"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
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NEWSLETTER n°45 del 2013
Aggiornamento della settimana -
dal 2 all'8 novembre 2013 -
Prossima NEWSLETTER prevista per il 15 novembre 2013 |
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N. B. La Lectio viene sospesa nel periodo estivo
(GIA' ANTICIPATO NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)La
fuga dei cervelli. È la formula usata per evocare la migrazione di
tanti giovani italiani, ad alto profilo professionale e scientifico,
verso altri Paesi. Non solo europei. Dove trovano occupazione e
riconoscimento. Fuga dei cervelli. È un'espressione che non mi piace.
Perché i cervelli, nei Paesi liberi, sono liberi. E oggi possono
sconfinare ovunque, grazie alle nuove tecnologie della comunicazione.
L'unica gabbia che possa imprigionarli è il loro corpo.
Se
i "cervelli" se ne vanno dall'Italia è perché fuggono dal loro "corpo".
Troppo vecchio per permettere loro di esprimersi. O almeno: di
"operare". Di utilizzare la loro opera. L'Italia è un Paese vecchio
(dati Istat, 2012). Il più vecchio d'Europa. Dopo la Germania, che,
però, può permettersi di invecchiare perché attira i giovani migliori
dagli altri Paesi. Compreso il nostro.
Il
problema è che noi non ci accorgiamo di invecchiare. Perché siamo
sempre più vecchi. Così ci immaginiamo giovani, sempre più a lungo.
Fino a 40 anni. E rifiutiamo di invecchiare. Secondo gli italiani -
come ho già scritto altre volte - per dirsi vecchi occorre aver
superato 84 anni (indagini Demos). Considerata la durata media della
vita, dunque, in Italia si accetta di essere vecchi solo dopo la
morte.
I
giovani, in Italia, sono sempre di meno. Come i figli. Il tasso di
fecondità per donna è 1,4. Fra i più bassi al mondo. Se il nostro
declino demografico si è interrotto, da qualche anno, è per il
contributo fornito dagli immigrati. Che, tuttavia, non hanno modificato
la nostra auto-percezione. Perché Noi continuiamo a invecchiare e a far
pochi figli, mentre Loro sono giovani e fecondi. In altri termini,
abbiamo riprodotto i confini al nostro interno nei confronti degli
Altri. Gli immigrati, infatti, restano Stranieri, anche quando sono
italiani, da più generazioni. Anche quando diventano ministri...
Così
invecchiamo senza accorgercene e senza accettarlo. Investiamo le nostre
risorse nell'assistenza e nella sanità, com'è giusto. Molto meno nella
scuola, nella formazione, nell'università (da qualche tempo ho
cominciato a scriverla con l'iniziale minuscola). Cioè, nei giovani.
Nei figli. Nel futuro...
"Il paese che perde i suoi giovani" di Ilvo Diamanti
--------------------------------------- Il
Premio Goliarda Sapienza è dedicato ai minorenni condannati a pene di
detenzione. Un ennesimo premio, si dirà, a che serve? E invece ? sembra
incredibile ? così come il cinema e il teatro praticato dai reclusi
hanno funzionato portando una ventata di aria fresca nelle carceri,
l?invito a scrivere racconti ha coagulato attorno al premio molte
energie giovanili.Messi di fronte alla scrittura, i ragazzi hanno
cominciato a riflettere, a farsi domande che non si erano mai poste, a
crearsi un piccolo mondo di immaginazione che precede di poco una idea
di doveri e di diritti. Ecco l?importanza riconoscibile della lettura e
della scrittura. La parola chiama pensieri, i pensieri chiamano
affetti, memorie e un bisogno di logica. La logica chiama, vuole, esige
un sistema, anche piccolo di valori. Da qui l?importanza di iniziative
creative dentro i luoghi di detenzione e prigionia...
