"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"




 NEWSLETTER n°43 del 2013

Aggiornamento della settimana

- dal 19 al 25 ottobre 2013 -

 

                                    Prossima NEWSLETTER prevista per il 1° novembre 2013          


 
 



IL VANGELO DELLA DOMENICA 


LECTIO DIVINA

 a cura di Fr. Egidio Palumbo




OMELIA 

    di P. Gregorio Battaglia
  di P. Aurelio Antista
  di P. Alberto Neglia

 
N. B. La Lectio viene sospesa nel periodo estivo



NOTA

Articoli, riflessioni e commenti proposti vogliono solo essere
un contributo alla riflessione e al dialogo su temi di attualità.

Le posizioni espresse non sempre rappresentano l’opinione di "TEMPO PERSO" sul tema in questione. 









I NOSTRI TEMPI




  (GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)


Il funerale-farsa di Agrigento,"Dove sono i sopravvissuti?". Lampedusa beffata


"Dove sono i sopravvissuti?". E' questa la domanda che hanno rivolto una decina di eritrei alle cariche istituzionali presenti ai funerali di Stato per le oltre 300 vittime del naufragio avvenuto a Lampedusa lo scorso 3 ottobre...

   Tragedia Lampedusa, svolti i funerali di Stato ad Agrigento

La cerimonia con il vicepremier Alfano (contestato) e il ministro Kyenge vista dall'isola della strage.
Kalid ha 24 anni, la pelle bruciata dal sole e un solco profondo sul volto che gli scende dalla fronte fino a metà della guancia. Ride e gioca con i suoi amici giocando a pallone nel campo sportivo di Lampedusa, a due passi dal cimitero delle carrette del mare, dove le barche della morte sono ammassate. Appena gli diciamo che oggi si svolgevano i funerali dei suoi compagni di viaggio ad Agrigento l’espressione si incupisce e i suoi occhi neri si alzano al cielo. «Non lo sapevo. Dove? Qui a Lampedusa? Quando?».
Poche ore più tardi qualche decina di migranti si dirigono in fila indiana verso la Guitgia. Marciano in silenzio, scortati da un paio di camionette della polizia, per commemorare le vittime degli sbarchi. Questione di pochi minuti e si rientra al “campo della vergogna” di Lampedusa, le loro nuove case. Tutti in silenzio, tutti in fila, seguiti passo passo dalle forze dell’ordine. Si celebra così il ricordo delle vittime a Lampedusa.
In quelle ore ad Agrigento andava in scena lo strano spettacolo di un funerale senza bare. ... 
«Questo funerale-farsa è il simbolo della mancanza di identità politica e culturale del nostro paese» mi dice don Mimmo, parroco di Lampedusa. «E i parenti delle vittime? Sono settimane che girano per la Sicilia alla ricerca dei loro cari defunti. Non si sa nemmeno chi sia stato tumulato e dove».
La “porta sul Mediterraneo”, come viene definita per risuscitare il nostro orgoglio di “italiani brava gente” nei fatti viene facilmente dimenticata a Roma. Marianne Kamstral è olandese, da 28 anni vive a Lampedusa. Fa parte di coloro che hanno ufficialmente richiesto alle autorità di poter ospitare i migranti sopravvissuti presso le loro abitazioni. «Pensavamo che fosse un gesto caritatevole per lenire il dramma di queste persone» ci dice Marianne.
Ma la prefettura di Agrigento la pensava diversamente. «Ci è stato detto che non era possibile senza spiegarci il motivo». Lo stesso vale per coloro che intendono portare derrate e beni di prima necessità al CPSA di Lampedusa: «Ogni volta che ho provato a portare cibo o vestiti al “campo” la polizia mi ha fermato, dicendo che non era possibile e che dovevo andarmene» ci dice Lillo Maggiore. «Ho anche chiesto al comune che mi venga dato in affido un bambino. E smuoverò mari e monti per farlo, mi creda». ...

   Il funerale-farsa di Agrigento, Lampedusa beffata


Non erano ad Agrigento, né il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, volata da Giorgio Napolitano anche per chiedere che il 3 ottobre diventi la giornata della memoria delle vittime del mare, né i sopravvissuti del naufragio bloccati nel centro di accoglienza di Lampedusa. In segno di protesta contro le autorità che hanno impedito loro di imbarcarsi per Agrigento, i migranti hanno prima aperto i cancelli del Cpt e poi inscenato un sit-in davanti al Municipio. "Uno di noi ha perso tre figlie e la moglie. Abbiamo chiesto di andare (alla cerimonia) e vogliamo farlo legalmente, ma non hanno voluto lasciarci andare", ha detto uno dei migranti a Sky TG24. "Vogliamo solo seppellire quelli che abbiamo perso in mare" ha aggiunto. I circa cento sopravvissuti si sono poi recati in mare dove hanno gettato fiori per ricordare i propri cari.
Lampedusa, i profughi eritrei pregano per le vittime

 
video

   Ad Agrigento il “non funerale” delle vittime di Lampedusa

«Questo funerale è una presa in giro. Ma come si fa a invitare ufficialmente l’ambasciatore eritreo in Italia, che rappresenta il regime, alle esequie di centinaia di persone morte per scappare dall’orrore di quello stesso regime?». È sconsolato padre Mussie Zerai, sacerdote cattolico eritreo che vive tra Roma e Svizzera, soprannominato da tanti “l’angelo dei profughi”, perché chi sale sui barconi nella speranza di raggiungere l’Europa come prima cosa chiama lui per chiedere aiuti quando i bastimenti rischiano di affondare. Oggi ad Agrigento si terranno i funerali dei 365 profughi che sono morti lo scorso 3 ottobre davanti a Lampedusa, insieme ad altri 20 deceduti davanti ad Agrigento pochi giorni dopo, ma per padre Zerai «sono un insulto alle vittime».
Perché i funerali ad Agrigento sono «una presa in giro»?
Prima il premier Letta ha annunciato in mondovisione che sarebbe stato un funerale di Stato e poi l’hanno declassato a cerimonia pubblica per commemorare i defunti. Hanno annunciato la data solo giovedì scorso, impedendo così a molte famiglie che volevano partecipare di organizzarsi. Per di più sarà un funerale in assenza delle salme, che sono già state tumulate, ed è stato invitato ufficialmente anche l’ambasciatore in Italia del regime eritreo. Allora mi chiedo: a che cosa serve un funerale così?
E cosa si risponde?
Che serve a certe persone per mettersi la coscienza a posto e poter dire di aver fatto qualcosa. Ma sono già stati creati fin troppi problemi...

   Lampedusa. «I funerali di Agrigento un insulto alle vittime»

Intervista a don Mosè Zerai

   video

Al termine della commemorazione per le vittime del naufragio di Lampedusa, quando le autorità hanno lasciato il molo di San Leone, un gruppo di eritrei ha lanciato in acqua corone di fiori e acceso candele sul lungomare di Agrigento. 
Agrigento, corone in mare: il saluto dei connazionali

   video



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Riflessioni dopo le stragi di Lampedusa...



Due bare distese una accanto all’altra. Una grande e scura, l’altra più piccola e bianca, e un numero inciso sopra: 369.
A piazza Montecitorio la comunità eritrea ha scelto così di ricordare al governo italiano la strage di Lampedusa. In una manifestazione nata per contestare la gestione dei funerali della strage del 3 ottobre scorso, ma anche per chiedere un impegno serio all’Italia sul fronte dell’immigrazione: dalla revisione della legge Bossi-Fini alla definizione di una legge sull’asilo. «I profughi: vittime di una società barbara e innocente», si legge nello striscione che hanno affisso sotto la piazza del Parlamento. E ancora: «Mediterraneo mare di morte, Eritrea paese di morte», «Abbasso i mercanti di morte», recitano gli altri cartelli. Mentre tutti i partecipanti indossano una maglietta nera con su scritto «l’unico responsabile della tragedia di Lampedusa è il regime di Afwerky»...

