"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"




 NEWSLETTER n°45 del 2013

Aggiornamento della settimana

- dal 2 all'8 novembre 2013 -

 

                                    Prossima NEWSLETTER prevista per il 15 novembre 2013          


 
 



IL VANGELO DELLA DOMENICA 


LECTIO DIVINA

 a cura di Fr. Egidio Palumbo




OMELIA 

    di P. Gregorio Battaglia
  di P. Aurelio Antista
  di P. Alberto Neglia

 
N. B. La Lectio viene sospesa nel periodo estivo



NOTA

Articoli, riflessioni e commenti proposti vogliono solo essere
un contributo alla riflessione e al dialogo su temi di attualità.

Le posizioni espresse non sempre rappresentano l’opinione di "TEMPO PERSO" sul tema in questione. 









I NOSTRI TEMPI




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"Il paese che perde i suoi giovani" di Ilvo Diamanti


La fuga dei cervelli. È la formula usata per evocare la migrazione di tanti giovani italiani, ad alto profilo professionale e scientifico, verso altri Paesi. Non solo europei. Dove trovano occupazione e riconoscimento. Fuga dei cervelli. È un'espressione che non mi piace. Perché i cervelli, nei Paesi liberi, sono liberi. E oggi possono sconfinare ovunque, grazie alle nuove tecnologie della comunicazione. L'unica gabbia che possa imprigionarli è il loro corpo. 
Se i "cervelli" se ne vanno dall'Italia è perché fuggono dal loro "corpo". Troppo vecchio per permettere loro di esprimersi. O almeno: di "operare". Di utilizzare la loro opera. L'Italia è un Paese vecchio (dati Istat, 2012). Il più vecchio d'Europa. Dopo la Germania, che, però, può permettersi di invecchiare perché attira i giovani migliori dagli altri Paesi. Compreso il nostro. 
Il problema è che noi non ci accorgiamo di invecchiare. Perché siamo sempre più vecchi. Così ci immaginiamo giovani, sempre più a lungo. Fino a 40 anni. E rifiutiamo di invecchiare. Secondo gli italiani - come ho già scritto altre volte - per dirsi vecchi occorre aver superato 84 anni (indagini Demos). Considerata la durata media della vita, dunque, in Italia si accetta di essere vecchi solo dopo la morte. 
I giovani, in Italia, sono sempre di meno. Come i figli. Il tasso di fecondità per donna è 1,4. Fra i più bassi al mondo. Se il nostro declino demografico si è interrotto, da qualche anno, è per il contributo fornito dagli immigrati. Che, tuttavia, non hanno modificato la nostra auto-percezione. Perché Noi continuiamo a invecchiare e a far pochi figli, mentre Loro sono giovani e fecondi. In altri termini, abbiamo riprodotto i confini al nostro interno nei confronti degli Altri. Gli immigrati, infatti, restano Stranieri, anche quando sono italiani, da più generazioni. Anche quando diventano ministri... 
Così invecchiamo senza accorgercene e senza accettarlo. Investiamo le nostre risorse nell'assistenza e nella sanità, com'è giusto. Molto meno nella scuola, nella formazione, nell'università (da qualche tempo ho cominciato a scriverla con l'iniziale minuscola). Cioè, nei giovani. Nei figli. Nel futuro...

  "Il paese che perde i suoi giovani" di Ilvo Diamanti



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Il Premio Goliarda Sapienza è dedicato ai minorenni condannati a pene di detenzione. Un ennesimo premio, si dirà, a che serve? E invece ? sembra incredibile ? così come il cinema e il teatro praticato dai reclusi hanno funzionato portando una ventata di aria fresca nelle carceri, l?invito a scrivere racconti ha coagulato attorno al premio molte energie giovanili.Messi di fronte alla scrittura, i ragazzi hanno cominciato a riflettere, a farsi domande che non si erano mai poste, a crearsi un piccolo mondo di immaginazione che precede di poco una idea di doveri e di diritti. Ecco l?importanza riconoscibile della lettura e della scrittura. La parola chiama pensieri, i pensieri chiamano affetti, memorie e un bisogno di logica. La logica chiama, vuole, esige un sistema, anche piccolo di valori. Da qui l?importanza di iniziative creative dentro i luoghi di detenzione e prigionia...

  Dacia Maraini:   Il disagio dei ragazzi al tempo della rete - Senza affetti e solidarietà. Le radici del disagio giovanile

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La sconvolgente verità sul naufragio di Lampedusa dell'11 ottobre scorso raccontata dai superstiti


La verità sul naufragio di Lampedusa
''Così l'Italia ci ha lasciati morire'

Dal barcone naufragato l'11 ottobre erano partite tre telefonate di soccorso alle autorità italiane. Ma la centrale operativa ha perso due ore. E alla fine ha risposto: 'Chiamate Malta'. Così sono annegati 268 siriani in fuga dalla guerra, tra cui 60 bambini

La morte di 268 profughi siriani, annegati l'11 ottobre a largo di Lampedusa, poteva essere evitata. Un'inchiesta de “l'Espresso” ricostruisce l'incredibile comportamento delle autorità italiane e l'effetto dei regolamenti europei. Ci sono state tre chiamate di soccorso via satellite ignorate. Due ore di attesa in mare. Per poi scoprire che l’Italia non aveva mobilitato nessun aereo, nessuna nave della Marina, nessuna vedetta della Guardia costiera. Anzi, dopo due ore, la centrale operativa italiana ha detto ai profughi alla deriva a 100 chilometri da Lampedusa che avrebbero dovuto telefonare loro a Malta, lontana almeno 230 chilometri. 

Due ore perse: dalle 11 alle 13 di venerdì 11 ottobre. Se gli italiani si fossero mobilitati subito o avessero immediatamente passato l’allarme ai colleghi alla Valletta, la strage non ci sarebbe stata.

  La verità sul naufragio di Lampedusa ''Così l'Italia ci ha lasciati morire'

Il drammatico racconto di Mohanad Jammo, 40 anni. Ad Aleppo in Siria, una delle città distrutte dalla guerra civile, era il primario dell’Unità di terapia intensiva e anestesia dell’Ibn Roshd Hospital, un ospedale pubblico, direttore del servizio di anestesia e anti rigetto del team per i trapianti di rene, oltre che manager della clinica franco-siriana “Claude Bernard”. Nel naufragio il dottor Jammo è sopravvissuto con la moglie, ex docente universitaria di ingegneria meccanica, e la loro bimba di 5 anni. Ma ha perso i figli Mohamad, 6 anni, e Nahel, 9 mesi, i cui corpi non sono stati ritrovati.

  video

Per ricordare il naufragio dell'11 ottobre proponiamo:

  • il video della Marina Militare delle operazioni di soccorso...
  video

  • il racconto e le immagini del ricongiungimento di alcuni nuclei familiari che erano stati divisi nelle operazioni di salvataggio...

    Sicilia, i siriani scampati al naufragio riabbracciano i bimbi perduti


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Sequestrati, percossi, segregati. E’ ciò che hanno subito i sopravvissuti al naufragio al largo di Lampedusa il 3 ottobre scorso, quando morirono 366 persone. Si tratta di eritrei rimasti intrappolati nella rete di un’organizzazione criminale transnazionale, dedita al traffico di esseri umani. Due gli arresti condotti dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo: si tratta di un somalo, figura importante in seno all’organizzazione, e di un palestinese. Alcuni risultati delle indagini sono stati illustrati oggi, a Palermo dagli inquirenti, tra loro il procuratore aggiunto di Palermo, Maurizio Scalia. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato

  RADIO VATICANA:   Sevizie e torture contro i profughi eritrei, arrestati i colpevoli. La denuncia della Dda di Palermo



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FEDE E
SPIRITUALITA'

 

LA VITA CRISTIANA COME CAMMINO

HOREB n. 65 - 2/2013


TRACCE DI SPIRITUALITA'
A CURA DEI CARMELITANI

È sempre bello partecipare della gioia di un bambino che, dopo aver gattonato per settimane, finalmente, tenuto per mano dai genitori, riesce a stare in piedi e a muovere i primi passi. Gli brillano gli occhi e grida di gioia, poi, quando scopre che può camminare da solo, da quel momento si sente libero di esplorare le cose che lo circondano. 