Dacia Maraini: Il disagio dei ragazzi al tempo della rete - Senza affetti e solidarietà. Le radici del disagio giovanile ---------------------------------------------------------------(GIA' ANTICIPATO NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)La verità sul naufragio di Lampedusa ''Così l'Italia ci ha lasciati morire'
Dal
barcone naufragato l'11 ottobre erano partite tre telefonate di
soccorso alle autorità italiane. Ma la centrale operativa ha perso due
ore. E alla fine ha risposto: 'Chiamate Malta'. Così sono annegati 268
siriani in fuga dalla guerra, tra cui 60 bambini
La
morte di 268 profughi siriani, annegati l'11 ottobre a largo di
Lampedusa, poteva essere evitata. Un'inchiesta de “l'Espresso”
ricostruisce l'incredibile comportamento delle autorità italiane e
l'effetto dei regolamenti europei. Ci sono state tre chiamate di
soccorso via satellite ignorate. Due ore di attesa in mare. Per poi
scoprire che l’Italia non aveva mobilitato nessun aereo, nessuna nave
della Marina, nessuna vedetta della Guardia costiera. Anzi, dopo due
ore, la centrale operativa italiana ha detto ai profughi alla deriva a
100 chilometri da Lampedusa che avrebbero dovuto telefonare loro a
Malta, lontana almeno 230 chilometri.
Due ore perse: dalle 11 alle 13 di venerdì 11 ottobre. Se gli italiani si fossero mobilitati subito o avessero immediatamente passato l’allarme ai colleghi alla Valletta, la strage non ci sarebbe stata. La verità sul naufragio di Lampedusa ''Così l'Italia ci ha lasciati morire' Il
drammatico racconto di Mohanad Jammo, 40 anni. Ad Aleppo in Siria, una
delle città distrutte dalla guerra civile, era il primario dell’Unità
di terapia intensiva e anestesia dell’Ibn Roshd Hospital, un ospedale
pubblico, direttore del servizio di anestesia e anti rigetto del team
per i trapianti di rene, oltre che manager della clinica franco-siriana
“Claude Bernard”. Nel naufragio il dottor Jammo è sopravvissuto con la
moglie, ex docente universitaria di ingegneria meccanica, e la loro
bimba di 5 anni. Ma ha perso i figli Mohamad, 6 anni, e Nahel, 9 mesi,
i cui corpi non sono stati ritrovati.
video Per ricordare il naufragio dell'11 ottobre proponiamo:
Sicilia, i siriani scampati al naufragio riabbracciano i bimbi perduti --------------------------------------- Sequestrati,
percossi, segregati. E’ ciò che hanno subito i sopravvissuti al
naufragio al largo di Lampedusa il 3 ottobre scorso, quando morirono
366 persone. Si tratta di eritrei rimasti intrappolati nella rete di
un’organizzazione criminale transnazionale, dedita al traffico di
esseri umani. Due gli arresti condotti dalla direzione distrettuale
antimafia di Palermo: si tratta di un somalo, figura importante in seno
all’organizzazione, e di un palestinese. Alcuni risultati delle
indagini sono stati illustrati oggi, a Palermo dagli inquirenti, tra
loro il procuratore aggiunto di Palermo, Maurizio Scalia. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato
RADIO VATICANA: Sevizie e torture contro i profughi eritrei, arrestati i colpevoli. La denuncia della Dda di Palermo ---------------------------------------------------------------
LA VITA CRISTIANA COME CAMMINO
HOREB n. 65 - 2/2013TRACCE
DI SPIRITUALITA'
A CURA DEI CARMELITANI È sempre
bello partecipare della gioia di un bambino che, dopo aver gattonato
per settimane, finalmente, tenuto per mano dai genitori, riesce a stare
in piedi e a muovere i primi passi. Gli brillano gli occhi e grida di
gioia, poi, quando scopre che può camminare da solo, da quel momento si
sente libero di esplorare le cose che lo circondano. Questo l'incipit dell'Editoriale di Horeb, Quaderni di riflessione e formazione per quanti desiderano coltivare una spiritualità che assuma e valorizzi il quotidiano.