   Le bare davanti a Montecitorio per la strage di Lampedusa

.... Quest’isola di seimila anime ha ospitato nel Centro di accoglienza per i clandestini migliaia di migranti – uomini, donne e bambini. Ai diecimila del Centro ora si sono aggiunti i naufraghi. E i lampedusani li ospitano, è nel loro Dna: chi bussa alla porta, affamato, riceve cibo; chi, inzuppato dalla pioggia, chiede riparo o una coperta, li riceve. Dai primi di ottobre, sono iniziati ad arrivare numerosi anche i morti: cadaveri da navi affondate galleggiano sul mare e arrivano sulle spiagge; i pescatori li tirano fuori dall’acqua. E salvano coloro che altrimenti annegherebbero. 
Nel far questo, i pescatori di Lampedusa potrebbero commettere un reato, e non sanno come e quale. Possono portarli a casa loro e tenerli lì fino a quando non si sono ripresi? O hanno il dovere di notificare la loro presenza immediatamente? E che succede se il clandestino li implora di non dire nulla alle autorità? Che succede se il clandestino scappa? Devono informare le autorità che è fuggito? O devono immediatamente andare a caccia di lui? Quando avviene che il samaritano è considerato dallo Stato colpevole di un reato?
L’Europa ha chiuso le frontiere, non vuole i migranti africani. Vivi o morti, sono diventati nemici. Ogni Paese della Ue ha le proprie leggi che bloccano il migrante in Centri di accoglienza, dai quali poi è trasferito ad altri campi, i Cara (Centri di Accoglienza Richiedenti Asilo), e infine i Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione), in attesa di rimpatrio. L’Italia è andata oltre.
...
Noi, cittadini italiani, dobbiamo confrontarci con il protezionismo miope della Ue, con le normative e i regolamenti iniqui del nostro Parlamento; non dobbiamo dimenticare che siamo una nazione di emigranti in Europa e negli altri continenti. 
Non sono fiera di essere europea e non posso essere fiera di essere italiana. Sono fiera di essere conterranea della signora di Lampedusa che trent’anni fa mi disse «voi, come la gente che viene dal mare, siete ospiti nostri», e del dottor Bartalo, medico condotto di Lampedusa, che nonostante una ischemia, ha continuato a lavorare giorno e notte per i suoi pazienti. E sono fiera dei tanti siciliani che – da sindaci, da amministratori, da impiegati e da civili - si danno da fare in silenzio per accogliere i migranti nella comunità.

   Lampedusa, voi siete ospiti nostri (pdf)

Lampedusa: i giorni della tragedia

   video

"Ora che tutti avete visto quelle bare speriamo che davvero qualcosa cambi. Non deludeteci", così il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini rivolgendosi all'Unione Europea all'Europarlamento a Bruxelles.
Dopo l’incontro con Schulz, nel giorno in cui a Bruxelles si riuniscono i leader dei Ventotto, la Nicolini dice: «Mi aspetto che cambi la politica di asilo, non può più essere consentito che venga chiesto a nuoto, è vergognoso di fronte al mondo». Il sindaco di Lampedusa Nicolini aggiunge: «Una politica che non permette di chiedere asilo prima di salire su quei barconi - ha proseguito - è ingiusta, anche per noi. Ci condannano a un destino di frontiera». Il primo cittadino di Lampedusa ha invocato a più riprese la necessità di cambiare la politica dell’asilo, a partire dal regolamento di Dublino, di dare la possibilità a chi fugge dalle guerre e dalle dittature di non morire attraversando il Mediterraneo, altrimenti «è l’Europa che naufraga con loro». «Le risposte non sono Frontex o Mare Nostrum - ha evidenziato -. Queste operazioni limitano i naufragi ma non li evitano. Occorre cambiare il sistema di richiesta di asilo». Schulz si è impegnato ad affrontare l’emergenza dell’isola siciliana insieme ai leader europei: «Solleverò stasera (giovedì, ndr) di fronte ai leader dei Ventotto il caso di Lampedusa, chiedendo risposte e di intensificare il sostegno» a Lampedusa.

   Immigrazione, il sindaco di Lampedusa all’Ue: «Ora che avete visto quelle bare, non deludeteci»

   video

È arrivata l’ora di una politica migratoria davvero europea: solidale, pragmatica e strategica». Così Martin Schulz, il presidente (socialdemocratico) del Parlamento europeo in un’intervista esclusiva con “l’Espresso” nella quale mette a nudo le falle del sistema di richiesta d’asilo, il regolamento di Dublino e la mancanza di veri meccanismi che fronteggino i flussi migratori. «L’Europa è un continente d’immigrazione», insiste Schulz, «e mettere la testa sotto la sabbia non l’aiuterà di certo a superare l’emergenza».

   Migranti, non criminali


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Impossibile fare di peggio. Così sono stati commentati i funerali delle vittime di Lampedusa,tenutisi in modo scomposto e in gran ritardo lunedì 21 ottobre, in tono minore rispetto ai funerali di stato ipotizzati dal primo ministro Letta e in assenza dei defunti, seppelliti per ragioni di sanità pubblica nei giorni precedenti in vari cimiteri della Sicilia.
La presenza del governo eritreo alla cerimonia, un governo che non riconosce il dramma nazionale che spinge un quarto della propria popolazione a emigrare all’estero, ma che è stato prontissimo ad incassare politicamente i dividendi della tragedia, ha aggiunto danno alla beffa, indignazione al dolore già profondissimo delle famiglie.
Eppure, sì, è possibile ancora fare di peggio.

  Lia Quartapelle:   Lampedusa occupiamoci di quei corpi senza nome



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«La morte di Raffaele deve pesare sulle coscienze di tutti. Non è possibile portare i disabili gravi a manifestare per chiedere quello che dovrebbe essere un diritto: l’assistenza domiciliare per i malati. Questa morte ce l’hanno sulla coscienza il governo precedente e quello attuale, che ci hanno costretto a fare nove presidi in un anno e mezzo». Sono parole durissime quelle di Mariangela Lamanna, vicepresidente del Comitato 16 novembre Onlus, dopo la morte di Raffaele Pennacchio, il medico di 55 anni malato di Sla morto dopo due giorni di presidio a Roma per chiedere più fondi per l’assistenza domiciliare dei disabili gravissimi.

  Muore Raffaele Pennacchio, medico malato Sla: presidiava ministero


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Fate in fretta, non abbiamo tempo. Raffaele Pennacchio lo aveva detto anche l’altro ieri ai rappresentanti del Governo che lo avevano ricevuto, insieme ai suoi compagni di battaglia, per ascoltare le ragioni della protesta. Lo aveva ripetuto in strada, sotto il ministero dell’Economia, insieme agli amici del Comitato 16 novembre. 
Fate in fretta, non abbiamo tempo. E per Raffaele, ormai, di tempo a disposizione non ce n’è davvero più. È morto in un albergo di Roma, qualche ora dopo aver ottenuto l’ennesimo impegno da parte dell’Esecutivo per il rafforzamento dell’assistenza domiciliare a discapito dei posti letto nelle Rsa (residenze sanitarie assistenziali) e l’aumento del Fondo per la non autosufficienza.

  Riccardo Benotti:   Fate in fretta. Non abbiamo tempo

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Lotta alla mafia


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Il funerale di Lea Garofalo. Don Ciotti: "Oggi non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla"



Molto più che le parole hanno parlato molto chiaramente i gesti. Durante il funerale di Lea Garofalo sabato scorso a Milano ci sono stati segni profondi che hanno segnato l'anima. In quella piazza si è toccato con mano che anche i segni di morte possono diventare semi di vita nuova.

   Un sabato mattina in una piazza di Milano

“Oggi non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla”. Sono le parole di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che oggi a Milano ha officiato i funerali civili di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa nel 2009 dall’ex compagno e boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco. Una piazza Beccaria gremita ha accolto il feretro tra le bandiere colorate che Libera ha dedicato alla vittima di mafia. “Ai tanti giovani inghiottiti dalle organizzazioni mafiose – ha aggiunto don Ciotti – dico, contribuite a cercare la verità. Noi non vi lasceremo soli”. Il prete antimafia si è poi commosso quando ha ammesso: ”Abbiamo tanto dolore dentro, perché non ce l’abbiamo fatta a salvarla”. Una commozione che ha coinvolto tutti i presenti quando la figlia di Lea Garofalo, Denise Cosco, è intervenuta con un messaggio audio trasmesso dalla località protetta in cui si trova. “Ringrazio tutti”, ha esordito, prima di terminare con un commosso “Ciao mamma!”. In piazza anche Marisa Garofalo, sorella di Lea: “È giusto che Lea abbia un funerale dignitoso, ringrazio il sindaco Giuliano Pisapia, don Luigi Ciotti e il sindaco di Petilia Policastro“. “In effetti – ha aggiunto – mia sorella questa vicinanza non l’ha mai avuta in vita e ciò provoca anche rabbia. Forse con un decimo di queste attenzioni e di questo affetto oggi sarebbe ancora in vita”. Nel corso della cerimonia è stato letto un messaggio che la donna aveva scritto al Presidente Giorgio Napolitano quattro anni fa, prima del fatale attentato che la raggiunse nonostante il programma di protezione. Lea non riuscì mai a spedire la lettera al Capo dello Stato, dove si presentava come “una mamma disperata, allo stremo delle forze”. “Mi trovo con mia figlia, isolata da tutto e da tutti”, scriveva al Presidente della Repubblica. “Ho perso ogni prospettiva di futuro ma sapevo a cosa andavo incontro con la mia scelta. Non posso cambiare il corso della mia triste storia, ma vorrei con questa mia richiesta di aiuto che lei rispondesse alla decine di persone nelle mie stesse condizioni. La prego, ci dia un segnale di speranza” (fonte: Il fatto quotidiano)

   video

... Davvero una giornata di emozioni e di dignità civile, guidata da questa “meraviglia di gioventù”, come ha detto dal palco don Ciotti. Con tanti ragazzi, naturalmente. Se qui si è parlato solo di ragazze, è perché la loro rivolta civile ha un senso particolare. Il potere più maschilista e totalitario ha pensato che uccidere e bruciare una donna fosse un fatto privato, giustificato dalle leggi dell’onore. Le ragazze invece dicono che è un grande fatto pubblico.
Nelle loro speranze, la sconfitta della ‘ndrangheta in Lombardia partirà dalle donne. Destinate a ubbidire e invece ribelli. Destinate a tacere e invece testimoni collettive. L’antimafia con gli occhi lucidi ha, ancora una volta, un orgoglio femminile.

