia indica... La famiglia è... --------------------------------------------------------------- SEGNALATI IN FACEBOOK NELLA NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA"10 anni fa la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta
Compresi che l'amore... Non possiamo dare niente... Venite a me... Quando ho fame... --------------------------------------------------------------- La prima pietra della nuova
chiesa intitolata al beato padre Pino Puglisi sarà posata domani 20
ottobre, alla vigilia della giornata che la Chiesa ha a lui dedicato
nel giorno del suo battesimo.
Il parroco ucciso per mano della mafia il 15 settembre 1993 è egli stesso “una pietra su cui poggia la Chiesa”. Lo ha ricordato Papa Francesco attraverso le parole affidate al cardinale Paolo Romeo, in udienza generale in piazza San Pietro lo scorso mercoledì. Padre Puglisi, domani la prima pietra della chiesa dedicata al beato21 ottobre
memoria liturgica del Beato Padre Pino Puglisi Beato Padre Pino Puglisi Siamo testimoni della speranza... Se ognuno fa qualcosa... Nel giorno in cui la Chiesa per la prima volta celebra la memoria liturgica del Beato Padre Pino Puglisi riproponiamo il nostro precedente post (all'interno anche i link ad altri nostri post): Nel giorno della nascita in terra ed anche in cielo del Beato Pino Puglisi... IL MIRACOLO DI DON "TRE P" --------------------------------------------------------------- 22 ottobre memoria liturgica del Beato Giovanni Paolo II
Memoria liturgica di Giovanni Paolo II (video)Lasciate che Cristo dimori nel vostro cuore...Non abbiate paura... Dio ha detto una volta... La certezza dell'amore di Dio... Non c'è pace senza giustizia... --------------------------------------------------------------- LE PIETRE D'INCIAMPO DEL VANGELO "L'anima mia è turbata.
Che cosa dirò: «Padre, salvami da quest'ora»? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora!" (Giovanni, 12,27) Gianfranco Ravasi: «Salvami da quest'ora»: Gesù sperimenta sofferenza e paura --------------------------------------------------------------- (GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)RUBRICA
Un cuore che ascolta - lev shomea' "Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9) Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica di Santino Coppolino Vangelo: Lc 18,1-8
Con
la presente pericope si conclude il lungo insegnamento sulla fede che
l'evangelista Luca ha iniziato nel capitolo 17 con la richiesta dei
discepoli a Gesù: "Accresci la nostra fede".
Il Signore dice chiaramente che la fede non sta a Dio, concederla,
accrescerla o meno, essa è la risposta degli uomini al dono d'amore che
il Padre dà a tutti. E' l'adesione ad un progetto, che in Gesù si fa
carne, vita vissuta, modello di un mondo così come Dio l'ha sognato e
che nel "Magnificat" trova le sue coordinate:
..."Ha spiegato la potenza del suo braccio....ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili" (Lc 1,51-52). --------------------------------------- Omelia di don Angelo Casati
nella 29ª Domenica del Tempo Ordinario Anno C - 20 ottobre 2013
Es 17,8-13a
Sal 120
2Tm 3,14-4,2
Lc 18,1-8
A
che cosa mira questa parabola è già detto esplicitamente nella nota che
la introduce: "diceva loro una parabola per mostrare che essi dovevano
pregare sempre e non stancarsi". Pregare sempre in ogni momento, in
ogni situazione: sono i due significati della parola greca "pa,ntote"
(pântote). E non stancarsi. Dunque il pericolo che qui Gesù vuole
sottolineare è quello della stanchezza. Di quale stanchezza si parla?
Della stanchezza del "grido che non ha risposta".
E'
la stanchezza che avrebbe potuto prendere la vedova del Vangelo che
andava dal giudice e gli diceva "Fammi giustizia" e il giudice non
ascoltava, non faceva giustizia. La vedova della parabola - voi lo
sapete -fa parte di quella categoria biblica che identifica coloro che
sono senza difesa -la vedova, l'orfano, il povero-: non hanno un marito
che le difende, non hanno un padre che li difende, non hanno i soldi
che li difendono.Dovrebbe difenderli la legge, dovrebbe difenderli il
giudice. Lui dovrebbe ascoltare il grido dei senza difesa, lui dovrebbe
ascoltare la richiesta di giustizia. Se il giudice non interviene,
allora a ingiustizia si aggiunge ingiustizia e già è grave che a un
povero, a un orfano, a una vedova, a un debole sia stato fatto
ingiustizia. Già è grave.
Ma
se il giudice non interviene allora diventa causa del perpetuarsi di
una situazione di ingiustizia: è come se il giudice non la
interrompesse. Mi sembra di capire che Gesù narrandoci del giudice
ingiusto, che alla fine però -dopo aver temporeggiato- interviene,
voglia sostenere la nostra speranza e la nostra resistenza a pregare.
Se interviene un giudice ingiusto, pressato dall'intervento della
vedova, volete che non intervenga Dio, pressato dalla nostra preghiera?
Questo sembra essere il messaggio centrale della parabola.
Io
mi chiedo però se, sotto l'immagine, non possa essere sotteso anche un
altro messaggio forse più inquietante: quello -se così si può dire- del
ritardo di Dio. Perché devi insistere nella preghiera e non
stancarti?....
....
omelia di don Angelo nella 29ª Domenica del Tempo Ordinario--------------------------------------- Vangelo di Luca 18,1-8 Riflessione del Card. Gianfranco Ravasi
20 ottobre 2013
Il
card. Gianfranco Ravasi inizia la sua riflessione citando queste parole
di Piero Calamandrei: «Non disdice all'austerità delle aule giudiziarie
il Crocifisso: soltanto non vorrei che fosse collocato, come è, dietro
le spalle dei giudici. In questo modo può vederlo soltanto il
giudicabile, il quale, guardando in faccia i giudici, vorrebbe aver
fede nella loro giustizia; ma poi, scorgendo dietro a loro, sulla
parete di fondo, il simbolo doloroso dell'errore giudiziario, è portato
a credere che esso lo ammonisca a lasciare ogni speranza: simbolo non
di fede ma di disperazione. Quasi si direbbe che sia stato lasciato
lì, dietro le spalle dei giudici, apposta per impedire che lo vedano: e
invece si vorrebbe che fosse collocato proprio in faccia a loro, ben
visibile nella parete di fronte, perché lo considerassero con umiltà
mentre giudicano, e non dimenticassero mai che incombe su di loro il
terribile pericolo di condannare un innocente».