Il camminare è davvero un’esperienza connaturale all’uomo, egli è un essere itinerante, “homo viator”, secondo l'espressione di G. Marcel. Sempre in cammino non solo in senso geografico spaziale, desideroso, cioè, di lasciare un determinato luogo per raggiungere e conoscere nuove realtà, ma in cammino verso il raggiungimento della sua pienezza. 

Il bambino è chiamato gradualmente a crescere a misurarsi con i piccoli e grandi eventi, a prendere decisioni a confrontarsi con gli altri, a diventare adulto. Nel tessuto del mondo, la vita dell'uomo è una grande avventura, che conosce percorsi agevoli, lieti ma anche momenti di perplessità, arresti, crisi, desiderio di tornare indietro, ma proprio attraverso queste fasi egli cresce negli anni, e anche matura umanamente e spiritualmente. 

Il camminare, esigenza fondamentale dell’uomo, è già evidenziata dalla Bibbia che, prima di tutto, ci mostra lo stesso Dio in cammino e, poi, evidenzia che il Vivente coinvolge l’uomo nel suo cammino. 

Il profeta Michea, per esempio, annota che camminare umilmente con Dio è una delle dimensioni inseparabili che configurano l’esperienza umana e spirituale dell’uomo: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8). 

Il “camminare con Dio” esprime sia il dinamismo dell’esistenza umana sia il fondamento dell’esperienza di fede, cioè la conoscenza e l’esperienza di Dio. 

E Dio, in Gesù, si è fatto umano, compagno di viaggio di ogni uomo che lo accoglie. Lui, la “Via”, ci educa ad uscire dalla caverna egoica che rende ciechi e immobili, ci strappa da una logica mondana e di potere, ci apre orizzonti sempre nuovi e scopriamo che il viaggio della vita non lo facciamo da soli, ma assieme a tante altre persone che non sono nemici o estranei, ma fratelli. Essi sono la soglia dove ogni uomo comincia veramente a vivere. ...


Questo l'incipit dell'Editoriale di Horeb, Quaderni di riflessione e formazione per quanti desiderano coltivare una spiritualità che assuma e valorizzi il quotidiano.



   Editoriale (pdf)

   Sommario (pdf)


E' possibile richiedere copie-saggio gratuite:
CONVENTO DEL CARMINE
98051 BARCELLONA P.G. (ME)
E-mail: horeb.tracce@alice.it



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Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto

I MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ - 2013


Dal 16 Ottobre al 4 Dicembre

Sala del Convento
dalle h. 20.00 alle h. 21.00

IL SANGUE DEI MARTIRI

SEME DI NUOVI CRISTIANI

   Programma (pdf)

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  Se mi chiedessero...
  Una lacrima per i defunti...
  Io posso anche non vedere...
  Lasciamoci anche noi chiamare...
  Sperare in Dio non è...
  Quando le cose...
  Stare dietro a Gesù...
  Quando la miseria altrui...
  L'elemosina non è...
  Quando ciò che ti anima...



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LE PIETRE D'INCIAMPO DEL VANGELO

"Chi ha fatto il bagno non ha bisogno
di lavarsi se non i piedi
ed è tutto puro.
Voi siete puri ma non tutti"
(Giovanni 13, 10)

  Gianfranco Ravasi:     La lavanda dei piedi, segno della donazione totale di Cristo


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RUBRICA 
Un cuore che ascolta - lev shomea' 
"Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male"  (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica di Santino Coppolino

Vangelo: Lc 19,1-10

Nel suo Esodo verso Gerusalemme Gesù percorre la nostra terra, la nostra storia, non tralasciando di visitarci in ogni nostro dramma, in ogni nostra miseria, fin nelle nostre depressioni più profonde, fino a Gerico che ne è il simbolo, situata a circa 400 mt sotto il livello del mare.
Già nel Vangelo di domenica scorsa Egli ci ha detto che nessuno è escluso dall'amore del Padre, e che la Buona Notizia è per tutti, buoni e cattivi, santi e peccatori, farisei e pubblicani, e anche oggi la liturgia ci presenta la figura di un uomo, un pubblicano, anzi il capo dei pubblicani ("hic princeps erat pubblicanorum", traduce San Girolamo). Un principe si, ma servo a sua volta "del principe di questo mondo"(Gv 12,30-31), reso tale dalla bramosia del potere e del denaro.
Il suo nome è Zaccheo (che significa:"Yahweh ricorda") ed è basso di statura ...
...


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XXXI domenica del Tempo Ordinario Riflessioni sulle letture di LUCIANO MANICARDI


Domenica 3 novembre 2013
XXXI domenica del tempo Ordinario
Riflessioni sulle letture
di LUCIANO MANICARDI

Il testo della Sapienza parla del Dio che ha misericordia (verbo eleéo: Sap 11,23) di tutti e non guarda ai peccati degli uomini in vista della loro conversione (metánoia: Sap 11,23); il vangelo presenta Zaccheo come uomo che fa esperienza della misericordia del Signore e esempio concreto di conversione.

Zaccheo cerca di vedere Gesù, ma la folla gli è di ostacolo. Per incontrare Gesù occorre uscire dalla folla, osare la propria singolarità, assumere i propri limiti per trovare il proprio personale cammino, occorre il coraggio di “cantare fuori dal coro”.

La grandezza del piccolo Zaccheo sta nell’intelligente assunzione del limite della propria statura e nel trovare aiuto in un albero di sicomoro su cui sale per poter vedere Gesù. I limiti precisi che ci abitano (fisici, morali, intellettuali, …), quando siano assunti con maturità e intelligenza, non ci impediscono di incontrare il Signore, ma ci consentono di far avvenire tale incontro nella verità. Questa assunzione ci rende anche intelligenti nel saper ricorrere alle creature che ci vivono accanto perché suppliscano alla nostra indigenza.

Capo dei pubblicani e ricco, Zaccheo probabilmente si è arricchito in modo disonesto, sfruttando le possibilità offerte dal sistema di riscossione delle imposte. Egli, che può essere etichettato come peccatore e disonesto, è abitato dal desiderio di incontrare Gesù, e cerca con tutte le sue forze di vederlo ...