Editoriale (pdf)
Sommario (pdf) E' possibile richiedere
copie-saggio gratuite:
CONVENTO DEL CARMINE
98051 BARCELLONA P.G. (ME)
E-mail: horeb.tracce@alice.it
Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto
I MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ - 2013 Dal 16 Ottobre al 4 Dicembre Sala del Convento dalle h. 20.00 alle h. 21.00 IL SANGUE DEI MARTIRI SEME DI NUOVI CRISTIANI --------------------------------------------------------------- SEGNALATI IN FACEBOOK NELLA NOSTRA PAGINA SOCIALE "QUELLI DELLA VIA"Se mi chiedessero... Una lacrima per i defunti... Io posso anche non vedere... Lasciamoci anche noi chiamare... Sperare in Dio non è... Quando le cose... Stare dietro a Gesù... Quando la miseria altrui... L'elemosina non è... Quando ciò che ti anima... --------------------------------------------------------------- LE PIETRE D'INCIAMPO DEL VANGELO "Chi ha fatto il bagno non ha bisogno
di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro. Voi siete puri ma non tutti" (Giovanni 13, 10) Gianfranco Ravasi: La lavanda dei piedi, segno della donazione totale di Cristo --------------------------------------------------------------- (GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)RUBRICA
Un cuore che ascolta - lev shomea' "Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9) Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica di Santino Coppolino Nel
suo Esodo verso Gerusalemme Gesù percorre la nostra terra, la nostra
storia, non tralasciando di visitarci in ogni nostro dramma, in ogni
nostra miseria, fin nelle nostre depressioni più profonde, fino a
Gerico che ne è il simbolo, situata a circa 400 mt sotto il livello del
mare.
Già
nel Vangelo di domenica scorsa Egli ci ha detto che nessuno è escluso
dall'amore del Padre, e che la Buona Notizia è per tutti, buoni e
cattivi, santi e peccatori, farisei e pubblicani, e anche oggi la
liturgia ci presenta la figura di un uomo, un pubblicano, anzi il capo
dei pubblicani ("hic princeps erat pubblicanorum", traduce San Girolamo). Un principe si, ma servo a sua volta "del principe di questo mondo"(Gv 12,30-31), reso tale dalla bramosia del potere e del denaro.
Il suo nome è Zaccheo (che significa:"Yahweh ricorda") ed è basso di statura ...
...--------------------------------------- Domenica 3 novembre 2013
XXXI domenica del tempo Ordinario
Riflessioni sulle letture
di LUCIANO MANICARDI
Il testo della Sapienza parla del Dio che ha misericordia (verbo eleéo: Sap 11,23) di tutti e non guarda ai peccati degli uomini in vista della loro conversione (metánoia: Sap 11,23); il vangelo presenta Zaccheo come uomo che fa esperienza della misericordia del Signore e esempio concreto di conversione. Zaccheo
cerca di vedere Gesù, ma la folla gli è di ostacolo. Per incontrare
Gesù occorre uscire dalla folla, osare la propria singolarità, assumere
i propri limiti per trovare il proprio personale cammino, occorre il
coraggio di “cantare fuori dal coro”.
La
grandezza del piccolo Zaccheo sta nell’intelligente assunzione del
limite della propria statura e nel trovare aiuto in un albero di
sicomoro su cui sale per poter vedere Gesù. I limiti precisi che ci
abitano (fisici, morali, intellettuali, …), quando siano assunti con
maturità e intelligenza, non ci impediscono di incontrare il Signore,
ma ci consentono di far avvenire tale incontro nella verità. Questa
assunzione ci rende anche intelligenti nel saper ricorrere alle
creature che ci vivono accanto perché suppliscano alla nostra indigenza.
Capo
dei pubblicani e ricco, Zaccheo probabilmente si è arricchito in modo
disonesto, sfruttando le possibilità offerte dal sistema di riscossione
delle imposte. Egli, che può essere etichettato come peccatore e
disonesto, è abitato dal desiderio di incontrare Gesù, e cerca con
tutte le sue forze di vederlo ...
Riflessioni sulle letture di LUCIANO MANICARDI--------------------------------------- Vangelo di Luca 19,1-10
Riflessione del Card. Gianfranco Ravasi
3 novembre 2013
“…Il
verbo fondamentale è cercare; cercare è anche il verbo
dell’itinerario della Fede, di colui che non si accontenta di stare
fermo, ma si interroga e, come diceva quel grande pensatore
credente che era Pascal: “Prima trovare, poi cercare”. In realtà colui che cerca è perché ha già trovato. ,,," (Card. Ravasi)
video integrale
--------------------------------------- L’ultima obbedienza che ci fa più uomini di
Enzo Bianchi
Morte, giudizio, inferno, paradiso:
così suonava la risposta del Catechismo alla domanda sui novissimi,
cioè sulle realtà ultimissime che attendono ogni uomo. Su queste
colonne abbiamo già sostato sul giudizio e sul paradiso, ma in questi
giorni che precedono la memoria dei morti vorremmo tentare di leggere
la morte come evento umano e cristiano, sapendo che oggi viviamo in
un’atmosfera culturale che della morte non vuole più saperne. È perfino
banale questa constatazione: la morte è rimossa, è diventata l’unica
realtà concretamente “oscena”, che non deve cioè essere vista,
contemplata, considerata. Oggi vogliamo evitare di essere testimoni
della morte, che tuttavia continua a essere presente nelle nostre vite
familiari e di relazione; soprattutto, vogliamo evitare di pensare alla
nostra propria morte, che è l’unico evento certo che ci sta
davanti.