   Funerali di Lea Garofalo, la lotta alla ’ndrangheta ha il volto e la forza delle donne

 Ai funerali di Lea Garofalo parla, dal luogo segreto nel quale è sottoposta a sorveglianza speciale, anche la figlia: "Per me è un giorno triste, ma la forza me l'hai data tu, se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti. Ciao"

   "Ciao mamma. Grazie". (video)

E' stata un'esperienza immensa, credetemi. I funerali di Lea Garofalo resteranno uno dei fatti più importanti, esemplari, una delle più grandi svolte nella storia della lotta alla mafia, e non solo al nord. Chi non ha vissuto la temperie vera, le sofferenze e i coraggi di questa lotta può non capirlo. Ma è così: come i lenzuoli bianchi a Palermo nel '92 ("e che ci fanno i lenzuoli alla mafia? Il solletico..."), come la fiaccolata muta del 3 settembre dell'83 per ricordare il prefetto dalla Chiesa ("e che ci fanno le processioni alla mafia? Sai che paura..."), come l'intitolazione di via dello Stadio a Pippo Fava a Catania il 5 gennaio dell'85 ("e che ci fa alla mafia una targa di cartone messa da quattro carusi?"). 
Bisognerebbe ripassarla tutta la storia di Lea per capire piazza Beccaria. Le sue paure, il suo colloquio drammatico con don Ciotti ("se mi capita qualcosa lei non deve mai lasciare sola mia figlia"), la sua scomparsa, la denuncia di Denise, la sua vita di ragazza braccata e clandestina...

   FATTI CHE SONO SIMBOLI E SIMBOLI CHE OLTREPASSANO I FATTI. pdf



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La mafia è una struttura di peccato, incompatibile col Vangelo. La posizione della Chiesa siciliana nei confronti dell’organizzazione criminale Cosa nostra, ma anche della sub-cultura mafiosa, è ormai assodata, confortata da documenti ufficiali, interventi, omelie. Il sigillo è giunto con il riconoscimento del martirio di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia in odio alla fede. Ma quanta acqua è dovuta passare sotto i ponti, acqua insanguinata da omicidi di servitori dello Stato e gente comune, politici e magistrati, perfino di tre sacerdoti tra il 1916 e il 1920, fatti fuori per avere messo i bastoni tra le ruote degli interessi economici dei boss.
Un lungo percorso di decifrazione e assunzione di consapevolezza, che il teologo monsignor Cataldo Naro, scomparso nel 2006, in un suo saggio divideva in tre fasi: del silenzio, della parola, del grido (dopo l’intervento di Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993). Ma si sarebbe potuto fare uno scatto in avanti prima? 

  Alessandra Turrisi:  Antimafia, il cammino della Chiesa

Don Ciotti e Giuliano Pisapia presentano le celebrazioni per Lea Garofalo

  Giuliano Pisapia (video)
  Don Luigi Ciotti (video)


Durante la celebrazione letto un testo che la donna scrisse , ma non spedì, a Napolitano: «La prego, mi aiuti»

  CORRIERE DELLA SERA: Lea Garofalo, piazza gremita e bandiere gialle Funerali civili per il simbolo antimafia


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FEDE E
SPIRITUALITA'

 

LA VITA CRISTIANA COME CAMMINO

HOREB n. 65 - 2/2013


TRACCE DI SPIRITUALITA'
A CURA DEI CARMELITANI

È sempre bello partecipare della gioia di un bambino che, dopo aver gattonato per settimane, finalmente, tenuto per mano dai genitori, riesce a stare in piedi e a muovere i primi passi. Gli brillano gli occhi e grida di gioia, poi, quando scopre che può camminare da solo, da quel momento si sente libero di esplorare le cose che lo circondano. 

Il camminare è davvero un’esperienza connaturale all’uomo, egli è un essere itinerante, “homo viator”, secondo l'espressione di G. Marcel. Sempre in cammino non solo in senso geografico spaziale, desideroso, cioè, di lasciare un determinato luogo per raggiungere e conoscere nuove realtà, ma in cammino verso il raggiungimento della sua pienezza. 

Il bambino è chiamato gradualmente a crescere a misurarsi con i piccoli e grandi eventi, a prendere decisioni a confrontarsi con gli altri, a diventare adulto. Nel tessuto del mondo, la vita dell'uomo è una grande avventura, che conosce percorsi agevoli, lieti ma anche momenti di perplessità, arresti, crisi, desiderio di tornare indietro, ma proprio attraverso queste fasi egli cresce negli anni, e anche matura umanamente e spiritualmente. 

Il camminare, esigenza fondamentale dell’uomo, è già evidenziata dalla Bibbia che, prima di tutto, ci mostra lo stesso Dio in cammino e, poi, evidenzia che il Vivente coinvolge l’uomo nel suo cammino. 

Il profeta Michea, per esempio, annota che camminare umilmente con Dio è una delle dimensioni inseparabili che configurano l’esperienza umana e spirituale dell’uomo: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8). 

Il “camminare con Dio” esprime sia il dinamismo dell’esistenza umana sia il fondamento dell’esperienza di fede, cioè la conoscenza e l’esperienza di Dio. 

E Dio, in Gesù, si è fatto umano, compagno di viaggio di ogni uomo che lo accoglie. Lui, la “Via”, ci educa ad uscire dalla caverna egoica che rende ciechi e immobili, ci strappa da una logica mondana e di potere, ci apre orizzonti sempre nuovi e scopriamo che il viaggio della vita non lo facciamo da soli, ma assieme a tante altre persone che non sono nemici o estranei, ma fratelli. Essi sono la soglia dove ogni uomo comincia veramente a vivere. ...


Questo l'incipit dell'Editoriale di Horeb, Quaderni di riflessione e formazione per quanti desiderano coltivare una spiritualità che assuma e valorizzi il quotidiano.



   Editoriale (pdf)

   Sommario (pdf)


E' possibile richiedere copie-saggio gratuite:
CONVENTO DEL CARMINE
98051 BARCELLONA P.G. (ME)
E-mail: horeb.tracce@alice.it



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Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto

I MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ - 2013


Dal 16 Ottobre al 4 Dicembre

Sala del Convento
dalle h. 20.00 alle h. 21.00

IL SANGUE DEI MARTIRI

SEME DI NUOVI CRISTIANI

   Programma (pdf)

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  Troppo spesso...
  La preghiera è il respiro della fede...
  Se si spegne la fede...
  Oggi ricorre la Giornata Mondiale Missionaria...
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  La comunità di Gesù...
  Vivere nell'attesa del ritorno...
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10 anni fa la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta

  Compresi che l'amore...
  Non possiamo dare niente...
  Venite a me...
  Quando ho fame...

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La prima pietra della nuova chiesa intitolata al beato padre Pino Puglisi sarà posata domani 20 ottobre, alla vigilia della giornata che la Chiesa ha a lui dedicato nel giorno del suo battesimo.
Il parroco ucciso per mano della mafia il 15 settembre 1993 è egli stesso “una pietra su cui poggia la Chiesa”. Lo ha ricordato Papa Francesco attraverso le parole affidate al cardinale Paolo Romeo, in udienza generale in piazza San Pietro lo scorso mercoledì.

  Padre Puglisi, domani la prima pietra della chiesa dedicata al beato


21 ottobre
memoria liturgica del Beato Padre Pino Puglisi

  Beato Padre Pino Puglisi
  Siamo testimoni della speranza...
  Se ognuno fa qualcosa...

Nel giorno in cui la Chiesa per la prima volta celebra la memoria liturgica del Beato Padre Pino Puglisi riproponiamo il nostro precedente post (all'interno anche i link ad altri nostri post):
  Nel giorno della nascita in terra ed anche in cielo del Beato Pino Puglisi... IL MIRACOLO DI DON "TRE P"


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22 ottobre memoria liturgica del Beato Giovanni Paolo II

  Memoria liturgica di Giovanni Paolo II (video)

  Lasciate che Cristo dimori nel vostro cuore...
  Non abbiate paura...
  Dio ha detto una volta...
  La certezza dell'amore di Dio...
  Non c'è pace senza giustizia...