Riflessioni sulle letture di LUCIANO MANICARDI



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Vangelo di Luca 19,1 10 - Riflessione del Card.G.Ravasi


Vangelo di Luca 19,1-10 

Riflessione del Card. Gianfranco Ravasi

3 novembre 2013

“…Il verbo fondamentale  è cercare; cercare è anche il verbo dell’itinerario della Fede, di colui che non si accontenta di stare fermo, ma  si interroga e, come diceva quel grande pensatore credente che era Pascal: “Prima trovare, poi cercare”. In realtà colui che cerca è perché ha già trovato. ,,,"
 (Card. Ravasi)

  video integrale


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"L’ultima obbedienza che ci fa più uomini" di Enzo Bianchi


L’ultima obbedienza che ci fa più uomini
di 
Enzo Bianchi

Morte, giudizio, inferno, paradiso: così suonava la risposta del Catechismo alla domanda sui novissimi, cioè sulle realtà ultimissime che attendono ogni uomo. Su queste colonne abbiamo già sostato sul giudizio e sul paradiso, ma in questi giorni che precedono la memoria dei morti vorremmo tentare di leggere la morte come evento umano e cristiano, sapendo che oggi viviamo in un’atmosfera culturale che della morte non vuole più saperne. È perfino banale questa constatazione: la morte è rimossa, è diventata l’unica realtà concretamente “oscena”, che non deve cioè essere vista, contemplata, considerata. Oggi vogliamo evitare di essere testimoni della morte, che tuttavia continua a essere presente nelle nostre vite familiari e di relazione; soprattutto, vogliamo evitare di pensare alla nostra propria morte, che è l’unico evento certo che ci sta davanti. 
È significativo un invito fatto da André Comte-Sponville al suo lettore, proprio in un libro che vuole essere una “saggezza” per tutti: “Lettore, coraggio! Per la morte hai tutto il tempo. Innanzitutto impegnati a vivere!”. Non è un caso che anche il vocabolario della morte sia poco frequentato. Si ha una sorta di ritegno a parlare di “morto, morte”; si preferisce dire: “Se n’è andato. È passato di là. Non è più con noi”… Questo accade anche nei funerali, che si dicono ancora cristiani, ma che sovente, soprattutto nel caso di qualche persona importante o di una disgrazia pubblica, sono “eventi” con accenti di spettacolo. In essi, invece di accogliere il mistero della morte, si parla del defunto, ci si indirizza a lui come se fosse ancora vivo, si tenta quasi una rianimazione di cadavere, magari facendo ascoltare a tutti qualche sua parola o, se era un cantante, una sua canzone. Così si cancella la morte dalla nostra vita e dalla prospettiva tanto necessaria nella ricerca di un senso, di una direzione verso cui camminare.
Ma ciò che appare follia è il fatto che, accanto a questa rimozione della morte, avvenga la sua spettacolarizzazione nei mezzi di comunicazione. In questi la morte sembra regnare, in un flusso di immagini che la esibiscono, la mostrano, insistono su di essa per “dare la notizia” efficace di catastrofi, guerre, torture, omicidi… Non vogliamo vedere la morte, e poi rallentiamo in auto per guardare gli effetti di un incidente e vederne le vittime. Abituandoci alle immagini della morte in scena, crediamo di allontanare la possibilità della nostra propria morte. Insomma, anche per il cristiano la tentazione è quella di fare tacere i novissimi, di dimenticarli, e tra di essi in particolare la morte. Eppure la morte continua ad avere l’ultima parola su di noi, almeno nella realtà visibile, continua a essere un traguardo, una meta che ci attende: è l’unica direzione (senso) della vita che non possiamo mutare, perché sempre la vita va verso la morte. Martin Heidegger in questa lettura è giunto ad affermare che l’uomo “vive per la morte”...

  "L’ultima obbedienza che ci fa più uomini" di Enzo Bianchi



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"Se la morte si eclissa nel cielo della vita" di mons. Bruno Forte


"Se la morte si eclissa nel cielo della vita"
di mons. Bruno Forte

Questi giorni d'inizio novembre, specialmente dedicati alla memoria di chi non è più fra noi, ci hanno inevitabilmente ricordato un tratto costitutivo della nostra condizione umana, la sua caducità. Martin Heidegger ne parlava come del nostro essere «gettati verso la morte», e rifletteva: «La morte non è affatto un mancare ultimo... essa è, prima di tutto, un'imminenza che sovrasta». Con la morte tutti dobbiamo fare i conti, anche se volessimo illuderci che non c'è! È per questo che la vita risulta tanto spesso impastata di malinconia e la sottile striscia di terra, su cui poggiano i nostri piedi, appare fasciata dall'abisso del nulla. Da questa vertigine scaturiscono tanto la situazione emotiva dell'angoscia, così diffusamente umana, quanto quella ripulsa del nulla che suscita, come per contraccolpo, la forza del domandare. È così che il pensiero nasce dalla morte: «Dalla morte, dal timore della morte - afferma Franz Rosenzweig - prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto». Eppure, nella modernità occidentale e in larga parte fino ai nostri giorni la morte sembra aver conosciuto un oblio. L'ottimismo della ragione adulta, dall'Illuminismo in poi, aveva esorcizzato la morte, relegandola a semplice momento di passaggio nel processo totale dello Spirito. Per l'uomo emancipato della modernità tutto ciò che è notte deve cedere il posto alla luce della ragione. Il mito moderno del progresso svuotava la morte della sua tragicità, perché ne faceva una tappa marginale della storia dell'individuo totalmente assimilato alla causa, sacrificato al trionfo dell'idea. Questa «eclissi della morte» è culminata nella figura della «morte rovesciata», espulsa dallo svolgersi della vita, che sembra non sopportare le interruzioni e i silenzi. La morte, quando non può esser taciuta, viene trasformata in spettacolo, in modo che ne sia esorcizzato il pungolo doloroso. È il trionfo della maschera a scapito della verità: scompaiono i segni del lutto; la rassicurazione evasiva e consolatoria sembra averla vinta su tutti i fronti rispetto alla serietà tragica dell'interruzione senza riparo. Eppure, nelle inquietudini del nostro presente, pare profilarsi una «nostalgia di perfetta e consumata giustizia» (Max Horkheimer), una sorta di ricerca del senso perduto, ultimo e più forte della morte. Non si tratta di un'operazione soltanto emotiva, ma di uno sforzo di ritrovare il senso al di là del naufragio: «restituer la mort» (Ghislain Lafont) diventa un compito, che ci sfida tutti. In questa ripresa della domanda sulla morte, trova nuovo spazio anche l'interrogativo sulla vita e il suo oltre: la morte è il «vallo estremo» o è la sentinella del futuro assoluto, decisivo per le scelte del vivere, anche se non deducibile dal nostro presente? ...

  Se la morte si eclissa nel cielo della vita di Bruno Forte



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Lacrime e tenerezza di Giovanni Mazzillo


Lacrime e tenerezza
di Giovanni Mazzillo 
(Teologo)

Le ferite della storia spesso restano non cicatrizzate. 
Ma Dio ricorda che la disperazione sarà colmata di tenerezza insperata.

Zeta come Zaccaria, il profeta ucciso tra il santuario e l’altare. Come Zayn, nome arabo che significa “bellissimo”. Bellissimo nella sua tragedia, quel piccolo rimasto abbracciato alla mamma in fondo al mare di Lampedusa, prima che spuntasse l’alba del 3 di ottobre u.s.. 
Due nomi con due storie diverse, e tuttavia accomunati oltre che da una tragica fine, da ciò che riguarda la loro memoria, sì la memoria delle vittime innocenti della storia. Del profeta Zaccaria la fine violenta non è documentariamente accertata e tuttavia la tradizione ebraica, ripresa da Gesù, la attribuisce a un atto di protervia da parte di Ioas, re di Gerusalemme (cf. 2 Cr 24,20-21), il quale fece trucidare il profeta Zaccaria accanto all’altare di quel Dio che il profeta aveva amato fino all’inverosimile, fino a essere odiato – come sovente accade ai profeti – per averlo anteposto alle lusinghe e ai patteggiamenti di corte.