LA RIFLESSIONE INTEGRALE (video)
--------------------------------------- Un volto che chiama
di Giovanni Mazzillo
(Teologo)
V come volto, come viso, da vedere;
ma anche come vettore.
Ogni
volto, ogni persona è via di comunicazione ed empatia con l’altro,
specchio e chiave dell’essenza della persona umana. Ma anche
trascendenza che oltrepassa i confini dell’umano.
V
come volto, come viso, da vedere; ma anche come vettore. Ogni volto è
un essere umano che chiama, ma anche ogni essere umano è un volto che
mi guarda. Non è solo un viso, cioè qualcosa che si vede e di cui ci si
accorge, un viso da guardare, talvolta da ammirare, da compatire. Ma è
un volto, perché è rivolto verso di me, si gira per incontrare il mio
sguardo, per intercettare i miei occhi, per essere guardato e, a sua
volta, per guardare ancora. È un vettore di comunicazione e tende a
essere uno strumento di comunione. Tocca l’essenza della persona umana
che si gira e si protende verso altre persone per vedere...
Vedere
che cosa? Vedere il mondo, con i propri occhi e con lo sguardo
dell’altro. Ciò di cui Gesù diceva «La lucerna del tuo corpo è
l’occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella
luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada dunque
che la luce che è in te non sia tenebra» (Lc 11,34-35).
La
frase alquanto sorprendente di Gesù può significare molte cose, ma in
primo luogo indica la predisposizione che ciascuno ha per l’altro, che
pertanto può essere approcciato di buon occhio, cioè con benevolenza;
oppure con malevolenza, appunto di cattivo occhio. In ogni caso,
l’occhio è la finestra dell’anima. È finestra, nel senso che lo sguardo
è da essa predisposto e condizionato. Un animo intimorito e insicuro
guarderà con sospetto e timore il volto altrui, un animo terrorizzato
vi leggerà la minaccia, mentre un animo afflitto tenderà a commuoverlo
o troverà strano che il volto altrui sia sorridente. È già un piccolo
miracolo se quel sorriso riuscirà a rasserenare o almeno a confortare
lo sguardo dell’altro.
Eppure
è un miracolo possibile e la comunicazione, quella vera, quella che
tende alla comunione, opera simili miracoli. In quali momenti e in che
maniera? ...
"Un volto che chiama" di Giovanni Mazzillo
--------------------------------------- "La preghiera
ci fa stare nel mondo da responsabili, ci mette negli occhi l'orizzonte di Dio" di Alberto Neglia, ocarm (video) Estratto dell'incontro del 16 ottobre 2013 - I Mercoledì della Spiritualità 2013 - "La spiritualità cristiana: la preghiera" "La
preghiera sottrae la persona dalla banalità e da una logica perversa e
di disordine, dalle alienazioni, la rende consapevole della sua dignità
e della sua vocazione e rimette il credente in relazione, in libertà e
senza paura, con l’Altro e con gli altri. La preghiera ci fa stare nel mondo da responsabili perché ci mette negli occhi l’orizzonte di Dio. Se
la preghiera ci introduce nel ritmo di Dio, ci fa vedere meglio la
volontà del Padre, essa ci aiuta pure a penetrare più profondamente la
realtà. Per dirla con Isacco di Ninive, essa è «visione delle fiamme
delle cose» e di tutte le cose ci fa assumere la responsabilità con la
stessa dedizione di colui che ci abita e impedisce alla nostra carità
di disincarnarsi. Pregando,
allora, non abbandoniamo il mondo e i suoi drammi, ma impariamo a
vederlo semplicemente in una mutata disposizione. È esperienza in cui
viene spostato il centro del nostro pensare e del nostro agire: dall’io a Dio. Egli diventa la sorgente che coinvolge tutte le nostre potenzialità e le spinge al compimento. Nella preghiera veniamo
coinvolti da colui che ci visita a vivere da figli, da uomini liberi, e
veniamo anche rassicurati: «Non abbiate paura, sono io» (Gv 6,20), dove
quel “sono io” vuol dire io vi do il mio respiro, io vi accompagno, vi
apro la strada della vita. Se, nella preghiera, ci affidiamo a lui e ci
lasciamo plasmare dallo Spirito di Gesù, che si è aperto al futuro,
agli altri fino a donare la vita, allora, assieme a lui impariamo anche
noi ad aprirci e a saper donare la vita. Quando impariamo ad accettare
di “dare la vita”, allora qualsiasi paura svanirà, perché «il dono di
sé, consumato fino alla fine in obbedienza al Padre, è la difficile ma
liberante risposta della fede alla paura» (b. costacurta, La vita minacciata. Il tema della paura nella Bibbia Ebraica, PIB, Roma 1988, 285).
video
--------------------------------------- È
come un centro, attorno al quale le parole del Papa continuano a
gravitare. Questo centro è la parola "preghiera". Ovvio, si dirà, la
preghiera è fondante per un cristiano. Ma è come se in tanti invece
vivessimo, quanto a questo, dentro a una nuvola di oblio. Chi è
cristiano fin da bambino rischia di dimenticarsi lo stupore di un
pregare che con l’abitudine si è come ingrigito. Chi è tornato indietro
da altri mondi, atei, materialisti o semplicemente distratti, può non
trovare affatto così semplice l’affidarsi a un invisibile Altro, in cui
pure spera.