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LE PIETRE D'INCIAMPO DEL VANGELO

"L'anima mia è turbata.
Che cosa dirò: «Padre,
salvami da quest'ora»?
Ma proprio per questo
sono giunto a quest'ora!"
(Giovanni, 12,27)

  Gianfranco Ravasi:    «Salvami da quest'ora»: Gesù sperimenta sofferenza e paura



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RUBRICA 
Un cuore che ascolta - lev shomea' 
"Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male"  (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica di Santino Coppolino

Vangelo: Lc 18,1-8

Con la presente pericope si conclude il lungo insegnamento sulla fede che l'evangelista Luca ha iniziato nel capitolo 17 con la richiesta dei discepoli a Gesù: "Accresci la nostra fede". Il Signore dice chiaramente che la fede non sta a Dio, concederla, accrescerla o meno, essa è la risposta degli uomini al dono d'amore che il Padre dà a tutti. E' l'adesione ad un progetto, che in Gesù si fa carne, vita vissuta, modello di un mondo così come Dio l'ha sognato e che nel "Magnificat" trova le sue coordinate: 
"Ha spiegato la potenza del suo braccio....ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili" (Lc 1,51-52). 
...


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Omelia di don Angelo Casati nella 29ª Domenica del Tempo Ordinario


Omelia di don Angelo Casati 
nella 29ª Domenica del Tempo Ordinario

Anno C - 20 ottobre 2013

Es 17,8-13a 
Sal 120
2Tm 3,14-4,2 
Lc 18,1-8

A che cosa mira questa parabola è già detto esplicitamente nella nota che la introduce: "diceva loro una parabola per mostrare che essi dovevano pregare sempre e non stancarsi". Pregare sempre in ogni momento, in ogni situazione: sono i due significati della parola greca "pa,ntote" (pântote). E non stancarsi. Dunque il pericolo che qui Gesù vuole sottolineare è quello della stanchezza. Di quale stanchezza si parla? Della stanchezza del "grido che non ha risposta".

E' la stanchezza che avrebbe potuto prendere la vedova del Vangelo che andava dal giudice e gli diceva "Fammi giustizia" e il giudice non ascoltava, non faceva giustizia. La vedova della parabola - voi lo sapete -fa parte di quella categoria biblica che identifica coloro che sono senza difesa -la vedova, l'orfano, il povero-: non hanno un marito che le difende, non hanno un padre che li difende, non hanno i soldi che li difendono.Dovrebbe difenderli la legge, dovrebbe difenderli il giudice. Lui dovrebbe ascoltare il grido dei senza difesa, lui dovrebbe ascoltare la richiesta di giustizia. Se il giudice non interviene, allora a ingiustizia si aggiunge ingiustizia e già è grave che a un povero, a un orfano, a una vedova, a un debole sia stato fatto ingiustizia. Già è grave.

Ma se il giudice non interviene allora diventa causa del perpetuarsi di una situazione di ingiustizia: è come se il giudice non la interrompesse. Mi sembra di capire che Gesù narrandoci del giudice ingiusto, che alla fine però -dopo aver temporeggiato- interviene, voglia sostenere la nostra speranza e la nostra resistenza a pregare. Se interviene un giudice ingiusto, pressato dall'intervento della vedova, volete che non intervenga Dio, pressato dalla nostra preghiera? Questo sembra essere il messaggio centrale della parabola.

Io mi chiedo però se, sotto l'immagine, non possa essere sotteso anche un altro messaggio forse più inquietante: quello -se così si può dire- del ritardo di Dio. Perché devi insistere nella preghiera e non stancarti?....
....

  omelia di don Angelo nella 29ª Domenica del Tempo Ordinario



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Vangelo di Luca 18,1-8 - Riflessione del Card. Gianfranco Ravasi


Vangelo di Luca 18,1-8

Riflessione del Card. Gianfranco Ravasi
20 ottobre 2013

Il card. Gianfranco Ravasi inizia la sua riflessione citando queste parole di Piero Calamandrei: «Non disdice all'austerità delle aule giudiziarie il Crocifisso: soltanto non vorrei che fosse collocato, come è, dietro le spalle dei giudici. In questo modo può vederlo soltanto il giudicabile, il quale, guardando in faccia i giudici, vorrebbe aver fede nella loro giustizia; ma poi, scorgendo dietro a loro, sulla parete di fondo, il simbolo doloroso dell'errore giudiziario, è portato a credere che esso lo ammonisca a lasciare ogni speranza: simbolo non di fede ma di disperazione. Quasi si direbbe che sia stato lascia­to lì, dietro le spalle dei giudici, apposta per impedire che lo vedano: e invece si vorrebbe che fosse collocato proprio in fac­cia a loro, ben visibile nella parete di fronte, perché lo conside­rassero con umiltà mentre giudicano, e non dimenticassero mai che incombe su di loro il terribile pericolo di condannare un innocente».

  LA RIFLESSIONE INTEGRALE (video)


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Un volto che chiama di Giovanni Mazzillo


Un volto che chiama
di Giovanni Mazzillo 
(Teologo)

V come volto, come viso, da vedere; 
ma anche come vettore.

Ogni volto, ogni persona è via di comunicazione ed empatia con l’altro, specchio e chiave dell’essenza della persona umana. Ma anche trascendenza che oltrepassa i confini dell’umano.

V come volto, come viso, da vedere; ma anche come vettore. Ogni volto è un essere umano che chiama, ma anche ogni essere umano è un volto che mi guarda. Non è solo un viso, cioè qualcosa che si vede e di cui ci si accorge, un viso da guardare, talvolta da ammirare, da compatire. Ma è un volto, perché è rivolto verso di me, si gira per incontrare il mio sguardo, per intercettare i miei occhi, per essere guardato e, a sua volta, per guardare ancora. È un vettore di comunicazione e tende a essere uno strumento di comunione. Tocca l’essenza della persona umana che si gira e si protende verso altre persone per vedere... 
Vedere che cosa? Vedere il mondo, con i propri occhi e con lo sguardo dell’altro. Ciò di cui Gesù diceva «La lucerna del tuo corpo è l’occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra» (Lc 11,34-35). 
La frase alquanto sorprendente di Gesù può significare molte cose, ma in primo luogo indica la predisposizione che ciascuno ha per l’altro, che pertanto può essere approcciato di buon occhio, cioè con benevolenza; oppure con malevolenza, appunto di cattivo occhio. In ogni caso, l’occhio è la finestra dell’anima. È finestra, nel senso che lo sguardo è da essa predisposto e condizionato. Un animo intimorito e insicuro guarderà con sospetto e timore il volto altrui, un animo terrorizzato vi leggerà la minaccia, mentre un animo afflitto tenderà a commuoverlo o troverà strano che il volto altrui sia sorridente. È già un piccolo miracolo se quel sorriso riuscirà a rasserenare o almeno a confortare lo sguardo dell’altro. 
Eppure è un miracolo possibile e la comunicazione, quella vera, quella che tende alla comunione, opera simili miracoli. In quali momenti e in che maniera? ...

  "Un volto che chiama" di Giovanni Mazzillo


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"La preghiera ci fa stare nel mondo da responsabili, ci mette negli occhi l'orizzonte di Dio" di Alberto Neglia, ocarm (video)


"La preghiera 
ci fa stare nel mondo da responsabili,
ci mette negli occhi l'orizzonte di Dio"  
di Alberto Neglia, ocarm 
(video)

Estratto dell'incontro del 16 ottobre 2013 - 
I Mercoledì della Spiritualità 2013 - 
"La spiritualità cristiana: la preghiera"

"La preghiera sottrae la persona dalla banalità e da una logica perversa e di disordine, dalle alienazioni, la rende consapevole della sua dignità e della sua vocazione e rimette il credente in relazione, in libertà e senza paura, con l’Altro e con gli altri. La preghiera ci fa stare nel mondo da responsabili perché ci mette negli occhi l’orizzonte di Dio.

Se la preghiera ci introduce nel ritmo di Dio, ci fa vedere meglio la volontà del Padre, essa ci aiuta pure a penetrare più profondamente la realtà. Per dirla con Isacco di Ninive, essa è «visione delle fiamme delle cose» e di tutte le cose ci fa assumere la responsabilità con la stessa dedizione di colui che ci abita e impedisce alla nostra carità di disincarnarsi.

Pregando, allora, non abbandoniamo il mondo e i suoi drammi, ma impariamo a vederlo semplicemente in una mutata disposizione. È esperienza in cui viene spostato il centro del nostro pensare e del nostro agire: dall’io a Dio. Egli diventa la sorgente che coinvolge tutte le nostre potenzialità e le spinge al compimento.

Nella preghiera veniamo coinvolti da colui che ci visita a vivere da figli, da uomini liberi, e veniamo anche rassicurati: «Non abbiate paura, sono io» (Gv 6,20), dove quel “sono io” vuol dire io vi do il mio respiro, io vi accompagno, vi apro la strada della vita. Se, nella preghiera, ci affidiamo a lui e ci lasciamo plasmare dallo Spirito di Gesù, che si è aperto al futuro, agli altri fino a donare la vita, allora, assieme a lui impariamo anche noi ad aprirci e a saper donare la vita. Quando impariamo ad accettare di “dare la vita”, allora qualsiasi paura svanirà, perché «il dono di sé, consumato fino alla fine in obbedienza al Padre, è la difficile ma liberante risposta della fede alla paura» (b. costacurta, La vita minacciata. Il tema della paura nella Bibbia Ebraica, PIB, Roma 1988, 285).

  video


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È come un centro, attorno al quale le parole del Papa continuano a gravitare. Questo centro è la parola "preghiera". Ovvio, si dirà, la preghiera è fondante per un cristiano. Ma è come se in tanti invece vivessimo, quanto a questo, dentro a una nuvola di oblio. Chi è cristiano fin da bambino rischia di dimenticarsi lo stupore di un pregare che con l’abitudine si è come ingrigito. Chi è tornato indietro da altri mondi, atei, materialisti o semplicemente distratti, può non trovare affatto così semplice l’affidarsi a un invisibile Altro, in cui pure spera.
Insomma, è un bel salto, per quanti vivono nel tacito positivismo che ammette solo ciò che si può misurare, concepire di dare del "tu" all’Infinito...
 