Dio si ricorda 
Zekariâh portava nel nome ciò che la lingua ebraica, nella sua concretezza, voleva esprimere sulla volontà di intervento da parte di Dio, sebbene con i propri tempi e le proprie modalità, a favore dei perseguitati, in forza della memoria delle ingiustizie commesse dagli uomini e soprattutto a motivo della misericordia sempre presente in Lui. Il termine significa infatti “Yhwh si è ricordato”. Potremmo dire: Dio si ricorda e tiene sempre a mente la sofferenza degli uomini, al punto che, parlando delle lacrime versate, in un vagare di una sofferenza senza fine e umanamente senza senso, il salmista dice “I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?” (Sal 56, 9). Poco prima aveva affermato: “Nell’ora della paura io in te confido. In Dio, di cui lodo la parola, in Dio confido, non avrò timore: che cosa potrà farmi un essere di carne?” (Sal 56,4-5). 
Dio ricorda di certo la sofferenza degli uomini, di ogni uomo e in particolare di quanti soffrono senza un motivo e nell’indifferenza degli altri. L’ha sempre davanti, perché ha sempre davanti il suo stesso Figlio, Sua immagine e Suo riflesso, contemplando in Lui ciò che sempre ha amato e ama della sua divina essenza. Quel Figlio è tutto il suo affetto e il suo pensiero e, giacché si è fatto uomo, si potrebbe anche chiamare “Memoria intrisa di infinita tenerezza”. È, infatti, il Cristo risuscitato e, suo tramite, siamo tutti davanti al Padre, con in prima fila gli innocenti trafitti sulla terra, perché Cristo porta ancora, sebbene ormai e per sempre gloriose, le ferite della nostra condizione umana. 
 ...

Leggi tutto: "Lacrime e tenerezza" di Giovanni Mazzillo


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CHIESA E SOCIETA'
Interventi ed opinioni

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Filippo Gagliardi: storie di "ordinaria" santità.


«Quando mi hanno detto quello che stava succedendo, non ci potevo credere. Non ci credevo. Ma sai il bello? Io non ci ho creduto finché non ti ho visto al funerale. Non potevo credere che una persona come te, forte, sempre allegra, pronta ad ascoltarti, sempre a chiederti "come stai?" (maledetta frase) non c’era più. No. Adesso è strano entrare nel salone dell’oratorio e vedere la tua foto. Prima vedevo te. So che ci sei. Ci sei sempre stato, ci sei e ci sarai sempre. Forse non te l’ho mai detto, ma... grazie». Francesca ha 18 anni ed è una delle animatrici dell’oratorio di Intra che l’anno scorso erano "tutorate" da Filippo. Ha scritto questo messaggio due giorni fa, su Facebook, tirando fuori quello che finora non gli aveva detto.
Filippo Gagliardi è morto l’11 settembre, un tumore fulminante l’ha portato via in meno di un mese. Era una persona normalissima, un ingegnere trentenne che viveva la sua fede nel quotidiano, radicato in una comunità, all’oratorio Circolo San Vittore di Intra, sponda piemontese del Lago Maggiore. Lì aveva scelto di impegnarsi come "sentinella del mattino" e di sposare Anna, con cui fin da bambino aveva giocato su quel campetto che ora porterà il suo nome. È morto mentre stava diventando padre. A fine dicembre verrà battezzato Luca Filippo, nato il 6 ottobre. Anna, durante il lungo travaglio, si è affidata proprio al suo Filippo: «Istanti di terrore di perdere quanto di più bello e prezioso avessi. Mi sono detta: "Voglio essere come Fil e affrontare qualunque cosa affidandomi al Signore", e ho pregato Lui ma anche te affidando la preziosa vita del nostro cucciolo, e ripetendo, come hai fatto tu: "Il Signore è la mia forza, in Lui confido, non ho timor"».
La vita di Filippo non ha niente di straordinario, ma è proprio questo ad aver gettato luce su una vicenda che da due mesi non smette di scuotere i tanti che l’hanno conosciuto, e anche chi di lui non sapeva quasi nulla...

  Filippo, la straordinaria normalità che dà luce a tutti


Per saperne di più

Troppo piccola la Basilica di San Vittore per contenere tutti gli amici di Filippo; la sua scomparsa ha destato profonda commozione a Verbania dove l’ingegnere trentenne era davvero amato dai più grandi ai più piccoli. Si proprio a loro aveva dato tanto, contribuendo a renderli gli adulti del domani grazie al suo impegno da educatore presso l’oratorio San Vittore.

  Tanta commozione ai funerali di Filippo Gagliardi

  Muore a pochi giorni dalla nascita del figlio, veglia a San Vittore

  Intra, l’addio a Pippo con le campane a festa


E' la mia 39° festa dei Santi quella di questo anno! Ma lo devo riconoscere: quest'anno è tutto diverso! Lo è per lo sconvolgimento dell'11 settembre ... non 2001, ma 2013! Da piccolo mi hanno insegnato (o forse avevo capito io) che i Santi erano uomini e donne perfetti, doc, con l'aureola insomma! E mi affascinavano molto! Da giovane mi era molto piaciuto l'invito dell'allora Vescovo di Novara, mons. Renato Corti, a tenersi tra gli amici qualche santo e ho iniziato a divorare qualche libro o libretto che parlasse di loro. E il fascino cresceva! Poi sono diventato prete e un po' il poco tempo, un po' con il rischio del mestiere, li ho messi un po' da parte per andare all'essenziale, a Gesù (così almeno credevo) ... e la luce, forse, l'ho persa io! Poi è arrivato l'11 settembre e i santi non li ho più pensati nè con l'aureola nè sui libretti, ma straordinariamente e meravigliosamente accanto a me, sulla mia strada, con la grazia di poter fare un po' di cammino con loro! I santi non appartengono a Marte, ma alla terra e al cielo! E sono incredibilmente 'normali', uomini e donne che hanno vissuto senza maschere, pieni di passione per Gesù e per i fratelli, perché erano certi che «la fede non abita nel buio, ed è luce per le nostre tenebre» (come ci ha ricordato Papa Francesco nella sua prima enciclica sulla fede). Grazie Pippo, allora! Grazie davvero! Mi hai ridato il gusto per le cose belle, vere, buone e giuste :-) Non sciupiamo amici del Circolo e chiunque lo abbia conosciuto in vita o in morte, tanta semplice e straordinaria grazia! Solo 2 righe, ma una festa intensa :-)
(il ricordo/testimonianza di don Fabrizio Corno su Facebook 

Vedi anche il nostro post precedente:
  • Festa di tutti i Santi


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"Siamo nati e non moriremo mai più! - Storia di Chiara Corbella Petrillo - (video)


Siamo nati e non moriremo mai più! 
-Storia di Chiara Corbella Petrillo -

“Chiara è stata una grazia ricevuta! Ha aiutato ad alzare gli occhi verso il Cielo e a desiderare il Cielo”


"Sulla Via di Damasco" RAI2 - Puntata di sabato 2 novembre 2013 dedicata alla storia di Chiara Corbella Petrillo con S.E. Mons. Don Giovanni D'Ercole. Ospiti in studio il marito Enrico Petrillo e gli amici-autori del libro Simone Troisi e Cristiana Paccini. Interviste inedite ai genitori e alla sorella di Chiara, agli amici e ai medici che l'hanno seguita.

  VIDEO INTEGRALE


GUARDA I NOSTRI PRECEDENTI POST:
  •   Ricordando Chiara Corbella Petrillo ad un anno dalla sua salita in cielo...
  •   Ricordiamo Chiara Corbella Petrillo e la sua lezione di vita raccontata dal padre.
  •   Una storia di ordinaria santità - Chiara Corbella ed Enrico Petrillo ci mostrano che anche oggi il Vangelo può essere vissuto
  •   "Il nostro amore speciale": il ricordo di Chiara Corbella nelle parole del marito Enrico Petrillo
  •   Una storia di ordinaria santità - Chiara Corbella, la regola delle 3P e le testimonianze in rete
  •   Una storia di ordinaria santità: il coraggio di Chiara Corbella che rinvia le cure e muore per far nascere il suo bimbo!
  •   Alle madri d’Europa il Premio europeo per la vita «Madre Teresa di Calcutta» Consegnato simbolicamente a mamma Irene di Nomadelfia, all’associazione La quercia millenaria, e alla memoria di Chiara Corbella.