È
significativo un invito fatto da André Comte-Sponville al suo lettore,
proprio in un libro che vuole essere una “saggezza” per tutti:
“Lettore, coraggio! Per la morte hai tutto il tempo. Innanzitutto
impegnati a vivere!”. Non è un caso che anche il vocabolario della
morte sia poco frequentato. Si ha una sorta di ritegno a parlare di
“morto, morte”; si preferisce dire: “Se n’è andato. È passato di là.
Non è più con noi”… Questo accade anche nei funerali, che si dicono
ancora cristiani, ma che sovente, soprattutto nel caso di qualche
persona importante o di una disgrazia pubblica, sono “eventi” con
accenti di spettacolo. In essi, invece di accogliere il mistero della
morte, si parla del defunto, ci si indirizza a lui come se fosse ancora
vivo, si tenta quasi una rianimazione di cadavere, magari facendo
ascoltare a tutti qualche sua parola o, se era un cantante, una sua
canzone. Così si cancella la morte dalla nostra vita e dalla
prospettiva tanto necessaria nella ricerca di un senso, di una
direzione verso cui camminare.
Ma
ciò che appare follia è il fatto che, accanto a questa rimozione della
morte, avvenga la sua spettacolarizzazione nei mezzi di comunicazione.
In questi la morte sembra regnare, in un flusso di immagini che la
esibiscono, la mostrano, insistono su di essa per “dare la notizia”
efficace di catastrofi, guerre, torture, omicidi… Non vogliamo vedere
la morte, e poi rallentiamo in auto per guardare gli effetti di un
incidente e vederne le vittime. Abituandoci alle immagini della morte
in scena, crediamo di allontanare la possibilità della nostra propria
morte. Insomma, anche per il cristiano la tentazione è quella di fare
tacere i novissimi, di dimenticarli, e tra di essi in particolare la
morte. Eppure la morte continua ad avere l’ultima parola su di noi,
almeno nella realtà visibile, continua a essere un traguardo, una meta
che ci attende: è l’unica direzione (senso) della vita che non possiamo
mutare, perché sempre la vita va verso la morte. Martin Heidegger in
questa lettura è giunto ad affermare che l’uomo “vive per la morte”...
"L’ultima obbedienza che ci fa più uomini" di Enzo Bianchi--------------------------------------- "Se la morte si eclissa nel cielo della vita" di mons. Bruno Forte
Questi
giorni d'inizio novembre, specialmente dedicati alla memoria di chi non
è più fra noi, ci hanno inevitabilmente ricordato un tratto costitutivo
della nostra condizione umana, la sua caducità. Martin Heidegger ne
parlava come del nostro essere «gettati verso la morte», e rifletteva:
«La morte non è affatto un mancare ultimo... essa è, prima di tutto,
un'imminenza che sovrasta». Con la morte tutti dobbiamo fare i conti,
anche se volessimo illuderci che non c'è! È per questo che la vita
risulta tanto spesso impastata di malinconia e la sottile striscia di
terra, su cui poggiano i nostri piedi, appare fasciata dall'abisso del
nulla. Da questa vertigine scaturiscono tanto la situazione emotiva
dell'angoscia, così diffusamente umana, quanto quella ripulsa del nulla
che suscita, come per contraccolpo, la forza del domandare. È così che
il pensiero nasce dalla morte: «Dalla morte, dal timore della morte -
afferma Franz Rosenzweig - prende inizio e si eleva ogni conoscenza
circa il Tutto». Eppure, nella modernità occidentale e in larga parte
fino ai nostri giorni la morte sembra aver conosciuto un oblio.
L'ottimismo della ragione adulta, dall'Illuminismo in poi, aveva
esorcizzato la morte, relegandola a semplice momento di passaggio nel
processo totale dello Spirito. Per l'uomo emancipato della modernità
tutto ciò che è notte deve cedere il posto alla luce della ragione. Il
mito moderno del progresso svuotava la morte della sua tragicità,
perché ne faceva una tappa marginale della storia dell'individuo
totalmente assimilato alla causa, sacrificato al trionfo dell'idea.