 
Marina Corradi:  La preghiera secondo Francesco (Quella straordinaria mite promessa)


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  Serena Noceti:  Dalla parte delle donne. Rileggere il Vaticano II (pdf)

  Nicoletta Dentico:  Le donne della chiesa, da Martini a Papa Francesco. (pdf)


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 CHIESA E SOCIETA'
Interventi ed opinioni


  (GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)


Tre ragioni per il grido di «vergogna» del Papa di mons. Bruno Forte


Tre ragioni per il grido di «vergogna» del Papa
di mons. Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto

C’è una parola, uscita dalla bocca e dal cuore di Papa Francesco con singolare energia, su cui mi sembra importante ritornare: quella che, visibilmente colpito, pronunciò nell’apprendere la notizia della tragedia nelle acque di Lampedusa, dove il naufragio di una delle carrette del mare, impiegate per l’attraversamento del Mediterraneo, provocò la morte di centinaia di profughi alla ricerca di un futuro degno della persona umana. Quella parola, non da tutti compresa, perfino malintesa o rifiutata, fu: “Vergogna!”. È una parola forte, che mi sembra giusto approfondire per il messaggio decisivo che porta con sé. Poiché ci si vergogna o di qualcosa che si è fatto o di qualcosa che di dovrebbe fare e non si è ancora fatto, comunque sempre e necessariamente nei confronti di qualcuno (come fa capire l’etimologia del termine, che deriva dal latino “verecundia”, da “vereri”, “aver rispetto”, “riverire”), mi sembra di poter cogliere nell’espressione del Papa almeno tre livelli di significato, capaci di aiutare la riflessione di tutti sulla sfida dell’immigrazione e sulla necessità di raccoglierla a partire dalla dignità degli immigrati...

  Tre ragioni per il grido di "vergogna" del Papa


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IL PRINCIPIO PASSIONE. La forza che ci spinge ad amare - Intervista al teologo Vito Mancuso - video


IL PRINCIPIO PASSIONE.  
La forza che ci spinge ad amare
- Intervista al teologo Vito Mancuso -

Raitre "Che tempo che fa"  20 ottobre 2013

“... L’unica perfezione che conosco è quella dell’amore, ma l’amore genera passione … 
Credere in Dio è credere che quella passione per il bene, per la giustizia che si muove dentro di me ogni tanto non è un'illusione, non è semplicemente un portato psicologico... ma è l’attestazione di una realtà più profonda che è bene e che è giustizia, dagli uomini tradizionalmente è chiamata Dio."

  video

Per saperne di più:

  la scheda del libro IL PRINCIPIO PASSIONE 



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La 'ndrangheta davanti all'altare - C'è chiesa e chiesa...


Nel coraggio dei suoi pastori la gente ritrova il suo coraggio.
don Italo Calabrò


Ma che succede quando è molto più facile seguire il vecchio detto “fa ciò che il prete dice, non ciò che fa”? Cosa succede quando i confini tra Chiesa e ‘ndrangheta diventano così labili da mescolarsi e confondere? Cosa succede se accanto alla Chiesa che resiste, testimoniata quotidianamente da “apostoli” senza targa come don Pino, don Giacomo, don Ennio, c’è un’altra Chiesa, che si volta dall’altra parte?

Queste sono le domande del libro.

Domande partite, per cercare le prime risposte, con il convegno organizzato a Reggio Calabria, il 10 settembre 2012, da sabbiarossa ED e archivio stop’ndrangheta. Il dibattito, intenso e partecipatissimo, ha rotto gli schemi dei non detti proprio in giorni simbolo: quelli dei festeggiamenti della Madonna della Consolazione. Ma non bastava...

  la 'ndrangheta davanti all'altare

C’è la chiesa di don Puglisi, di monsignor Montenegro. E c’è la chiesa che si volta dall’altra parte. C’è la chiesa dei parroci che non celebrano i funerali dei boss e c’è quella dei sacerdoti che nelle aule di giustizia testimoniano a favore dei capicosca. ...
I preti antimafia raramente vengono premiati, non diventano mai Monsignore in Calabria. Il vescovo di Locri, Bregantini, che ai mafiosi disse “vi scomunico perché fate abortire i nostri giovani uccidendo e sparando” venne trasferito”.

Il cuore del problema infatti non è quello che fa la ‘ndrangheta davanti all’altare, perché ne sono piene le pagine di storia e di cronaca, ma è cosa fa, oggi come ieri, la Chiesa davanti alla ‘ndrangheta. Che le mafie abbiano utilizzato la Chiesa è un fatto noto e documentato, la riflessione è come la Chiesa si rapporti di fronte a loro. ...
Il problema non è come la mafia usi la Chiesa ma come la Chiesa si ponga di fronte alla mafia e perché solamente con grandissimo ritardo vi siano state prese di posizione per cosi dire nette o ufficiali. Abbiamo dovuto aspettare il grido di Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993, dopo le stragi di Falcone e Borsellino”. ...
“La verità è che non siamo di fronte ad un sintomo- ha commentato in chiusura di dibattito padre Felice Scalia- ma di fronte ad una metastasi. Il delitto oggi non è ciò che si fa, ma il fatto che lo si denunci, che lo si dica. I nodi però sono venuti al pettine quando ci siamo accorti che la mafia ha fatto da collettore di voti e la Chiesa ha cercato ed ottenuto corsie preferenziali dalla politica. Questi due mondi si sono incontrati. Papa Giovanni Paolo II è vero, ha detto quelle parole ad Agrigento, ma non ha mai toccato nel suo papato il cuore del problema. Si deve toccare la sete di potere, la corsa al potere, quella lotta per il potere che è ancora presente nella Chiesa. Sappiamo tutti che la Chiesa influisce sulle elezioni e la mafia fa da collettore di voti ed entrambe sono unite nell’anticomunismo. Oggi più che mai abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si sentano a loro agio” ...

  Padre Scalia. "Abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si sentano a loro agio"

Il servizio del TGR Calabria (andato in onda 16/09/13, realizzato da Antonio Condò) sulla presentazione a Gerace de "La 'ndrangheta davanti all'altare", collana IMPRONTE, sabbiarossa ED, 2013. All'evento del 15 settembre 2013 hanno partecipato, oltre tre dei cinque autori (Paola Bottero, Cristina Riso, Alessandro Russo), il Procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, e da don Giacomo Panizza.

  video


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A 50 anni dall’Inter Mirifica, siamo di fronte “a un cambio d’epoca, non a un’epoca di cambiamenti”, come dimostra la rivoluzione dei media digitali: allora come oggi, però, gli strumenti della comunicazione sociale non sono “un fatto tecnico, ma una questione antropologica, dove la variabile umana appare decisiva”. Un esempio per tutti: Papa Francesco, il cui segreto “non sta nell’assunzione di strategie comunicative particolari, ma nell’eloquenza della sua testimonianza personale”. A tracciare un ampio affresco su come è cambiata la comunicazione ecclesiale nell’ultimo mezzo secolo è stato monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, aprendo l’incontro per i direttori degli uffici diocesani e gli incaricati regionali del settore.

  M. Michela Nicolais: Si va imponendo un modello relazionale di informazione

Si fa sentire anche sulle auto l’effetto Bergoglio oltre le mura leonine. Dopo la scomparsa di molte croci d’oro (ma c’è chi dice che non poche fossero di bigiotteria) dal petto di vescovi e alti prelati, prontamente sostituite con più sobrie croci d’argento o metalliche, come quella di Papa Francesco che la porta in ferro, è ora il turno delle berline di lusso. Sono già oltre una ventina i presuli e i monsignori che hanno provveduto a disfarsi, anche attraverso il parco auto del Vaticano, delle auto di grossa cilindrata a favore di ben più modeste utilitarie.