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Matrimonio: una riflessione da aprire, non da chiudere di Christian Albini


Matrimonio: 
una riflessione da aprire, 
non da chiudere
di Christian Albini

E' stato da poco annunciato il sinodo dei vescovi sulla famiglia del prossimo anno, un tema delicato e importante, e ieri sull'Osservatore Romano è stato pubblicato un lungo articolo dell'arcivescovo Gerhard Ludwing Müller, attuale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sul tema dei divorziati risposati e dell'accesso ai sacramenti (non un documento, come ha scritto qualche giornalista).
Il testo, in sostanza, si presenta come una rassegna dei pronunciamenti magisteriali sul tema, insieme a una lettura antropologica e teologica, e di fatto prende posizione contro la possibilità delle seconde nozze, secondo la prassi ortodossa, ed è possibilista sull'ampliamento del giudizio di nullità del matrimonio.
Devo dire che mi ha lasciato molto perplesso. Innanzitutto, per motivi di opportunità.
1. Come parlare di matrimonio?
Ha senso, prima ancora di aprire un processo consultivo ampio, intervenire in un modo che chiude preventivamente certe porte e indirizza invece in altre direzioni? Sembra quasi che così si svuoti la sinodalità. Anche perché, come dirò più avanti, il testo tratta come certe e risolte questioni che forse non lo sono.
Un secondo motivo di perplessità è che il sinodo sembra essere una questione di approccio "patologico" al matrimonio: come se il problema da risolvere fossero i divorzi e non ci sia invece da interrogarsi sulla comprensione che come chiesa cattolica abbiamo del matrimonio e sul modo di presentarla oggi. E' vero che ci sono dei fattori culturali e sociali che minano la definitività della scelta, ma proprio per questo è necessario innanzitutto ri-dire l'annuncio del matrimonio, più che trovare la soluzione di un problema. Posto che quest'ultimo è un discorso necessario, in quanto chiama in causa la sofferenza di molti, non si può pensare che tutto finisca lì.
Il vero problema è a monte (come la comunità cristiana pensa il matrimonio nella fede e accompagna ad esso) e non a valle (come la comunità cristiana si pone di fronte a separazioni, divorzi e nuove nozze)...

  Matrimonio: una riflessione da aprire, non da chiudere (1)

  Matrimonio: una riflessione da aprire, non da chiudere (2)



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Una riflessione sul senso dell’elemosina e sulla sua pratica nella vita della Chiesa.


Alcuni recenti gesti di Papa Francesco hanno alimentato una riflessione sul senso dell’elemosina e sulla sua pratica nella vita della Chiesa. La questione, in realtà, è sempre stata viva, perché aspetto essenziale del più ampio problema relativo al rapporto del cristiano con la ricchezza e i beni temporali, temi sui quali Gesù ha insistito con forza. I Padri della Chiesa espressero la convinzione che Dio avesse destinato i beni della terra a tutti gli uomini, non solo ad alcuni; per questo, molti di loro ritennero che il superfluo dei pochi fosse stato in qualche modo sottratto alle necessità dei molti...

  Il superfluo è un furto

Da tempo, durante i miei spostamenti quotidiani da una parte all’altra della città, mi imbatto sempre più di frequente in mendicanti, barboni e zingari che chiedono l’elemosina per strada. E questo è un fatto che si pone non solo per chi cammina a piedi ma anche per chi, in auto, si ferma al semaforo. Sono sempre le stesse facce, sempre le stesse persone che oramai si sono stanziate nelle nostre città «spartendosi» le diverse zone. Dinanzi a chi chiede, anche con insistenza, denaro, la prima reazione è quella del fastidio e dell’indifferenza. Ma mi domando quale in questi casi dovrebbe essere l’atteggiamento corretto da tenere almeno per una persona che si professa cristiana. Esistono delle «regole» nei confronti della carità e dell’elemosina?
Risponde don Leonardo Salutati, docente di Teologia Morale

  Come comportarsi con chi chiede l’elemosina?



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Intervista con Lucio Adrian Ruiz, responsabile del Servizio Internet d'Oltretevere: «Nell'ultimo anno abbiamo dovuto aumentare di dieci volte la potenza del sistema»
 
 
Andrea Tornielli:   Il webmaster vaticano: così la tenerezza del Papa diventa digitale

«Adorazione. Si parla poco di adorazione!». Questa considerazione, pronunciata da Papa Francesco con un tono misto di tristezza e preoccupazione, potrebbe far cogliere il senso di uno segni conclusivi dell’Anno della fede. A conferma si può aggiungere un altro pensiero del Papa rivolto ai seminaristi e alle novizie a conclusione delle giornate del loro pellegrinaggio. Allontanandosi anche in questo caso dal testo scritto disse: «Uno dei vostri formatori, mi diceva l’altro giorno: évangéliser on le fait à genoux, l’evangelizzazione si fa in ginocchio. Sentite bene: “l’evangelizzazione si fa in ginocchio”. Siate sempre uomini e donne di preghiera. Senza il rapporto costante con Dio la missione diventa mestiere».

  Rino Fisichella:   Davanti a Pietro la chiusura dell'Anno della fede


Il vescovo di Roma Bergoglio ha rifiutato di abitare nel palazzo del Vaticano per una modesta sede nella  pensione di Santa Marta. Un fatto esemplare ma anche doveroso.
Già nel Concilio Vaticano II, lo Schema XIV, cui aderirono alcune centinaia di vescovi, chiedeva l’impegno di «vivere secondo il livello di vita ordinario delle nostre popolazioni per quel che riguarda l'abitazione»; dunque non il palazzo, ma un modesto appartamento come tutti.
Lo schema non fu approvato, ma l’istanza evangelica resta e preme tuttora per la sua realizzazione
  PEACELINK:   L'abbandono dei palazzi. Documento da inviare e diffondere se condiviso


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 FRANCESCO
 



     Angelus/Regina Cæli - Angelus, 3 novembre 2013

   Omelia - 4 novembre 2013: Santa Messa in suffragio dei Cardinali e Vescovi defunti nel corso dell’anno

    Udienza - 6 novembre 2013

    Discorso - 8 novembre 2013  ai partecipanti alla Plenaria del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica

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SEGNALATI IN FACEBOOK NELLA NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA"



02/11/2013:

  La lotta contro il male...


04/11/2013:

  Ringrazio tutti i missionari...


05/11/2013:

  Per restare fedeli e coerenti...


07/11/2013:

  I santi sono persone che...


08/11/2013:

  Sta per concludersi l'Anno della Fede...


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  (GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)


Angelus del 3 novembre 2013 - Testo e video


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

la pagina del Vangelo di Luca di questa domenica ci mostra Gesù che, nel suo cammino verso Gerusalemme, entra nella città di Gerico. Questa è l’ultima tappa di un viaggio che riassume in sé il senso di tutta la vita di Gesù, dedicata a cercare e salvare le pecore perdute della casa d’Israele. Ma quanto più il cammino si avvicina alla meta, tanto più attorno a Gesù si va stringendo un cerchio di ostilità.

Eppure a Gerico accade uno degli eventi più gioiosi narrati da san Luca: la conversione di Zaccheo. Quest’uomo è una pecora perduta, è disprezzato e uno “scomunicato”, perché è un pubblicano, anzi, è il capo dei pubblicani della città, amico degli odiati occupanti romani, è un ladro e uno sfruttatore.