Insomma, è un bel salto, per quanti vivono nel tacito positivismo che ammette solo ciò che si può misurare, concepire di dare del "tu" all’Infinito... Marina Corradi: La preghiera secondo Francesco (Quella straordinaria mite promessa) --------------------------------------------------------------- Serena Noceti: Dalla parte delle donne. Rileggere il Vaticano II (pdf) Nicoletta Dentico: Le donne della chiesa, da Martini a Papa Francesco. (pdf) ---------------------------------------------------------------
(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)Tre ragioni per il grido di «vergogna» del Papa
di mons. Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
C’è
una parola, uscita dalla bocca e dal cuore di Papa Francesco con
singolare energia, su cui mi sembra importante ritornare: quella che,
visibilmente colpito, pronunciò nell’apprendere la notizia della
tragedia nelle acque di Lampedusa, dove il naufragio di una delle
carrette del mare, impiegate per l’attraversamento del Mediterraneo,
provocò la morte di centinaia di profughi alla ricerca di un futuro
degno della persona umana. Quella parola, non da tutti compresa,
perfino malintesa o rifiutata, fu: “Vergogna!”. È una parola forte, che
mi sembra giusto approfondire per il messaggio decisivo che porta con
sé. Poiché ci si vergogna o di qualcosa che si è fatto o di qualcosa
che di dovrebbe fare e non si è ancora fatto, comunque sempre e
necessariamente nei confronti di qualcuno (come fa capire l’etimologia
del termine, che deriva dal latino “verecundia”, da “vereri”, “aver
rispetto”, “riverire”), mi sembra di poter cogliere nell’espressione
del Papa almeno tre livelli di significato, capaci di aiutare la
riflessione di tutti sulla sfida dell’immigrazione e sulla necessità di
raccoglierla a partire dalla dignità degli immigrati...
Tre ragioni per il grido di "vergogna" del Papa
-------------------------------------------- IL PRINCIPIO PASSIONE.
La forza che ci spinge ad amare - Intervista al teologo Vito Mancuso - Raitre "Che tempo che fa" 20 ottobre 2013 “... L’unica perfezione che conosco è quella dell’amore, ma l’amore genera passione … Credere
in Dio è credere che quella passione per il bene, per la giustizia che
si muove dentro di me ogni tanto non è un'illusione, non è
semplicemente un portato psicologico... ma è l’attestazione di una
realtà più profonda che è bene e che è giustizia, dagli uomini
tradizionalmente è chiamata Dio." video
Per saperne di più:
la scheda del libro IL PRINCIPIO PASSIONE -------------------------------------------- Nel coraggio dei suoi pastori la gente ritrova il suo coraggio.
don Italo Calabrò
Ma
che succede quando è molto più facile seguire il vecchio detto “fa ciò
che il prete dice, non ciò che fa”? Cosa succede quando i confini tra
Chiesa e ‘ndrangheta diventano così labili da mescolarsi e confondere?
Cosa succede se accanto alla Chiesa che resiste, testimoniata
quotidianamente da “apostoli” senza targa come don Pino, don Giacomo, don Ennio, c’è un’altra Chiesa, che si volta dall’altra parte?
Queste sono le domande del libro.
Domande partite, per cercare le prime risposte, con il convegno organizzato a Reggio Calabria, il 10 settembre 2012, da sabbiarossa ED e archivio stop’ndrangheta. Il dibattito,
intenso e partecipatissimo, ha rotto gli schemi dei non detti proprio
in giorni simbolo: quelli dei festeggiamenti della Madonna della
Consolazione. Ma non bastava...
la 'ndrangheta davanti all'altare C’è
la chiesa di don Puglisi, di monsignor Montenegro. E c’è la chiesa che
si volta dall’altra parte. C’è la chiesa dei parroci che non celebrano
i funerali dei boss e c’è quella dei sacerdoti che nelle aule di
giustizia testimoniano a favore dei capicosca. ...
I
preti antimafia raramente vengono premiati, non diventano mai
Monsignore in Calabria. Il vescovo di Locri, Bregantini, che ai mafiosi
disse “vi scomunico perché fate abortire i nostri giovani uccidendo e
sparando” venne trasferito”.
Il
problema non è come la mafia usi la Chiesa ma come la Chiesa si ponga
di fronte alla mafia e perché solamente con grandissimo ritardo vi
siano state prese di posizione per cosi dire nette o ufficiali. Abbiamo
dovuto aspettare il grido di Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993,
dopo le stragi di Falcone e Borsellino”. ...
“La
verità è che non siamo di fronte ad un sintomo- ha commentato in
chiusura di dibattito padre Felice Scalia- ma di fronte ad una
metastasi. Il delitto oggi non è ciò che si fa, ma il fatto che lo si
denunci, che lo si dica. I nodi però sono venuti al pettine quando ci
siamo accorti che la mafia ha fatto da collettore di voti e la Chiesa
ha cercato ed ottenuto corsie preferenziali dalla politica. Questi due
mondi si sono incontrati. Papa Giovanni Paolo II è vero, ha detto
quelle parole ad Agrigento, ma non ha mai toccato nel suo papato il
cuore del problema. Si deve toccare la sete di potere, la corsa al
potere, quella lotta per il potere che è ancora presente nella Chiesa.
Sappiamo tutti che la Chiesa influisce sulle elezioni e la mafia fa da
collettore di voti ed entrambe sono unite nell’anticomunismo. Oggi più
che mai abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si
sentano a loro agio” ...
Padre Scalia. "Abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si sentano a loro agio" Il
servizio del TGR Calabria (andato in onda 16/09/13, realizzato da
Antonio Condò) sulla presentazione a Gerace de "La 'ndrangheta davanti
all'altare", collana IMPRONTE, sabbiarossa ED, 2013. All'evento
del 15 settembre 2013 hanno partecipato, oltre tre dei cinque autori
(Paola Bottero, Cristina Riso, Alessandro Russo), il Procuratore
aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, e da don
Giacomo Panizza.
video -------------------------------------------- A
50 anni dall’Inter Mirifica, siamo di fronte “a un cambio d’epoca, non
a un’epoca di cambiamenti”, come dimostra la rivoluzione dei media
digitali: allora come oggi, però, gli strumenti della comunicazione
sociale non sono “un fatto tecnico, ma una questione antropologica,
dove la variabile umana appare decisiva”. Un esempio per tutti: Papa
Francesco, il cui segreto “non sta nell’assunzione di strategie
comunicative particolari, ma nell’eloquenza della sua testimonianza
personale”. A tracciare un ampio affresco su come è cambiata la
comunicazione ecclesiale nell’ultimo mezzo secolo è stato monsignor Domenico Pompili,
direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della
Cei, aprendo l’incontro per i direttori degli uffici diocesani e gli
incaricati regionali del settore.