Questa «eclissi della morte» è culminata nella figura della «morte
rovesciata», espulsa dallo svolgersi della vita, che sembra non
sopportare le interruzioni e i silenzi. La morte, quando non può esser
taciuta, viene trasformata in spettacolo, in modo che ne sia
esorcizzato il pungolo doloroso. È il trionfo della maschera a scapito
della verità: scompaiono i segni del lutto; la rassicurazione evasiva e
consolatoria sembra averla vinta su tutti i fronti rispetto alla
serietà tragica dell'interruzione senza riparo. Eppure, nelle
inquietudini del nostro presente, pare profilarsi una «nostalgia di
perfetta e consumata giustizia» (Max Horkheimer), una sorta di ricerca
del senso perduto, ultimo e più forte della morte. Non si tratta di
un'operazione soltanto emotiva, ma di uno sforzo di ritrovare il senso
al di là del naufragio: «restituer la mort» (Ghislain Lafont) diventa
un compito, che ci sfida tutti. In questa ripresa della domanda sulla
morte, trova nuovo spazio anche l'interrogativo sulla vita e il suo
oltre: la morte è il «vallo estremo» o è la sentinella del futuro
assoluto, decisivo per le scelte del vivere, anche se non deducibile
dal nostro presente? ...
Se la morte si eclissa nel cielo della vita di Bruno Forte--------------------------------------- Lacrime e tenerezza di Giovanni Mazzillo (Teologo) Le ferite della storia spesso restano non cicatrizzate.
Ma Dio ricorda che la disperazione sarà colmata di tenerezza insperata. Zeta come
Zaccaria, il profeta ucciso tra il santuario e l’altare. Come Zayn,
nome arabo che significa “bellissimo”. Bellissimo nella sua tragedia,
quel piccolo rimasto abbracciato alla mamma in fondo al mare di
Lampedusa, prima che spuntasse l’alba del 3 di ottobre u.s.. Due
nomi con due storie diverse, e tuttavia accomunati oltre che da una
tragica fine, da ciò che riguarda la loro memoria, sì la memoria delle
vittime innocenti della storia. Del profeta Zaccaria la fine violenta
non è documentariamente accertata e tuttavia la tradizione ebraica,
ripresa da Gesù, la attribuisce a un atto di protervia da parte di
Ioas, re di Gerusalemme (cf. 2 Cr 24,20-21), il quale fece trucidare il
profeta Zaccaria accanto all’altare di quel Dio che il profeta aveva
amato fino all’inverosimile, fino a essere odiato – come sovente accade
ai profeti – per averlo anteposto alle lusinghe e ai patteggiamenti di
corte. Dio si ricorda Zekariâh
portava nel nome ciò che la lingua ebraica, nella sua concretezza,
voleva esprimere sulla volontà di intervento da parte di Dio, sebbene
con i propri tempi e le proprie modalità, a favore dei perseguitati, in
forza della memoria delle ingiustizie commesse dagli uomini e
soprattutto a motivo della misericordia sempre presente in Lui. Il
termine significa infatti “Yhwh si è ricordato”. Potremmo dire: Dio si
ricorda e tiene sempre a mente la sofferenza degli uomini, al punto
che, parlando delle lacrime versate, in un vagare di una sofferenza
senza fine e umanamente senza senso, il salmista dice “I passi del mio
vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non
sono forse scritte nel tuo libro?” (Sal 56, 9). Poco prima aveva
affermato: “Nell’ora della paura io in te confido. In Dio, di cui lodo
la parola, in Dio confido, non avrò timore: che cosa potrà farmi un
essere di carne?” (Sal 56,4-5). Dio
ricorda di certo la sofferenza degli uomini, di ogni uomo e in
particolare di quanti soffrono senza un motivo e nell’indifferenza
degli altri. L’ha sempre davanti, perché ha sempre davanti il suo
stesso Figlio, Sua immagine e Suo riflesso, contemplando in Lui ciò che
sempre ha amato e ama della sua divina essenza. Quel Figlio è tutto il
suo affetto e il suo pensiero e, giacché si è fatto uomo, si potrebbe
anche chiamare “Memoria intrisa di infinita tenerezza”. È, infatti, il
Cristo risuscitato e, suo tramite, siamo tutti davanti al Padre, con in
prima fila gli innocenti trafitti sulla terra, perché Cristo porta
ancora, sebbene ormai e per sempre gloriose, le ferite della nostra
condizione umana. ---------------------------------------
(GIA' ANTICIPATI NEL NOSTRO BLOG PIETRE VIVE)«Quando
mi hanno detto quello che stava succedendo, non ci potevo credere. Non
ci credevo. Ma sai il bello? Io non ci ho creduto finché non ti ho
visto al funerale. Non potevo credere che una persona come te, forte,
sempre allegra, pronta ad ascoltarti, sempre a chiederti "come stai?"