Impedito dall’avvicinarsi a Gesù, probabilmente a motivo della sua cattiva fama, ed essendo piccolo di statura, Zaccheo si arrampica su un albero, per poter vedere il Maestro che passa. Questo gesto esteriore, un po’ ridicolo, esprime però l’atto interiore dell’uomo che cerca di portarsi sopra la folla per avere un contatto con Gesù. Zaccheo stesso non sa il senso profondo del suo gesto, non sa perché fa questo ma lo fa; nemmeno osa sperare che possa essere superata la distanza che lo separa dal Signore; si rassegna a vederlo solo di passaggio. Ma Gesù, quando arriva vicino a quell’albero, lo chiama per nome: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). Quell’uomo piccolo di statura, respinto da tutti e distante da Gesù, è come perduto nell’anonimato; ma Gesù lo chiama, e quel nome “Zaccheo”, nella lingua di quel tempo, ha un bel significato pieno di allusioni: “Zaccheo” infatti vuol dire “Dio ricorda”...

  testo integrale dell'Angelus

  video


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Papa Francesco UDIENZA GENERALE 6 novembre 2013 - testo e video


Piazza San Pietro
Mercoledì, 6 novembre 2013


Cari fratelli e sorelle, buongiorno! 

Mercoledì scorso ho parlato della comunione dei santi, intesa come comunione tra le persone sante, cioè tra noi credenti. Oggi vorrei approfondire l’altro aspetto di questa realtà: vi ricordate che c’erano due aspetti: uno la comunione, l’unità fra noi e l’altro aspetto la comunione alle cose sante, ai beni spirituali. I due aspetti sono strettamente collegati fra loro, infatti la comunione tra i cristiani cresce mediante la partecipazione ai beni spirituali. In particolare consideriamo: i Sacramenti, i carismi, e la carità. (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 949-953). Noi cresciamo in unità, in comunione, con: i Sacramenti, i carismi che ciascuno ha dallo Spirito Santo, e con la carità.
...
Il Signore ci invita ad aprirci alla comunione con Lui, nei Sacramenti, nei carismi e nella carità, per vivere in maniera degna della nostra vocazione cristiana!

E adesso mi permetto di chiedervi un atto di carità: state tranquilli che non si farà la raccolta! Prima di venire in piazza sono andato a trovare una bambina di un anno e mezzo con una malattia gravissima. Suo papà e sua mamma pregano, e chiedono al Signore la salute di questa bella bambina. Si chiama Noemi. Sorrideva poveretta! Facciamo un atto di amore. Noi non la conosciamo, ma è una bambina battezzata, è una di noi, è una cristiana. Facciamo un atto di amore per lei e in silenzio chiediamo che il Signore la aiuti in questo momento e le dia la salute. In silenzio un attimo, e poi pregheremo l'Ave Maria. E adesso tutti insieme preghiamo la Madonna per la salute di Noemi. Ave Maria... Grazie per questo atto di carità...

  testo integrale

  video

"Il Papa ha fatto il segno della croce, ha preso in braccio Noemi e le ha detto: 'Fai la brava, perchè tu andrai avanti'". E' il racconto emozionato del papà della bambina di 16 mesi affetta da Sma ricevuta oggi in udienza privata da Papa Francesco. Andrea Sciarretta, un giovane padre di soli 26 anni, non nasconde la sua felicità, "soprattutto per il fatto che il pontefice ha ascoltato il grido di dolore di mia figlia, cosa che i politici non hanno mai fatto", dice all'Adnkronos Salute.
Andrea Sciarretta aveva già ricevuto a ottobre una telefonata del Papa, in cui si informava delle condizioni della piccola. Questa volta "siamo stati ricevuti da Sua Santità in persona - racconta - io, mia moglie, Noemi e l'altro mio figlio Mattia di 5 anni, alla presenza dell'elemosiniere del Papa, Konrad Krajewski. Era stato lui, sabato scorso, a venire a colazione da noi e a raccogliere la richiesta di venire in udienza questo mercoledì in Vaticano. E' riuscito a organizzare tutto, ci è venuto a prendere, ci ha fatto incontrare il Papa e oggi resteremo qui suoi ospiti"...

  Papa Francesco incontra Noemi Il padre: "Un gesto che ci ridà speranza"

Noemi, la bimba per cui ha pregato il Papa, ha 16 mesi ed è affetta da una terribile malattia rara genetica, la Sma, la atrofia muscolare spinale. Il padre, Andrea Sciarretta, 26 anni, ha scritto una lettera disperata al Papa che inizia così: “Con piacere le presento Noemi”. Nella lettera si chiede che la piccola possa riprendere le cure con il metodo Stamina, non più autorizzate in Italia. Papa Francesco ha prima contattato telefonicamente il padre, poi ha inviato il suo Elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, a Guardiagrele, in provincia di Chieti, dove la famiglia risiede. Quindi, li ha accolti oggi a Santa Marta. 

  L'intervista a Andrea Sciarretta, papà di Noemi


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Papa Francesco al cimitero romano del Verano (testo e video)



Papa Francesco ha celebrato la messa di Ognissanti al cimitero romano del Verano. Erano 20 anni che non accadeva: l'ultimo pontefice era stato Giovanni Paolo II, il primo novembre del 1993.
Sono migliaia i fedeli che hanno assistito alla Messa solenne per la commemorazione dei defunti . L'altare è stato posto sulla controfacciata dell'ingresso principale, rivolto verso l'interno del camposanto. 
La folla riempiva completamente tutta l'area che digrada dagli archi dell'ingresso fino al grande quadriportico, a sua volta semioccupato da altri fedeli. Molti hanno seguito la liturgia nei vialetti laterali all'area d'ingresso, seduti sulle soglie delle cappelle monumentali o in piedi in mezzo ai sepolcri antichi.

Moltissimi ragazzi hanno scelto di passare questo pomeriggio con Papa Francesco, tante giovani coppie hanno portato i loro bambini in passeggino o in carrozzina. Una, in particolare, porta un bimbo di pochi mesi che, spiegano, «abbiamo chiamato Francesco in onore del papa». Tante anche le suore e i religiosi. C'è chi, particolarmente compreso nella celebrazione, ha seguito la Messa in ginocchio dall'inizio, accanto a chi ha portato anche il cane, al guinzaglio. Tantissimi avevano in mano bandierine bianche e gialle con l'effigie di Bergoglio. La temperatura era insolitamente primaverile: mentre il sole stava tramontando il termometro segnava oltre 20 gradi. Già alle 15, l'interno del cimitero era pieno di fedeli; a essi si sono aggiunti tutti quelli che avevano atteso l'arrivo del Papa all'esterno del cimitero e che poi si sono riversati dentro...

  Il Papa al Verano per la messa di Ognissanti: «Preghiamo per gli affogati e per una vita migliore dei sopravvissuti»

Papa Francesco al Verano: la speranza allarga l'anima

 
video

A quest’ora, prima del tramonto, in questo cimitero ci raccogliamo e pensiamo al nostro futuro, pensiamo a tutti quelli che se ne sono andati, che ci hanno preceduto nella vita e sono nel Signore.
E’ tanto bella quella visione del Cielo che abbiamo sentito nella prima Lettura: il Signore Dio, la bellezza, la bontà, la verità, la tenerezza, l’amore pieno. Ci aspetta tutto questo. Quelli che ci hanno preceduto e sono morti nel Signore sono là. Essi proclamano che sono stati salvati non per le loro opere – hanno fatto anche opere buone – ma sono stati salvati dal Signore: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello» (Ap 7, 10). È Lui che ci salva, è Lui che alla fine della nostra vita ci porta per mano come un papà, proprio in quel Cielo dove sono i nostri antenati. Uno degli anziani fa una domanda: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?» (v.13). Chi sono questi giusti, questi santi che sono in Cielo? La risposta: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (v.14).