 
CORRIERE DELLA SERA: Effetto Bergoglio in Vaticano, via le auto di lusso

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"Educare alla vita buona in Cristo: i volti nella giustizia” - Convegno nazionale dei Cappellani delle Carceri Italiane - Papa Francesco: non è un'utopia una giustizia dalle porte aperte


«Il tempo del carcere può e deve essere impostato come un tempo educativo e rieducativo, nel quale la detenzione e la pena subita si integrino in un percorso complessivo di crescita della persona, dal punto di vista umano e cristiano». E’ questo il filo conduttore dell’intervento tenuto da mons . Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI, al convegno nazionale dei Cappellani delle Carceri Italiane, in corso a Sacrofano (RM),
Chi sono i carcerati? Per Crociata «non si tratta di persone “di serie B”, ma sovente di uomini e donne che, pur essendosi macchiati di crimini più o meno gravi, hanno vissuto sofferenze e difficoltà, e ora hanno bisogno di comprensione e dell’appoggio della società per potersi rialzare e reinserire nelle normali relazioni sociali. Non è ammissibile che migliaia di persone vivano quasi dimenticate per lunghi periodi, abbandonate a una sofferenza che potrebbe in parte essere alleviata e che non è certo il fine della detenzione»...

  Crociata: “Il tempo del carcere sia davvero rieducativo”

Titolo dell'intervento del Segretario Generale della CEI: “Educare alla vita buona in Cristo: i volti nella giustizia”.
Tra i punti salienti della relazione di Mons. Crociata, la delicata situazione delle carceri e dei carcerati, il dovere della carità verso più deboli, la pastorale carceraria secondo le dimensioni della vita ecclesiale, educare alla vita buona nella libertà e nella giustizia, le tappe del cammino rieducativo, generare alla speranza e proporre percorsi di santità

  il testo integrale dell'intervento di Mons. Crociata

Dio non resta fuori dalle celle dei carcerati, ma è dentro anche Lui con loro: è quanto ha detto il Papa stamani ricevendo nell’Aula Paolo VI in Vaticano, prima dell’udienza generale, i circa 200 partecipanti al Convegno nazionale dei cappellani delle carceri Italiane promosso a Sacrofano, nei pressi di Roma, sul tema “Giustizia: pena o riconciliazione. Liberi per liberare”

Papa Francesco, in questi primi mesi di Pontificato, ha ricevuto oltre 500 lettere dai detenuti italiani. I cappellani delle carceri del Paese sono 233, al servizio di circa 64.mila carcerati, senza contare le persone agli arresti domiciliari. Durante l’udienza è stata donata al Papa una borsa da viaggio fabbricata per lui dalle detenute del carcere femminile di Rebibbia.

  video

  testo integrale del discorso di Papa Francesco ai partecipanti al Convegno nazionale dei Cappellani delle carceri italiane 


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È un appuntamento straordinario quello in programma ad Amman in Giordania dal 24 al 27 ottobre prossimi. Nel cuore del Medio Oriente, le donne sono protagoniste. Una folta rappresentanza di donne provenienti da Irak, Egitto, Israele, Emirati Arabi, Palestina, Líbano e Giordania, si ritroveranno insieme ad altre donne provenienti da Italia, Spagna, Argentina, Burundi, Messico per il convegno “Donne credenti al servizio della vita, della dignità e del bene comune”, promosso dall’Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche (Umofc) in collaborazione con il Patriarcato Latino di Gerusalemme e il Forum Internazionale di Azione Cattolica (Fiac).

 
ZENIT: Donne credenti al servizio della vita, della dignità e del bene comune

In occasione della “Id al-Adha” (“Festa del sacrificio”, nota anche come “Id al-Kabir”, cioè la festa grande), durante la quale si ricorda il sacrificio di un montone da parte di Abramo, la comunità islamica di immigrati in Italia ha organizzato, sabato 19 ottobre, un congresso nell'ambito delle celebrazioni, in segno di ringraziamento al Santo Padre Francesco.
Davanti a questo gesto di apertura al dialogo interreligioso tra cattolici e musulmani, ZENIT ha intervistato il fondatore di Uniti per unire, una delle organizzazioni partecipanti all’evento: Foad Aodi, medico italiano di origini palestinesi.

  Sergio Mora: Il mondo musulmano impressionato da Francesco


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 FRANCESCO
 


     Angelus/Regina Cæli - Angelus, 20 ottobre 2013

   Discorso - Ai "Patrons of the Arts" dei Musei Vaticani (19 ottobre 2013)

    Discorso - Alla Delegazione della Federazione Luterana Mondiale e ai membri della Commissione luterano-cattolica per l'unità (21 ottobre 2013)

   Discorso - Ai partecipanti al Convegno nazionale dei Cappellani delle carceri italiane (23 ottobre 2013) 

    Discorso - Alla Delegazione del "Simon Wiesenthal Center" (24 ottobre 2013)

    Discorso - Ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia (25 ottobre 2013)

    Udienza - 23 ottobre 2013



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SEGNALATI IN FACEBOOK NELLA NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA"



19/10/2013:

  Seguire Gesù vuol dire...


21/10/2013:

  Per conoscere il Signore...


22/10/2013:

  Il crocifisso non ci parla...


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  Essere cristiani vuol dire...


25/10/2013:

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Angelus del 20 ottobre 2013 - testo e video



20 ottobre 2013

Cari fratelli e sorelle,

nel Vangelo di oggi Gesù racconta una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi. La protagonista è una vedova che, a forza di supplicare un giudice disonesto, riesce a farsi fare giustizia da lui. E Gesù conclude: se la vedova è riuscita a convincere quel giudice, volete che Dio non ascolti noi, se lo preghiamo con insistenza? L’espressione di Gesù è molto forte: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (Lc 18,7).
“Gridare giorno e notte” verso Dio! Ci colpisce questa immagine della preghiera. Ma chiediamoci: perché Dio vuole questo? Lui non conosce già le nostre necessità? Che senso ha “insistere” con Dio?
Questa è una buona domanda, che ci fa approfondire un aspetto molto importante della fede: Dio ci invita a pregare con insistenza non perché non sa di che cosa abbiamo bisogno, o perché non ci ascolta. Al contrario, Lui ascolta sempre e conosce tutto di noi, con amore. Nel nostro cammino quotidiano, specialmente nelle difficoltà, nella lotta contro il male fuori e dentro di noi, il Signore non è lontano, è al nostro fianco; noi lottiamo con Lui accanto, e la nostra arma è proprio la preghiera, che ci fa sentire la sua presenza accanto a noi, la sua misericordia, anche il suo aiuto.
...
Buona domenica! Arrivederci e buon pranzo!

  il testo integrale dell'Angelus

  video


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Papa Francesco UDIENZA GENERALE 23 ottobre 2013 - testo e video 



Piazza San Pietro
Mercoledì, 23 ottobre 2013


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Continuando le catechesi sulla Chiesa, oggi vorrei guardare a Maria come immagine e modello della Chiesa. Lo faccio riprendendo un’espressione del Concilio Vaticano II. Dice la Costituzione Lumen gentium: «Come già insegnava Sant’Ambrogio, la Madre di Dio è figura della Chiesa nell’ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» (n. 63). 
1. Partiamo dal primo aspetto, Maria come modello di fede. In che senso Maria rappresenta un modello per la fede della Chiesa? Pensiamo a chi era la Vergine Maria: una ragazza ebrea, che aspettava con tutto il cuore la redenzione del suo popolo. Ma in quel cuore di giovane figlia d’Israele c’era un segreto che lei stessa ancora non conosceva: nel disegno d’amore di Dio era destinata a diventare la Madre del Redentore. Nell’Annunciazione, il Messaggero di Dio la chiama “piena di grazia” e le rivela questo progetto. Maria risponde “sì” e da quel momento la fede di Maria riceve una luce nuova: si concentra su Gesù, il Figlio di Dio che da lei ha preso carne e nel quale si compiono le promesse di tutta la storia della salvezza. La fede di Maria è il compimento della fede d’Israele, in lei è proprio concentrato tutto il cammino, tutta la strada di quel popolo che aspettava la redenzione, e in questo senso è il modello della fede della Chiesa, che ha come centro Cristo, incarnazione dell’amore infinito di Dio.
Come ha vissuto Maria questa fede? L’ha vissuta nella semplicità delle mille occupazioni e preoccupazioni quotidiane di ogni mamma, come provvedere il cibo, il vestito, la cura della casa... Proprio questa esistenza normale della Madonna fu il terreno dove si svolse un rapporto singolare e un dialogo profondo tra lei e Dio, tra lei e il suo Figlio. Il “sì” di Maria, già perfetto all’inizio, è cresciuto fino all’ora della Croce. Lì la sua maternità si è dilatata abbracciando ognuno di noi, la nostra vita, per guidarci al suo Figlio. Maria è vissuta sempre immersa nel mistero del Dio fatto uomo, come sua prima e perfetta discepola, meditando ogni cosa nel suo cuore alla luce dello Spirito Santo, per comprendere e mettere in pratica tutta la volontà di Dio.
Possiamo farci una domanda: ci lasciamo illuminare dalla fede di Maria, che è nostra Madre? Oppure la pensiamo lontana, troppo diversa da noi? Nei momenti di difficoltà, di prova, di buio, guardiamo a lei come modello di fiducia in Dio, che vuole sempre e soltanto il nostro bene? ...

 
testo integrale della catechesi di Papa Francesco

  video della catechesi del Papa

Anche oggi oltre centomila i fedeli in piazza S. Pietro che hanno ascoltato la catechesi di Papa Francesco ed atteso un incontro con lui che, come sempre, si è concesso a tutti con grande disponibilità.
Proponiamo anche il video completo dell'incontro odierno con l'abbraccio ai fedeli...

  video


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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Il cammino della povertà come strumento - (video e testo)



S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
21 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: 
“La cupidigia distrugge il cuore dell'uomo”

La cupidigia, l’attaccamento ai soldi, distrugge le persone, distrugge le famiglie e i rapporti con gli altri: è quanto ha detto il Papa stamani durante la Messa a Santa Marta. L'invito non è quello di scegliere la povertà in se stessa, ma di utilizzare le ricchezze che Dio ci dà per aiutare chi ha bisogno. 