M. Michela Nicolais: Si va imponendo un modello relazionale di informazione Si
fa sentire anche sulle auto l’effetto Bergoglio oltre le mura leonine.
Dopo la scomparsa di molte croci d’oro (ma c’è chi dice che non poche
fossero di bigiotteria) dal petto di vescovi e alti prelati,
prontamente sostituite con più sobrie croci d’argento o metalliche,
come quella di Papa Francesco che la porta in ferro, è ora il turno
delle berline di lusso. Sono già oltre una ventina i presuli e i
monsignori che hanno provveduto a disfarsi, anche attraverso il parco
auto del Vaticano, delle auto di grossa cilindrata a favore di ben più
modeste utilitarie.
CORRIERE DELLA SERA: Effetto Bergoglio in Vaticano, via le auto di lusso --------------------------------------------------------------- (GIA' ANTICIPATO NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)«Il
tempo del carcere può e deve essere impostato come un tempo educativo e
rieducativo, nel quale la detenzione e la pena subita si integrino in
un percorso complessivo di crescita della persona, dal punto di vista
umano e cristiano». E’ questo il filo conduttore dell’intervento tenuto
da mons . Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI, al convegno
nazionale dei Cappellani delle Carceri Italiane, in corso a Sacrofano
(RM),
Chi
sono i carcerati? Per Crociata «non si tratta di persone “di serie B”,
ma sovente di uomini e donne che, pur essendosi macchiati di crimini
più o meno gravi, hanno vissuto sofferenze e difficoltà, e ora hanno
bisogno di comprensione e dell’appoggio della società per potersi
rialzare e reinserire nelle normali relazioni sociali. Non è
ammissibile che migliaia di persone vivano quasi dimenticate per lunghi
periodi, abbandonate a una sofferenza che potrebbe in parte essere
alleviata e che non è certo il fine della detenzione»...
Crociata: “Il tempo del carcere sia davvero rieducativo” Titolo dell'intervento del Segretario Generale della CEI: “Educare alla vita buona in Cristo: i volti nella giustizia”.
Tra
i punti salienti della relazione di Mons. Crociata, la delicata
situazione delle carceri e dei carcerati, il dovere della carità verso
più deboli, la pastorale carceraria secondo le dimensioni della vita
ecclesiale, educare alla vita buona nella libertà e nella giustizia, le
tappe del cammino rieducativo, generare alla speranza e proporre
percorsi di santità
il testo integrale dell'intervento di Mons. Crociata Dio
non resta fuori dalle celle dei carcerati, ma è dentro anche Lui con
loro: è quanto ha detto il Papa stamani ricevendo nell’Aula Paolo VI in
Vaticano, prima dell’udienza generale, i circa 200 partecipanti al
Convegno nazionale dei cappellani delle carceri Italiane promosso a
Sacrofano, nei pressi di Roma, sul tema “Giustizia: pena o
riconciliazione. Liberi per liberare”
Papa
Francesco, in questi primi mesi di Pontificato, ha ricevuto oltre 500
lettere dai detenuti italiani. I cappellani delle carceri del Paese
sono 233, al servizio di circa 64.mila carcerati, senza contare le
persone agli arresti domiciliari. Durante l’udienza è stata donata al
Papa una borsa da viaggio fabbricata per lui dalle detenute del carcere
femminile di Rebibbia.
video
testo integrale del discorso di Papa Francesco ai partecipanti al Convegno nazionale dei Cappellani delle carceri italiane
-------------------------------------------- È
un appuntamento straordinario quello in programma ad Amman in Giordania
dal 24 al 27 ottobre prossimi. Nel cuore del Medio Oriente, le donne
sono protagoniste. Una folta rappresentanza di donne provenienti da
Irak, Egitto, Israele, Emirati Arabi, Palestina, Líbano e Giordania, si
ritroveranno insieme ad altre donne provenienti da Italia, Spagna,
Argentina, Burundi, Messico per il convegno “Donne credenti al servizio della vita, della dignità e del bene comune”,
promosso dall’Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche
(Umofc) in collaborazione con il Patriarcato Latino di Gerusalemme e il
Forum Internazionale di Azione Cattolica (Fiac).
ZENIT: Donne credenti al servizio della vita, della dignità e del bene comune In occasione della “Id al-Adha”
(“Festa del sacrificio”, nota anche come “Id al-Kabir”, cioè la
festa grande), durante la quale si ricorda il sacrificio di un
montone da parte di Abramo, la comunità islamica di immigrati in Italia
ha organizzato, sabato 19 ottobre, un congresso nell'ambito delle
celebrazioni, in segno di ringraziamento al Santo Padre
Francesco.
Davanti a questo gesto di apertura al dialogo interreligioso tra cattolici e musulmani, ZENIT ha intervistato il fondatore di Uniti per unire, una delle organizzazioni partecipanti all’evento: Foad Aodi, medico italiano di origini palestinesi. Sergio Mora: Il mondo musulmano impressionato da Francesco ---------------------------------------------------------------
Angelus/Regina Cæli - Angelus, 20 ottobre 2013 Discorso - Alla Delegazione della Federazione Luterana Mondiale e ai membri della Commissione luterano-cattolica per l'unità (21 ottobre 2013) Discorso - Ai partecipanti al Convegno nazionale dei Cappellani delle carceri italiane (23 ottobre 2013)
Discorso - Alla Delegazione del "Simon Wiesenthal Center" (24 ottobre 2013) Discorso - Ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia (25 ottobre 2013) Udienza - 23 ottobre 2013 --------------------------------------------------------------- SEGNALATI IN FACEBOOK NELLA NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA"19/10/2013: Seguire Gesù vuol dire...21/10/2013:
Per conoscere il Signore...22/10/2013:
Il crocifisso non ci parla...24/10/2013:
Essere cristiani vuol dire...25/10/2013:
La cultura dello scarto...--------------------------------------------------------------- (GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)20 ottobre 2013
Cari fratelli e sorelle,
nel
Vangelo di oggi Gesù racconta una parabola sulla necessità di pregare
sempre, senza stancarsi. La protagonista è una vedova che, a forza di
supplicare un giudice disonesto, riesce a farsi fare giustizia da lui.