Possiamo entrare nel Cielo soltanto grazie al sangue dell’Agnello, grazie al sangue di Cristo. È proprio il sangue di Cristo che ci ha giustificati, che ci ha aperto le porte del Cielo. E se oggi ricordiamo questi nostri fratelli e sorelle che ci hanno preceduto nella vita e sono in Cielo, è perché essi sono stati lavati dal sangue di Cristo. Questa è la nostra speranza: la speranza del sangue di Cristo! Una speranza che non delude. Se camminiamo nella vita con il Signore, Lui non delude mai!...

  il testo integrale dell'omelia di Papa Francesco al Cimitero del Verano Venerdì, 1° novembre 2013

  video


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Papa Francesco - S. Messa in suffragio di cardinali e vescovi scomparsi nel corso dell'anno (video e testo)



SANTA MESSA IN SUFFRAGIO 
DEI CARDINALI E DEI VESCOVI
DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana, Altare della Cattedra
Lunedì, 4 novembre 2013

Papa Francesco:
“I nostri peccati sono nelle mani misericordiose di Dio, piagate d’amore”

“Uomini dediti alla loro vocazione”, il cui bene prodotto a servizio della Chiesa “è ben custodito” nelle mani di Dio. È il ritratto che Papa Francesco ha fatto questa mattina (ndr. 4 novembre), dei cardinali e dei vescovi scomparsi nel corso dell'anno. In loro suffragio, il Papa ha presieduto la Messa nella Basilica di San Pietro, affermando che la speranza di un cristiano ha ragioni ben più profonde del limite imposto dalla morte.

La speranza cristiana è imbattibile, perché il peggiore dei mali non può recidere il legame d’amore tra Dio e l’uomo, men che mai la morte, che è una porta verso la vita e non un ponte che crolla tra una esistenza alle spalle e un abisso buio e sconosciuto di fronte. La lezione è di San Paolo e Papa Francesco la rammenta ai cardinali e ai vescovi che con lui ricordano i confratelli scomparsi nel corso dell’anno. Angeli e principati, presente e futuro, altezze, profondità, creature: niente, afferma l’Apostolo, “potrà separarci dall’amore di Dio”. E in questa medesima, rocciosa convinzione riposa – osserva Papa Francesco – “il motivo più profondo, invincibile della fiducia e della speranza cristiane”:
“Anche le potenze demoniache, ostili all’uomo, si arrestano impotenti di fronte all’intima unione d’amore tra Gesù e chi lo accoglie con fede. Questa realtà dell’amore fedele che Dio ha per ciascuno di noi ci aiuta ad affrontare con serenità e forza il cammino di ogni giorno, che a volte è spedito, a volte invece è lento e faticoso. Solo il peccato dell’uomo può interrompere questo legame; ma anche in questo caso Dio lo cercherà sempre, lo rincorrerà per ristabilire con lui un’unione che perdura anche dopo la morte, anzi, un’unione che nell’incontro finale con il Padre raggiunge il suo culmine”...

  Papa Francesco: il male è impotente di fronte all'amore di Dio

  testo integrale dell'omelia

  video


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S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
5 novembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco:
"Non accontentiamoci di essere nella lista degli invitati"

L’essenza cristiana è un invito a festa. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che la Chiesa “non è solo per le persone buone”, l’invito a farne parte riguarda tutti. Ed ha aggiunto che, alla festa del Signore, si “partecipa totalmente” e con tutti, non si può fare una selezione. I cristiani, ha dunque avvertito, non si accontentino di “essere nella lista degli invitati” altrimenti è come “rimanere fuori” dalla festa.

Le letture del giorno, ha detto il Papa iniziando la sua omelia, “ci mostrano la carta d’identità del cristiano”. Ed ha subito sottolineato che “prima di tutto l’essenza cristiana è un invito: soltanto diventiamo cristiani se siamo invitati”. Si tratta, ha soggiunto, di “un invito gratuito”, a partecipare, “che viene da Dio”. Per entrare a questa festa, ha poi avvertito, “non si può pagare: o sei invitato o non puoi entrare”. Se “nella nostra coscienza”, ha ripreso, “non abbiamo questa certezza di essere invitati” allora “non abbiamo capito cosa è un cristiano”:
“Un cristiano è uno che è invitato. Invitato a che? A un negozio? Invitato a fare una passeggiata? Il Signore vuol dirci qualcosa di più: ‘Tu sei invitato a festa!’. Il cristiano è quello che è invitato a una festa, alla gioia, alla gioia di essere salvato, alla gioia di essere redento, alla gioia di partecipare la vita con Gesù. Questa è una gioia! Tu sei invitato a festa! Si capisce, una festa è un raduno di persone che parlano, ridono, festeggiano, sono felici. E' un raduno di persone. Io fra le persone normali, mentalmente normali, mai ho visto uno che faccia festa da solo, no? Ma sarebbe un po’ noioso quello! Aprire la bottiglia del vino… Questa non è una festa, è un’altra cosa. Si fa festa con gli altri, si fa festa in famiglia, si fa festa con gli amici, si fa festa con le persone che sono state invitate, come io sono stato invitato. Per essere cristiano ci vuole una appartenenza e si appartiene a questo Corpo, a questa gente che è stata invitata a festa: questa è l’appartenenza cristiana”.
Richiamando la Lettera ai Romani, il Papa ha dunque affermato che questa festa è una “festa di unità”. Ed ha evidenziato che tutti sono invitati, “buoni e cattivi”. E i primi ad essere chiamati sono gli emarginati:
“La Chiesa non è la Chiesa solo per le persone buone. Vogliamo dire chi appartiene alla Chiesa, a questa festa? I peccatori, tutti noi peccatori siamo stati invitati. E qui cosa si fa? Si fa una comunità, che ha doni diversi: uno ha il dono della profezia, l’altro il ministero, qui è un insegnante… Qui è sorta. Tutti hanno una qualità, una virtù. Ma la festa si fa portando questo che ho in comune con tutti… Alla festa si partecipa, si partecipa totalmente. Non si può capire l’esistenza cristiana senza questa partecipazione. E’ una partecipazione di tutti noi. ‘Io vado alla festa, ma mi fermo soltanto al primo salottino, perché devo stare soltanto con tre o quattro che io conosco e gli altri…’. Questo non si può fare nella Chiesa! O tu entri con tutti o tu rimani fuori! Tu non puoi fare una selezione: la Chiesa è per tutti, incominciando per questi che ho detto, i più emarginati. E’ la Chiesa di tutti!”...

  Il Papa: tutti siamo invitati a festa dal Signore, non accontentiamoci di stare sull'elenco

  video


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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Dio non è un buon perdente... ha una debolezza d'amore per quelli che si sono perduti - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
7 novembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco:
"Dio gioisce quando salva un peccatore"

La gioia di Dio è ritrovare la pecorella smarrita, perché ha una "debolezza d'amore" per quanti si sono perduti: è quanto ha detto stamani Papa Francesco durante la Messa presieduta nella cappellina di Casa Santa Marta.

Commentando le parabole della pecorella smarrita e della moneta perduta, il Papa spiega l’atteggiamento di scribi e farisei che si scandalizzavano delle cose che Gesù faceva e mormoravano contro di Lui: “Quest’uomo è un pericolo”, pranza con i pubblicani e i peccatori, “offende Dio, dissacra il ministero del profeta … per avvicinarsi a questa gente”. Gesù – afferma il Papa – dice che questa “è la musica dell’ipocrisia” e “a questa ipocrisia mormoratrice risponde con una parabola”:
“Alla mormorazione Lui risponde con una parabola gioiosa. Quattro volte, in questo piccolo brano, viene la parola gioia o allegria: tre volte gioia e una allegria. ‘E voi – come se lui dicesse – voi vi scandalizzate di questo, ma mio Padre gioisce’. Quello è il messaggio più profondo di questo: la gioia di Dio, che è un Dio cui non piace perdere, non è un buon perdente e per questo, per non perdere, esce da sé e va, cerca. E’ un Dio che cerca: cerca tutti quelli che sono lontani da Lui. Come il pastore, che va a cercare la pecora smarrita”.