Commentando il Vangelo del giorno, in cui un uomo chiede a Gesù di intervenire per risolvere una questione di eredità con suo fratello, il Papa sviluppa il problema del nostro rapporto con i soldi:
“Questo è un problema di tutti i giorni. Quante famiglie distrutte abbiamo visto per il problema di soldi: fratello contro fratello; padre contro figlio… E’ questo il primo lavoro che fa questo atteggiamento dell’essere attaccato ai soldi, distrugge! Quando una persona è attaccata ai soldi, distrugge se stessa, distrugge la famiglia! I soldi distruggono! Fanno questo, no? Ti attaccano. I soldi servono per portare avanti tante cose buone, tanti lavori per sviluppare l’umanità, ma quando il tuo cuore è attaccato così, ti distrugge”.
Gesù racconta la parabola dell’uomo ricco, che vive per accumulare “tesori per sé” e “non si arricchisce presso Dio”. L’avvertimento di Gesù è quello di tenersi lontano da ogni cupidigia:
“E’ quello che fa male: la cupidigia nel mio rapporto con i soldi. Avere di più, avere di più, avere di più… Ti porta all’idolatria, ti distrugge il rapporto con gli altri! Non i soldi, ma l’atteggiamento, che si chiama cupidigia....
Si potrebbe essere portati a pensare, ha avvertito il Papa, che si tratti di atteggiamenti del passato: «oggi nessuno di noi va per le strade ad adorare statue». Ma non è così perché «anche oggi – ha detto il Pontefice – ci sono tanti idoli e anche oggi ci sono tanti idolatri. Tanti che si credono sapienti, anche fra noi, fra i cristiani». E ha subito aggiunto: «Io non parlo di quelli che non sono cristiani; li rispetto. Ma fra noi parliamo in famiglia». Molti cristiani infatti «si credono sapienti, sanno tutto», ma alla fine «diventano stolti e cambiano la gloria di Dio, incorruttibile, con un'immagine: il proprio io», con le proprie idee, con la propria comodità. E non è una cosa d'altri tempi perché «anche oggi – ha evidenziato il Pontefice – per le strade ci sono gli idoli». 
...
“Il Signore ci insegna qual è il cammino: non è il cammino della povertà per la povertà. No! E’ il cammino della povertà come strumento, perché Dio sia Dio, perché Lui sia l’unico Signore! No l’idolo d’oro! E tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per fare andare avanti il mondo, andare avanti l’umanità, per aiutare, per aiutare gli altri. Rimanga oggi nel nostro cuore la Parola del Signore: ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede’”.

  Il Papa: l'attaccamento ai soldi distrugge persone e famiglie, usiamo i beni che Dio ci dà per aiutare gli altri

  video


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S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
22 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: 
“Dio non ci salva per una legge, ci salva con la sua vita”

Contemplazione, vicinanza, abbondanza: sono le tre parole intorno alle quali Papa Francesco ha incentrato la sua omelia nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non si può capire Dio soltanto con l’intelligenza ed ha sottolineato che “la sfida di Dio” è “immischiarsi” nelle nostre vite per guarire le nostre piaghe, proprio come ha fatto Gesù.

Per entrare nel mistero di Dio non basta l’intelligenza, ma servono “contemplazione, vicinanza e abbondanza”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha preso spunto dalla Prima Lettura di oggi, un brano della Lettera di San Paolo ai Romani. La Chiesa, ha detto il Papa, “quando vuole dirci qualcosa” sul mistero di Dio, “soltanto usa una parola: meravigliosamente”. Questo mistero, ha proseguito, è “un mistero meraviglioso”:
“Contemplare il mistero, questo che Paolo ci dice qui, sulla nostra salvezza, sulla nostra redenzione, soltanto si capisce in ginocchio, nella contemplazione. Non soltanto con l’intelligenza. Quando l’intelligenza vuole spiegare un mistero, sempre – sempre! – diventa pazza! E così è accaduto nella Storia della Chiesa. La contemplazione: intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera … tutto insieme, entrare nel mistero. Quella è la prima parola che forse ci aiuterà”.
La seconda parola che ci aiuterà ad entrare nel mistero, ha detto, è “vicinanza”...
“A me, l’immagine che viene è quella dell’infermiere, dell’infermiera in un ospedale: guarisce le ferite ad una ad una, ma con le sue mani. Dio si coinvolge, si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani, e per avere mani si è fatto uomo. E’ un lavoro di Gesù, personale. Un uomo ha fatto il peccato, un uomo viene a guarirlo. Vicinanza. Dio non ci salva soltanto per un decreto, una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita, per noi”.
La terza parola, ha ripreso il Papa, è “abbondanza”...
Questo mistero, ha ribadito ancora, “non è facile capirlo, non si capisce bene, con l’intelligenza”. Soltanto, “forse, ci aiuteranno queste tre parole”: contemplazione, vicinanza e abbondanza. E’ un Dio, ha concluso il Papa, “che sempre vince con la sovrabbondanza della sua grazia, con la sua tenerezza”, “con la sua ricchezza di misericordia”.

  Il Papa: Dio non ci salva per decreto, si immischia con noi per guarire le nostre ferite

  video


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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Cristiani all'acqua di rose - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
24 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: 
“Se non viviamo la Fede, siamo cristiani a memoria”

Bisogna entrare nella «logica del prima e del dopo» per non diventare «cristiani tiepidi» o «all'acqua di rose», se non addirittura ipocriti. Con questa efficace espressione Papa Francesco, durante la messa celebrata giovedì mattina, 24 ottobre, nella cappella di Santa Marta, ha riproposto l'atteggiamento con il quale i cristiani devono accostarsi al mistero della salvezza operata da Gesù.

Il riferimento iniziale è stato alla lettera ai Romani (6, 19-23), nella quale san Paolo «cerca di farci capire quel mistero tanto grande della nostra redenzione, del nostro perdono, del perdono dei nostri peccati in Cristo Gesù». L'apostolo avverte che non è facile capire e sentire questo mistero. Per aiutarci a comprenderlo usa quella che il Pontefice ha definito «la logica del prima e del dopo: prima di Gesù e dopo Gesù», così come riassunto nel canto al Vangelo della liturgia del giorno (Filippesi, 3, 8): «Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui». Per san Paolo, dunque, conta soltanto Cristo. Egli, ha affermato il Papa, «sentiva tanto forte questo: la fede che ci fa giusti, ci giustifica davanti al Padre». Paolo ha abbandonato l'uomo «di prima». Ed è diventato l'uomo «di dopo» il cui obiettivo è «guadagnare Cristo»...

Senza questa coscienza del prima e del dopo, «il nostro cristianesimo non serve a nessuno». Anzi, diventa «ipocrisia: mi dico cristiano, ma vivo come pagano. Alcune volte diciamo: cristiani a metà cammino», che non considerano seriamente il fatto di essere «santificati per il sangue di Cristo». E se non si prende sul serio questa santificazione, si diventa come quelli che il Papa ha definito «cristiani tiepidi: sì sì, no no no... È un po' come dicevano le nostre mamme, cristiani all'acqua di rose: un po' così, un po' di vernice cristiana, un po' di vernice di catechesi, ma dentro non c'è una vera conversione, non c'è questa convinzione di Paolo: Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui».
Questa, ha aggiunto il Vescovo di Roma, era «la passione di Paolo». E questa deve essere «la passione di un cristiano: lasciar perdere tutto quello che ci allontana da Cristo, il Signore; lasciar perdere tutto quello che ci allontana dall'atto di fede in lui, dall'atto di fede nella ri-creazione per mezzo del suo sangue. E fare tutto nuovo. Tutto è novità in Cristo. Tutto è nuovo».
È un obiettivo possibile?...

  La logica del prima e del dopo

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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Nella confessione la semplicità della verità e la grazia della vergogna - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
25 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: 
confessiamoci davanti a Dio senza paura

Avere il coraggio davanti al confessore di chiamare i peccati con il loro nome, senza nasconderli. L’omelia di questa mattina, nella Messa celebrata a Casa Santa Marta, è stata interamente incentrata da Papa Francesco sul Sacramento della Riconciliazione. Confessarsi, ha detto, è andare incontro all’amore di Gesù con sincerità di cuore e con la trasparenza dei bambini, non rifiutando ma anzi accogliendo la “grazia della vergogna”, che fa percepire il perdono di Dio.