E Gesù conclude: se la vedova è riuscita a convincere quel giudice,
volete che Dio non ascolti noi, se lo preghiamo con insistenza?
L’espressione di Gesù è molto forte: «E Dio non farà forse giustizia ai
suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (Lc 18,7).
“Gridare
giorno e notte” verso Dio! Ci colpisce questa immagine della preghiera.
Ma chiediamoci: perché Dio vuole questo? Lui non conosce già le nostre
necessità? Che senso ha “insistere” con Dio?
Questa
è una buona domanda, che ci fa approfondire un aspetto molto importante
della fede: Dio ci invita a pregare con insistenza non perché non sa di
che cosa abbiamo bisogno, o perché non ci ascolta. Al contrario, Lui
ascolta sempre e conosce tutto di noi, con amore. Nel nostro cammino
quotidiano, specialmente nelle difficoltà, nella lotta contro il male
fuori e dentro di noi, il Signore non è lontano, è al nostro fianco;
noi lottiamo con Lui accanto, e la nostra arma è proprio la preghiera,
che ci fa sentire la sua presenza accanto a noi, la sua misericordia,
anche il suo aiuto.
...
Buona domenica! Arrivederci e buon pranzo!
il testo integrale dell'Angelus
video
-------------------------------------------- Piazza San Pietro Mercoledì, 23 ottobre 2013 Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Continuando
le catechesi sulla Chiesa, oggi vorrei guardare a Maria come immagine e
modello della Chiesa. Lo faccio riprendendo un’espressione del Concilio
Vaticano II. Dice la Costituzione Lumen gentium: «Come già insegnava
Sant’Ambrogio, la Madre di Dio è figura della Chiesa nell’ordine della
fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» (n. 63).
1.
Partiamo dal primo aspetto, Maria come modello di fede. In che senso
Maria rappresenta un modello per la fede della Chiesa? Pensiamo a chi
era la Vergine Maria: una ragazza ebrea, che aspettava con tutto il
cuore la redenzione del suo popolo. Ma in quel cuore di giovane figlia
d’Israele c’era un segreto che lei stessa ancora non conosceva: nel
disegno d’amore di Dio era destinata a diventare la Madre del
Redentore. Nell’Annunciazione, il Messaggero di Dio la chiama “piena di
grazia” e le rivela questo progetto. Maria risponde “sì” e da quel
momento la fede di Maria riceve una luce nuova: si concentra su Gesù,
il Figlio di Dio che da lei ha preso carne e nel quale si compiono le
promesse di tutta la storia della salvezza. La fede di Maria è il
compimento della fede d’Israele, in lei è proprio concentrato tutto il
cammino, tutta la strada di quel popolo che aspettava la redenzione, e
in questo senso è il modello della fede della Chiesa, che ha come
centro Cristo, incarnazione dell’amore infinito di Dio.
Come
ha vissuto Maria questa fede? L’ha vissuta nella semplicità delle mille
occupazioni e preoccupazioni quotidiane di ogni mamma, come provvedere
il cibo, il vestito, la cura della casa... Proprio questa esistenza
normale della Madonna fu il terreno dove si svolse un rapporto
singolare e un dialogo profondo tra lei e Dio, tra lei e il suo Figlio.
Il “sì” di Maria, già perfetto all’inizio, è cresciuto fino all’ora
della Croce. Lì la sua maternità si è dilatata abbracciando ognuno di
noi, la nostra vita, per guidarci al suo Figlio. Maria è vissuta sempre
immersa nel mistero del Dio fatto uomo, come sua prima e perfetta
discepola, meditando ogni cosa nel suo cuore alla luce dello Spirito
Santo, per comprendere e mettere in pratica tutta la volontà di Dio.
Possiamo
farci una domanda: ci lasciamo illuminare dalla fede di Maria, che è
nostra Madre? Oppure la pensiamo lontana, troppo diversa da noi? Nei
momenti di difficoltà, di prova, di buio, guardiamo a lei come modello
di fiducia in Dio, che vuole sempre e soltanto il nostro bene? ...
testo integrale della catechesi di Papa Francesco video della catechesi del Papa
Anche
oggi oltre centomila i fedeli in piazza S. Pietro che hanno ascoltato
la catechesi di Papa Francesco ed atteso un incontro con lui che, come
sempre, si è concesso a tutti con grande disponibilità.
Proponiamo anche il video completo dell'incontro odierno con l'abbraccio ai fedeli...
video
-------------------------------------------- S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 21 ottobre 2013 inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
“La cupidigia distrugge il cuore dell'uomo”
La
cupidigia, l’attaccamento ai soldi, distrugge le persone, distrugge le
famiglie e i rapporti con gli altri: è quanto ha detto il Papa stamani
durante la Messa a Santa Marta. L'invito non è quello di scegliere la
povertà in se stessa, ma di utilizzare le ricchezze che Dio ci dà per
aiutare chi ha bisogno.
Commentando
il Vangelo del giorno, in cui un uomo chiede a Gesù di intervenire per
risolvere una questione di eredità con suo fratello, il Papa sviluppa
il problema del nostro rapporto con i soldi:
“Questo
è un problema di tutti i giorni. Quante famiglie distrutte abbiamo
visto per il problema di soldi: fratello contro fratello; padre contro
figlio… E’ questo il primo lavoro che fa questo atteggiamento
dell’essere attaccato ai soldi, distrugge! Quando una persona è
attaccata ai soldi, distrugge se stessa, distrugge la famiglia! I soldi
distruggono! Fanno questo, no? Ti attaccano. I soldi servono per
portare avanti tante cose buone, tanti lavori per sviluppare l’umanità,
ma quando il tuo cuore è attaccato così, ti distrugge”.