(maledetta frase) non c’era più. No. Adesso è strano entrare nel salone
dell’oratorio e vedere la tua foto. Prima vedevo te. So che ci sei. Ci
sei sempre stato, ci sei e ci sarai sempre. Forse non te l’ho mai
detto, ma... grazie». Francesca ha 18 anni ed è una delle animatrici
dell’oratorio di Intra che l’anno scorso erano "tutorate" da Filippo.
Ha scritto questo messaggio due giorni fa, su Facebook, tirando fuori
quello che finora non gli aveva detto.
Filippo
Gagliardi è morto l’11 settembre, un tumore fulminante l’ha portato via
in meno di un mese. Era una persona normalissima, un ingegnere
trentenne che viveva la sua fede nel quotidiano, radicato in una
comunità, all’oratorio Circolo San Vittore di Intra, sponda piemontese
del Lago Maggiore. Lì aveva scelto di impegnarsi come "sentinella del
mattino" e di sposare Anna, con cui fin da bambino aveva giocato su
quel campetto che ora porterà il suo nome. È morto mentre stava
diventando padre. A fine dicembre verrà battezzato Luca Filippo, nato
il 6 ottobre. Anna, durante il lungo travaglio, si è affidata proprio
al suo Filippo: «Istanti di terrore di perdere quanto di più bello e
prezioso avessi. Mi sono detta: "Voglio essere come Fil e affrontare
qualunque cosa affidandomi al Signore", e ho pregato Lui ma anche te
affidando la preziosa vita del nostro cucciolo, e ripetendo, come hai
fatto tu: "Il Signore è la mia forza, in Lui confido, non ho timor"».
La
vita di Filippo non ha niente di straordinario, ma è proprio questo ad
aver gettato luce su una vicenda che da due mesi non smette di scuotere
i tanti che l’hanno conosciuto, e anche chi di lui non sapeva quasi
nulla...
Filippo, la straordinaria normalità che dà luce a tuttiPer saperne di più
Troppo
piccola la Basilica di San Vittore per contenere tutti gli amici di
Filippo; la sua scomparsa ha destato profonda commozione a Verbania
dove l’ingegnere trentenne era davvero amato dai più grandi ai più
piccoli. Si proprio a loro aveva dato tanto, contribuendo a renderli
gli adulti del domani grazie al suo impegno da educatore presso
l’oratorio San Vittore.
Tanta commozione ai funerali di Filippo GagliardiMuore a pochi giorni dalla nascita del figlio, veglia a San VittoreIntra, l’addio a Pippo con le campane a festaE'
la mia 39° festa dei Santi quella di questo anno! Ma lo devo
riconoscere: quest'anno è tutto diverso! Lo è per lo sconvolgimento
dell'11 settembre ... non 2001, ma 2013! Da piccolo mi hanno insegnato
(o forse avevo capito io) che i Santi erano uomini e donne perfetti,
doc, con l'aureola insomma! E mi affascinavano molto! Da giovane mi era
molto piaciuto l'invito dell'allora Vescovo di Novara, mons. Renato
Corti, a tenersi tra gli amici qualche santo e ho iniziato a divorare
qualche libro o libretto che parlasse di loro. E il fascino cresceva!