Per molti credenti adulti, confessarsi davanti al sacerdote è uno sforzo insostenibile – che induce sovente a scansare il Sacramento – o una pena tale che al dunque trasforma un momento di verità in un esercizio di finzione. San Paolo, nella Lettera ai Romani commentata da Papa Francesco, fa esattamente il contrario: ammette pubblicamente davanti alla comunità che nella “sua carne non abita il bene”. Afferma di essere uno “schiavo” che non fa il bene che vuole, ma compie il male che non vuole. Questo accade nella vita di fede, osserva il Papa, per cui “quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”:
“E questa è la lotta dei cristiani. E’ la nostra lotta di tutti i giorni.,,
“Alcuni dicono: ‘Ah, io mi confesso con Dio’. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia, non c’è un quattrocchi. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. Altri: ‘No, io vado a confessarmi’ ma si confessano di cose tanto eteree, tanto nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare ad una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘Signore sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello, perché questo dire sia anche concreto. ‘E sono peccatore per questo, per questo e per questo’”.
Concretezza, onestà e anche – soggiunge Papa Francesco – una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli: non ci sono viottoli in ombra alternativi alla strada aperta che porta al perdono di Dio, a percepire nel profondo del cuore il suo perdono e il suo amore. E qui il Papa indica chi imitare, i bambini: “I piccoli hanno quella saggezza: quando un bambino viene a confessarsi, mai dice una cosa generale. ‘Ma, padre ho fatto questo e ho fatto questo a mia zia, all’altro ho detto questa parola’ e dicono la parola. Ma sono concreti, eh? Hanno quella semplicità della verità. E noi abbiamo sempre la tendenza di nascondere la realtà delle nostre miserie. Ma c’è una cosa bella: quando noi confessiamo i nostri peccati come sono alla presenza di Dio, sempre sentiamo quella grazia della vergogna. Vergognarsi davanti a Dio è una grazia...

  Il Papa: la lotta di un cristiano contro il male è anche confessare con sincerità e concretezza i peccati

  video


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Francesco: «Papa missionario» per una cattolicità planetaria.



Il «fidei donum» di nome Francesco 
di
Roberto Beretta

In questi dintorni della Giornata missionaria mondiale, mi vien da pensare che uno dei segni maggiori di com'è cambiata la missione in questi anni sia proprio l'ascesa al soglio di Papa Francesco. Sì, il papa che si è definito "venuto dalla fine del mondo", lo è davvero: è il primo Pontefice non europeo del secondo millennio, il primo che - aspettando il papa nero o quello che andrà a vivere nelle baraccopoli di Manila - viene da terre tradizionalmente "di missione".
E si vede. Guardate l'approccio semplice alla gente, la mancanza di formalismo totale: è la stessa che troviamo nei missionari italiani in America Latina o in Africa, quando tornano a casa e non si raccapezzano più nelle nostre comunità zeppe di tradizioni e di sovrastrutture. Guardate il tipo di dialogo impostato con tutti, la stima delle religioni come reali mezzi alternativi di salvezza, il rispetto della coscienza individuale, il senso di distacco dai poteri secolari... Secondo me sono - almeno in parte - caratteristiche di una comunità già "di missione" e che ora è chiamata a esercitare fin nel supremo servizio del pontificato quella "missione di ritorno" che abbiamo sempre immaginato e in parte auspicato nelle giovani Chiese, allorché fosse loro toccato di venire a ri-evangelizzare il vecchio Occidente.
...
Finora abbiamo sempre pensato che il Papa "missionario" fosse quello che partiva dal Vaticano per visitare il mondo. Adesso la missionarietà di questo pontefice si esplica anzitutto nel fatto di essere venuto lui stesso da una Chiesa lontana ad esercitare il ministero nei gangli della Curia. Non è una facile missione, la sua; immagino che, proprio come un prete europeo in Africa, si senta piuttosto solo in questi primi mesi davanti a un compito immane: di governo, certo, ma anche di evangelizzazione, di pastorale, di inculturazione teologica e - perché no? - di sviluppo. Credo persino che alcune scelte di Papa Francesco - che a noi sembrano controcorrente, o addirittura inadatte alla dignità pontificia (abitare in una casa con altri preti, telefonare a destra e a manca, fare le prediche ogni mattina come un parroco qualunque, e così via) - andrebbero lette con lo spirito con cui, per esempio, gli abitanti di un villaggio africano osservano la proposta umana e spirituale del sacerdote bianco venuto ad abitare tra loro.
Bergoglio è insomma il primo papa fidei donum, come si chiamano i sacerdoti diocesani inviati in giro per il mondo. E, come tale, è giusto che il suo modo di essere Chiesa metta profondamente, totalmente in questione il nostro. Siamo noi, stavolta, a dover ricevere e imparare. Avremo l'umiltà per farlo?

  Il «fidei donum» di nome Francesco di Roberto Beretta


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... La possibilità di attingere in maniera costante alle parole che Papa Francesco esprime “a braccio”, senza testi preparati (si pensi al flusso continuo delle omelie di Santa Marta) toglie consistenza alle versioni orientate e talvolta caricaturali del suo profilo e del suo magistero confezionate dalla casta degli opinion makers ecclesiastici di diversa obbedienza. Papa Francesco non sembra aver troppo bisogno di esegeti ufficiosi e ermeneuti auto-nominati che in altre stagioni ecclesiali avevano lucrato rendite di visibilità e quote di mercato anche sul terreno della politichetta ecclesiastica. Basta ascoltare le omelie quasi quotidiane di Bergoglio o guardare le sue catechesi per accorgersi che diversi commenti e analisi spacciati come “approfondimenti” del suo pontificato non raccontano né spiegano il papa argentino, ma puntano a costruire qualche suo avatar contraffatto, a uso e consumo delle proprie strategie mediatico-ecclesiastiche.
Chi appare godere della connessione no-stop e senza filtri con le parole e i gesti del Vescovo di Roma è in primis quello che Bergoglio stesso chiama «il santo Popolo di Dio». Non le nomenclature, i professionisti e i perditempo della polemica intra-ecclesiale a oltranza, quelli che già Joseph Ratzinger definiva come «la Chiesa auto-occupata». Ma i singoli e le moltitudini dei credenti e degli ipo-credenti senza etichette che vanno a messa (anche non sempre), che affollano i santuari, che nel silenzio compiono gesti e opere di misericordia corporale e spirituale. Quelli il cui sensus fidei, per quanto tenue, si è subito riconosciuto nelle parole, nei gesti e negli accenti di Papa Francesco.

  Gianni Valente:   Il papa senza "filtri"

Anticipiamo alcuni stralci dell’introduzione del libro, da oggi in distribuzione, Omelie del mattino. Nella cappella della Domus Sanctae Marthae (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pagine 346, euro 14, «Le parole di Papa Francesco» 5) che raccoglie, così come sono state pubblicate su «L’Osservatore Romano», le parole pronunciate da Papa Francesco a commento del Vangelo durante le messe celebrate ogni mattina in Vaticano, nel periodo che va dal 22 marzo al 6 luglio, con l’aggiunta delle tre omelie nella residenza di Sumaré a Rio de Janeiro, durante il viaggio apostolico in Brasile per la Giornata mondiale della gioventù.

  Inos Biffi:    Il linguaggio plastico delle omelie di Papa Francesco. Parole chiare e dritte al segno

Giù le mani dal papa. Bisogna ripeterlo oggi che Francesco si trova strattonato a destra e a sinistra. Bersagliato da contestatori cattolici superficiali e imprudenti che lo rappresentano come modernista eterodosso e stravolto da sostenitori laicisti che lo applaudono attribuendogli idee egualmente eterodosse e quasi atee. Un circo mediatico assurdo. Come se non bastasse a questi due schieramenti se ne aggiunge un terzo, quelli dei neobergogliani fondamentalisti, che si sentono “superapostoli” di questo papa e “giudicano” chi, fra i credenti, ha la fede e la grazia, e chi no...

  Antonio Socci:    Per orientarsi da buoni cattolici su ciò che i giornali scrivono sul Papa

Vi è un pensiero di Giacomo Leopardi  che, per circostanze imprevedibili al suo autore, risulta oggi di stretta attualità ecclesiale: «È curioso a vedere che quasi tutti gli uomini che vagliono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore» (Pensiero, CX). La prima parte della frase vale per papa Francesco, la seconda concerne un numero non indifferente di esponenti curiali, cardinali e  vescovi. 
Il momento straordinario legato all'inizio del pontificato di Francesco rappresenta un tempo opportuno per attuare un rinnovamento profondo nello stile ecclesiale. In questo frangente l'appoggio corale dei vescovi costituirebbe  il baluardo più efficace contro lo sfruttamento mass-mediatico a cui è esposto il papa, specie se lasciato solo. Una vita ecclesiale che rifiorisce nelle diocesi si pone su un piano di concretezza non strumentalizzabile. Essa indicherebbe nel quotidiano il definitivo tramonto di una gestione ecclesiale legata più al senso del potere che a quello del servizio.

  Piero Stefani:    Leopardi e papa Francesco

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