Gesù
racconta la parabola dell’uomo ricco, che vive per accumulare “tesori
per sé” e “non si arricchisce presso Dio”. L’avvertimento di Gesù è
quello di tenersi lontano da ogni cupidigia:
“E’
quello che fa male: la cupidigia nel mio rapporto con i soldi. Avere di
più, avere di più, avere di più… Ti porta all’idolatria, ti distrugge
il rapporto con gli altri! Non i soldi, ma l’atteggiamento, che si
chiama cupidigia....
Si
potrebbe essere portati a pensare, ha avvertito il Papa, che si tratti
di atteggiamenti del passato: «oggi nessuno di noi va per le strade ad
adorare statue». Ma non è così perché «anche oggi – ha detto il
Pontefice – ci sono tanti idoli e anche oggi ci sono tanti idolatri.
Tanti che si credono sapienti, anche fra noi, fra i cristiani». E ha
subito aggiunto: «Io non parlo di quelli che non sono cristiani; li
rispetto. Ma fra noi parliamo in famiglia». Molti cristiani infatti «si
credono sapienti, sanno tutto», ma alla fine «diventano stolti e
cambiano la gloria di Dio, incorruttibile, con un'immagine: il proprio
io», con le proprie idee, con la propria comodità. E non è una cosa
d'altri tempi perché «anche oggi – ha evidenziato il Pontefice – per le
strade ci sono gli idoli».
... “Il Signore ci insegna qual è il cammino: non è il cammino della povertà per la povertà. No! E’ il cammino della povertà come strumento,
perché Dio sia Dio, perché Lui sia l’unico Signore! No l’idolo d’oro! E
tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per fare andare avanti il
mondo, andare avanti l’umanità, per aiutare, per aiutare gli altri.
Rimanga oggi nel nostro cuore la Parola del Signore: ‘Fate attenzione e
tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è
nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede’”.
Il Papa: l'attaccamento ai soldi distrugge persone e famiglie, usiamo i beni che Dio ci dà per aiutare gli altri video -------------------------------------------- Papa
Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Dio ci salva con tenerezza - (video e testo)
S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
22 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
“Dio non ci salva per una legge, ci salva con la sua vita”
Contemplazione,
vicinanza, abbondanza: sono le tre parole intorno alle quali Papa
Francesco ha incentrato la sua omelia nella Messa di stamani alla Casa
Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non si può capire Dio soltanto con
l’intelligenza ed ha sottolineato che “la sfida di Dio” è
“immischiarsi” nelle nostre vite per guarire le nostre piaghe, proprio
come ha fatto Gesù.
Per
entrare nel mistero di Dio non basta l’intelligenza, ma servono
“contemplazione, vicinanza e abbondanza”. E’ quanto sottolineato da
Papa Francesco che ha preso spunto dalla Prima Lettura di oggi, un
brano della Lettera di San Paolo ai Romani. La Chiesa, ha detto il
Papa, “quando vuole dirci qualcosa” sul mistero di Dio, “soltanto usa
una parola: meravigliosamente”. Questo mistero, ha proseguito, è “un
mistero meraviglioso”: “Contemplare
il mistero, questo che Paolo ci dice qui, sulla nostra salvezza, sulla
nostra redenzione, soltanto si capisce in ginocchio, nella
contemplazione. Non soltanto con l’intelligenza. Quando l’intelligenza
vuole spiegare un mistero, sempre – sempre! – diventa pazza! E così è
accaduto nella Storia della Chiesa. La contemplazione: intelligenza,
cuore, ginocchia, preghiera … tutto insieme, entrare nel mistero.
Quella è la prima parola che forse ci aiuterà”. La seconda parola che ci aiuterà ad entrare nel mistero, ha detto, è “vicinanza”... “A
me, l’immagine che viene è quella dell’infermiere, dell’infermiera in
un ospedale: guarisce le ferite ad una ad una, ma con le sue mani. Dio
si coinvolge, si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle
nostre piaghe e le guarisce con le sue mani, e per avere mani si è
fatto uomo. E’ un lavoro di Gesù, personale. Un uomo ha fatto il
peccato, un uomo viene a guarirlo. Vicinanza. Dio non ci salva soltanto per un decreto, una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita, per noi”. La terza parola, ha ripreso il Papa, è “abbondanza”... Questo
mistero, ha ribadito ancora, “non è facile capirlo, non si capisce
bene, con l’intelligenza”. Soltanto, “forse, ci aiuteranno queste tre
parole”: contemplazione, vicinanza e abbondanza. E’ un Dio, ha concluso
il Papa, “che sempre vince con la sovrabbondanza della sua grazia, con
la sua tenerezza”, “con la sua ricchezza di misericordia”.
Il Papa: Dio non ci salva per decreto, si immischia con noi per guarire le nostre ferite video -------------------------------------------- Papa
Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Cristiani all'acqua di rose - (video e testo)
S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
24 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
“Se non viviamo la Fede, siamo cristiani a memoria”
Bisogna
entrare nella «logica del prima e del dopo» per non diventare
«cristiani tiepidi» o «all'acqua di rose», se non addirittura ipocriti.
Con questa efficace espressione Papa Francesco, durante la messa
celebrata giovedì mattina, 24 ottobre, nella cappella di Santa Marta,
ha riproposto l'atteggiamento con il quale i cristiani devono
accostarsi al mistero della salvezza operata da Gesù.
Il
riferimento iniziale è stato alla lettera ai Romani (6, 19-23), nella
quale san Paolo «cerca di farci capire quel mistero tanto grande della
nostra redenzione, del nostro perdono, del perdono dei nostri peccati
in Cristo Gesù». L'apostolo avverte che non è facile capire e sentire
questo mistero. Per aiutarci a comprenderlo usa quella che il Pontefice
ha definito «la logica del prima e del dopo: prima di Gesù e dopo
Gesù», così come riassunto nel canto al Vangelo della liturgia del
giorno (Filippesi, 3, 8): «Tutto ho lasciato perdere e considero
spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui». Per san
Paolo, dunque, conta soltanto Cristo. Egli, ha affermato il Papa,
«sentiva tanto forte questo: la fede che ci fa giusti, ci giustifica
davanti al Padre». Paolo ha abbandonato l'uomo «di prima». Ed è
diventato l'uomo «di dopo» il cui obiettivo è «guadagnare Cristo»...