Poi sono diventato prete e un po' il poco tempo, un po' con il rischio
del mestiere, li ho messi un po' da parte per andare all'essenziale, a
Gesù (così almeno credevo) ... e la luce, forse, l'ho persa io! Poi è
arrivato l'11 settembre e i santi non li ho più pensati nè con
l'aureola nè sui libretti, ma straordinariamente e meravigliosamente
accanto a me, sulla mia strada, con la grazia di poter fare un po' di
cammino con loro! I santi non appartengono a Marte, ma alla terra e al
cielo! E sono incredibilmente 'normali', uomini e donne che hanno
vissuto senza maschere, pieni di passione per Gesù e per i fratelli,
perché erano certi che «la fede non abita nel buio, ed è luce per le
nostre tenebre» (come ci ha ricordato Papa Francesco nella sua prima
enciclica sulla fede). Grazie Pippo, allora! Grazie davvero! Mi hai
ridato il gusto per le cose belle, vere, buone e giuste :-) Non
sciupiamo amici del Circolo e chiunque lo abbia conosciuto in vita o in
morte, tanta semplice e straordinaria grazia! Solo 2 righe, ma una
festa intensa :-)
(il ricordo/testimonianza di don Fabrizio Corno su Facebook ) Vedi anche il nostro post precedente:
--------------------------------------- Siamo nati e non moriremo mai più! -Storia di Chiara Corbella Petrillo -
“Chiara è stata una grazia ricevuta! Ha aiutato ad alzare gli occhi verso il Cielo e a desiderare il Cielo” "Sulla
Via di Damasco" RAI2 - Puntata di sabato 2 novembre 2013 dedicata alla
storia di Chiara Corbella Petrillo con S.E. Mons. Don Giovanni
D'Ercole. Ospiti in studio il marito Enrico Petrillo e gli amici-autori
del libro Simone Troisi e Cristiana Paccini. Interviste inedite ai
genitori e alla sorella di Chiara, agli amici e ai medici che l'hanno
seguita.
VIDEO INTEGRALEGUARDA I NOSTRI PRECEDENTI POST:
--------------------------------------- Matrimonio: una riflessione da aprire,
non da chiudere
di Christian Albini
E'
stato da poco annunciato il sinodo dei vescovi sulla famiglia del
prossimo anno, un tema delicato e importante, e ieri sull'Osservatore
Romano è stato pubblicato un lungo articolo dell'arcivescovo Gerhard
Ludwing Müller, attuale prefetto della Congregazione per la Dottrina
della Fede, sul tema dei divorziati risposati e dell'accesso ai
sacramenti (non un documento, come ha scritto qualche giornalista).
Il
testo, in sostanza, si presenta come una rassegna dei pronunciamenti
magisteriali sul tema, insieme a una lettura antropologica e teologica,
e di fatto prende posizione contro la possibilità delle seconde nozze,
secondo la prassi ortodossa, ed è possibilista sull'ampliamento del
giudizio di nullità del matrimonio.
Devo dire che mi ha lasciato molto perplesso. Innanzitutto, per motivi di opportunità.
1. Come parlare di matrimonio?
Ha
senso, prima ancora di aprire un processo consultivo ampio, intervenire
in un modo che chiude preventivamente certe porte e indirizza invece in
altre direzioni? Sembra quasi che così si svuoti la sinodalità. Anche
perché, come dirò più avanti, il testo tratta come certe e risolte
questioni che forse non lo sono.
Un
secondo motivo di perplessità è che il sinodo sembra essere una
questione di approccio "patologico" al matrimonio: come se il problema
da risolvere fossero i divorzi e non ci sia invece da interrogarsi
sulla comprensione che come chiesa cattolica abbiamo del matrimonio e
sul modo di presentarla oggi. E' vero che ci sono dei fattori culturali
e sociali che minano la definitività della scelta, ma proprio per
questo è necessario innanzitutto ri-dire l'annuncio del matrimonio, più
che trovare la soluzione di un problema. Posto che quest'ultimo è un
discorso necessario, in quanto chiama in causa la sofferenza di molti,
non si può pensare che tutto finisca lì.
Il
vero problema è a monte (come la comunità cristiana pensa il matrimonio
nella fede e accompagna ad esso) e non a valle (come la comunità
cristiana si pone di fronte a separazioni, divorzi e nuove nozze)...
Matrimonio: una riflessione da aprire, non da chiudere (1)
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FRANCESCO |
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1) La newsletter è settimanale;
2) Il servizio di "Lectio" a cura di fr. Egidio Palumbo alla pagina:
http://digilander.libero.it/tempo_perso_2/la_lectio_del_Vangelo_della_domenica.htm
3) Il servizio omelia di P. Gregorio on-line (mp3) alla pagina
http://digilander.libero.it/tempodipace/l_omelia_di_p_Gregorio.htm