Il lavoro di Dio – sottolinea il Papa – è "andare a cercare” per “invitare alla festa tutti, buoni e cattivi”:
“Lui non tollera perdere uno dei suoi. Ma questa sarà anche la preghiera di Gesù, nel Giovedì Santo: ‘Padre, che non si perda nessuno di quelli che Tu mi hai dato’. E’ un Dio che cammina per cercarci e ha una certa debolezza d’amore per quelli che si sono più allontanati, che si sono perduti ... Va e li cerca. E come cerca? Cerca sino alla fine, come questo pastore che va nel buio, cercando, finché la trova; o come la donna, che quando perde quella moneta accende la lampada, spazza la casa e cerca accuratamente. Così cerca Dio. ‘Ma questo figlio non lo perdo, è mio! E non voglio perderlo’. Ma questo è nostro Padre: sempre ci cerca”...

  Il Papa: la debolezza d'amore di Dio per chi è smarrito è la gioia della misericordia

  video


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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - pane sporco... senza dignità - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
8 novembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco:
"chi prende tangenti dà pane sporco ai figli"

Gli amministratori corrotti «devoti della dea tangente» commettono un «peccato grave contro la dignità» e danno da mangiare «pane sporco» ai propri figli: a questa «furbizia mondana» si deve rispondere con la «furbizia cristiana» che è «un dono dello Spirito Santo». Lo ha detto Papa Francesco nell’omelia della messa celebrata venerdì mattina, 8 novembre, nella cappella della Casa Santa Marta, proponendo una riflessione sulla figura dell’amministratore disonesto descritta nel brano liturgico del Vangelo di Luca (16, 1-8).

«Il Signore — ha detto il Papa — torna un’altra volta a parlarci dello spirito del mondo, della mondanità: come agisce questa mondanità e quanto pericolosa sia. E Gesù, proprio lui, nella preghiera dopo la cena del giovedì santo pregava il Padre perché i suoi discepoli non cadessero nella mondanità, nel mondo».
La mondanità, ha ribadito il Pontefice, «è il nemico». Ed è proprio «l’atmosfera, lo stile di vita» tipico della mondanità — ossia il «vivere secondo i “valori” del mondo» — che «piace tanto al demonio». Del resto «quando noi pensiamo al nostro nemico pensiamo prima al demonio, perché è proprio quello che ci fa male».
«Un esempio di mondanità» è l’amministratore descritto nella pagina evangelica. «Qualcuno di voi — ha osservato il Pontefice — potrà dire: ma quest’uomo ha fatto quello che fanno tutti». In realtà «tutti no!»; questo è il modo di fare di «alcuni amministratori, amministratori di aziende, amministratori pubblici, alcuni amministratori del governo. Forse non sono tanti». Nella sostanza «è un pò quell’atteggiamento della strada più breve, più comoda per guadagnarsi la vita». Il Vangelo racconta che «il padrone lodò quell’amministratore disonesto». E questa — ha commentato il Papa — «è una lode alla tangente. L’abitudine delle tangenti è un’abitudine mondana e fortemente peccatrice». Certamente è un’abitudine che non ha nulla a che vedere con Dio.
Infatti, ha proseguito, «Dio ci ha comandato: portare il pane a casa con il nostro lavoro onesto». Invece «questo amministratore dava da mangiare ai suoi figli pane sporco. E i suoi figli, forse educati in collegi costosi, forse cresciuti in ambienti colti, avevano ricevuto dal loro papà come pasto sporcizia. Perché il loro papà portandopane sporco a casa aveva perso la dignità. E questo è un peccato grave». Magari, ha specificato il Papa, «s’incomincia forse con una piccola bustarella, ma è come la droga». E anche se la prima bustarella è «piccola, poi viene quell’altra e quell’altra: e tu finisci con la malattia dell’addizione alle tangenti»...

  Il pane sporco della corruzione

  video



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... «Un Papa di meravigliosa semplicità e di straordinaria raffinatezza» sintetizza Silvia Ronchey. «Ogni sua azione, ogni sua parola si presta a una duplice lettura», aggiunge.
Lei che cosa preferisce: la semplicità o la raffinatezza?
«Non sono separabili l’una dall’altra – risponde –. Lo si è capito subito, fin dal momento in cui papa Bergoglio si è affacciato dalla loggia della basilica di San Pietro. Quell’inginocchiarsi davanti al popolo, quel chiedere la benedizione dei fedeli erano gesti talmente trasparenti da non esigere, in apparenza, alcuna spiegazione. Insieme, però, erano la ripresa sapiente di un’idea di papato antichissima, quella che corrisponde alla sezione originaria del Liber Pontificalis»...

  Alessandro Zaccuri:   Ronchey: Raffinata semplicità


Il rabbino Abahram Skorka, grande amico di Papa Francesco fin da quando era ancora cardinale in Argentina, intervistato dalla giornalista Christiane Amanpour della CNN, ha raccontato del legame che lo lega al Santo Padre, del loro libro scritto insieme (Il cielo e la terra – Mondadori), dell’impegno comune a portare avanti un proficuo dialogo interreligioso.
La definizione più bella sul Papa, che Skorka ha dato è stata quella di un uomo che vive con la mente in cielo e i piedi ben piantati per terra,

  COSA RESTA DEL GIORNO:  “Papa Francesco vive con la mente in cielo e i piedi per terra”


Francesco non è soltanto il Papa cantore della misericordia e della tenerezza, che si fa prossimo a quanti vivono nelle periferie della chiesa e del mondo; è anche un Pontefice che sta concretamente lavorando per il rinnovamento della Chiesa, operando scelte senza precedenti.

  Franco Garelli:  Uno scienziato sociale a San Pietro (pdf)

La conferenza stampa in Vaticano di presentazione del documento preparatorio del prossimo Sinodo straordinario dei Vescovi sulla famiglia (5-19 ottobre 2014) rappresenta un ulteriore passo nel pontificato di Papa Francesco, e un segnale di novità. La sfera degli spin doctors è già impegnata a proporre il questionario in 38 domande, sulle nuove questioni relative alla morale familiare e sessuale, come un documento rivoluzionario oppure, al contrario, come un documento che non cambia nulla nella storia del Sinodo dei Vescovi.

  Massimo Faggioli:  Un papa che fa domande

Trentotto domande su famiglia, unioni di fatto, contraccezione, legami omosessuali… rivolte al basso, alle famiglie, al popolo dei credenti. La rivoluzione di Francesco compie un altro passo in avanti. Semplice come l’uovo di Colombo, audace come il passaggio dalla monarchia assolutista a un governo in cui il “capo” ascolta il suo popolo.

  Marco Politi:  Papa Francesco, la rivoluzione è nelle domande


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    Cardinale Carlo Maria Martini
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Cardinale Carlo Maria Martini
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   AVVISI: 

  1) La newsletter è settimanale;

 

  2) Il servizio di "Lectio" a cura di fr. Egidio Palumbo alla pagina:

      http://digilander.libero.it/tempo_perso_2/la_lectio_del_Vangelo_della_domenica.htm

 

  3) Il  servizio omelia di P. Gregorio on-line (mp3) alla pagina

            http://digilander.libero.it/tempodipace/l_omelia_di_p_Gregorio.htm