Senza
questa coscienza del prima e del dopo, «il nostro cristianesimo non
serve a nessuno». Anzi, diventa «ipocrisia: mi dico cristiano, ma vivo
come pagano. Alcune volte diciamo: cristiani a metà cammino», che non
considerano seriamente il fatto di essere «santificati per il sangue di
Cristo». E se non si prende sul serio questa santificazione, si diventa
come quelli che il Papa ha definito «cristiani tiepidi: sì sì, no no
no... È un po' come dicevano le nostre mamme, cristiani all'acqua di rose:
un po' così, un po' di vernice cristiana, un po' di vernice di
catechesi, ma dentro non c'è una vera conversione, non c'è questa
convinzione di Paolo: Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura,
per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui».
Questa,
ha aggiunto il Vescovo di Roma, era «la passione di Paolo». E questa
deve essere «la passione di un cristiano: lasciar perdere tutto quello
che ci allontana da Cristo, il Signore; lasciar perdere tutto quello
che ci allontana dall'atto di fede in lui, dall'atto di fede nella
ri-creazione per mezzo del suo sangue. E fare tutto nuovo. Tutto è
novità in Cristo. Tutto è nuovo».
È un obiettivo possibile?...
La logica del prima e del dopo
video
-------------------------------------------- S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
25 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
confessiamoci davanti a Dio senza paura
Avere
il coraggio davanti al confessore di chiamare i peccati con il loro
nome, senza nasconderli. L’omelia di questa mattina, nella Messa
celebrata a Casa Santa Marta, è stata interamente incentrata da Papa
Francesco sul Sacramento della Riconciliazione. Confessarsi, ha detto,
è andare incontro all’amore di Gesù con sincerità di cuore e con la
trasparenza dei bambini, non rifiutando ma anzi accogliendo la “grazia
della vergogna”, che fa percepire il perdono di Dio.
Per
molti credenti adulti, confessarsi davanti al sacerdote è uno sforzo
insostenibile – che induce sovente a scansare il Sacramento – o una
pena tale che al dunque trasforma un momento di verità in un esercizio
di finzione. San Paolo, nella Lettera ai Romani commentata da Papa
Francesco, fa esattamente il contrario: ammette pubblicamente davanti
alla comunità che nella “sua carne non abita il bene”. Afferma di
essere uno “schiavo” che non fa il bene che vuole, ma compie il male
che non vuole. Questo accade nella vita di fede, osserva il Papa, per
cui “quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”:
“E questa è la lotta dei cristiani. E’ la nostra lotta di tutti i giorni.,,
“Alcuni
dicono: ‘Ah, io mi confesso con Dio’. Ma è facile, è come confessarti
per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a
faccia, non c’è un quattrocchi. Paolo confessa la sua debolezza ai
fratelli faccia a faccia. Altri: ‘No, io vado a confessarmi’ ma si
confessano di cose tanto eteree, tanto nell’aria, che non hanno nessuna
concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri
peccati non è andare ad una seduta di psichiatria, neppure andare in
una sala di tortura: è dire al Signore ‘Signore sono peccatore’, ma
dirlo tramite il fratello, perché questo dire sia anche concreto. ‘E
sono peccatore per questo, per questo e per questo’”.
Concretezza,
onestà e anche – soggiunge Papa Francesco – una sincera capacità di
vergognarsi dei propri sbagli: non ci sono viottoli in ombra
alternativi alla strada aperta che porta al perdono di Dio, a percepire
nel profondo del cuore il suo perdono e il suo amore. E qui il Papa
indica chi imitare, i bambini: “I piccoli hanno quella saggezza: quando
un bambino viene a confessarsi, mai dice una cosa generale. ‘Ma, padre
ho fatto questo e ho fatto questo a mia zia, all’altro ho detto questa
parola’ e dicono la parola. Ma sono concreti, eh? Hanno quella semplicità della verità.
E noi abbiamo sempre la tendenza di nascondere la realtà delle nostre
miserie. Ma c’è una cosa bella: quando noi confessiamo i nostri peccati
come sono alla presenza di Dio, sempre sentiamo quella grazia della vergogna. Vergognarsi davanti a Dio è una grazia...
Il Papa: la lotta di un cristiano contro il male è anche confessare con sincerità e concretezza i peccati
video
-------------------------------------------- Francesco: «Papa missionario» per una cattolicità planetaria. Il «fidei donum» di nome Francesco
di
Roberto Beretta
In
questi dintorni della Giornata missionaria mondiale, mi vien da pensare
che uno dei segni maggiori di com'è cambiata la missione in questi anni
sia proprio l'ascesa al soglio di Papa Francesco. Sì, il papa che si è
definito "venuto dalla fine del mondo", lo è davvero: è il primo
Pontefice non europeo del secondo millennio, il primo che - aspettando
il papa nero o quello che andrà a vivere nelle baraccopoli di Manila -
viene da terre tradizionalmente "di missione".
E
si vede. Guardate l'approccio semplice alla gente, la mancanza di
formalismo totale: è la stessa che troviamo nei missionari italiani in
America Latina o in Africa, quando tornano a casa e non si raccapezzano
più nelle nostre comunità zeppe di tradizioni e di sovrastrutture.
Guardate il tipo di dialogo impostato con tutti, la stima delle
religioni come reali mezzi alternativi di salvezza, il rispetto della
coscienza individuale, il senso di distacco dai poteri secolari...
Secondo me sono - almeno in parte - caratteristiche di una comunità già
"di missione" e che ora è chiamata a esercitare fin nel supremo
servizio del pontificato quella "missione di ritorno" che abbiamo
sempre immaginato e in parte auspicato nelle giovani Chiese, allorché
fosse loro toccato di venire a ri-evangelizzare il vecchio Occidente.
...
Finora
abbiamo sempre pensato che il Papa "missionario" fosse quello che
partiva dal Vaticano per visitare il mondo. Adesso la missionarietà di
questo pontefice si esplica anzitutto nel fatto di essere venuto lui
stesso da una Chiesa lontana ad esercitare il ministero nei gangli
della Curia. Non è una facile missione, la sua; immagino che, proprio
come un prete europeo in Africa, si senta piuttosto solo in questi
primi mesi davanti a un compito immane: di governo, certo, ma anche di
evangelizzazione, di pastorale, di inculturazione teologica e - perché
no? - di sviluppo. Credo persino che alcune scelte di Papa Francesco -
che a noi sembrano controcorrente, o addirittura inadatte alla dignità
pontificia (abitare in una casa con altri preti, telefonare a destra e
a manca, fare le prediche ogni mattina come un parroco qualunque, e
così via) - andrebbero lette con lo spirito con cui, per esempio, gli
abitanti di un villaggio africano osservano la proposta umana e
spirituale del sacerdote bianco venuto ad abitare tra loro.
Bergoglio
è insomma il primo papa fidei donum, come si chiamano i sacerdoti
diocesani inviati in giro per il mondo. E, come tale, è giusto che il
suo modo di essere Chiesa metta profondamente, totalmente in questione
il nostro. Siamo noi, stavolta, a dover ricevere e imparare. Avremo
l'umiltà per farlo?
Il «fidei donum» di nome Francesco di Roberto Beretta
-------------------------------------------- ... La possibilità di attingere in maniera costante alle parole che Papa
Francesco esprime “a braccio”, senza testi preparati (si pensi al
flusso continuo delle omelie di Santa Marta) toglie consistenza alle
versioni orientate e talvolta caricaturali del suo profilo e del suo
magistero confezionate dalla casta degli opinion makers ecclesiastici
di diversa obbedienza. Papa Francesco non sembra aver troppo bisogno di
esegeti ufficiosi e ermeneuti auto-nominati che in altre stagioni
ecclesiali avevano lucrato rendite di visibilità e quote di mercato
anche sul terreno della politichetta ecclesiastica. Basta ascoltare le
omelie quasi quotidiane di Bergoglio o guardare le sue catechesi per
accorgersi che diversi commenti e analisi spacciati come
“approfondimenti” del suo pontificato non raccontano né spiegano il
papa argentino, ma puntano a costruire qualche suo avatar contraffatto,
a uso e consumo delle proprie strategie mediatico-ecclesiastiche.
Chi appare godere della connessione no-stop e senza filtri con le parole e i gesti del Vescovo di Roma è in primis quello che Bergoglio stesso chiama «il santo Popolo di Dio». Non le nomenclature, i professionisti e i perditempo della polemica intra-ecclesiale a oltranza, quelli che già Joseph Ratzinger definiva come «la Chiesa auto-occupata». Ma i singoli e le moltitudini dei credenti e degli ipo-credenti senza etichette che vanno a messa (anche non sempre), che affollano i santuari, che nel silenzio compiono gesti e opere di misericordia corporale e spirituale. Quelli il cui sensus fidei, per quanto tenue, si è subito riconosciuto nelle parole, nei gesti e negli accenti di Papa Francesco. Gianni Valente: Il papa senza "filtri" Anticipiamo
alcuni stralci dell’introduzione del libro, da oggi in distribuzione,
Omelie del mattino. Nella cappella della Domus Sanctae Marthae (Città
del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pagine 346, euro 14,
«Le parole di Papa Francesco» 5) che raccoglie, così come sono state
pubblicate su «L’Osservatore Romano», le parole pronunciate da Papa
Francesco a commento del Vangelo durante le messe celebrate ogni
mattina in Vaticano, nel periodo che va dal 22 marzo al 6 luglio, con
l’aggiunta delle tre omelie nella residenza di Sumaré a Rio de Janeiro,
durante il viaggio apostolico in Brasile per la Giornata mondiale della
gioventù.
Inos Biffi: Il linguaggio plastico delle omelie di Papa Francesco. Parole chiare e dritte al segno Giù le mani dal papa. Bisogna
ripeterlo oggi che Francesco si trova strattonato a destra e a
sinistra. Bersagliato da contestatori cattolici superficiali e
imprudenti che lo rappresentano come modernista eterodosso e stravolto
da sostenitori laicisti che lo applaudono attribuendogli idee
egualmente eterodosse e quasi atee. Un circo mediatico assurdo. Come se
non bastasse a questi due schieramenti se ne aggiunge un terzo, quelli
dei neobergogliani fondamentalisti, che si sentono “superapostoli” di
questo papa e “giudicano” chi, fra i credenti, ha la fede e la grazia,
e chi no...
Antonio Socci: Per orientarsi da buoni cattolici su ciò che i giornali scrivono sul Papa Vi è un pensiero di Giacomo Leopardi che,
per circostanze imprevedibili al suo autore, risulta oggi di stretta
attualità ecclesiale: «È curioso a vedere che quasi tutti gli uomini
che vagliono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le
maniere semplici sono prese per indizio di poco valore» (Pensiero, CX).
La prima parte della frase vale per papa Francesco, la seconda concerne
un numero non indifferente di esponenti curiali, cardinali e vescovi.
Il momento straordinario legato all'inizio del pontificato di Francesco rappresenta un tempo opportuno per attuare un rinnovamento profondo nello stile ecclesiale. In questo frangente l'appoggio corale dei vescovi costituirebbe il baluardo più efficace contro lo sfruttamento mass-mediatico a cui è esposto il papa, specie se lasciato solo. Una vita ecclesiale che rifiorisce nelle diocesi si pone su un piano di concretezza non strumentalizzabile. Essa indicherebbe nel quotidiano il definitivo tramonto di una gestione ecclesiale legata più al senso del potere che a quello del servizio. Piero Stefani: Leopardi e papa Francesco ---------------------------------------------------------------
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